Rubrica quotidiana a cura di P. Salvatore Brugnano
Storie belle… per vivere meglio
Una storia di solidarietà di donne.
In questi primi giorni di quaresima risuona la parola del Signore: “Il digiuno che io voglio è sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo. Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà. (cf Isaia 58). Chiunque si pone in questa linea vedrà la gloria del Signore.
– Quante storie di violenze sulle donne ancora ai nostri giorni! E la solidarietà che avanza a tutte le latitudini. Ecco una storia triste di qualche anno fa, ma con risvolti di speranza. Le donne, in molte parti del mondo, sono ancora alla mercé do uomini che le uccidono con ogni pretesto. A Kabul, una giovane donna è stata linciata in piazza, accusata di aver bruciato il Corano. Era innocente, ma è stata aggredita e uccisa dalla folla di fronte alla moschea, una folla di uomini, giovani e vecchi. La bara poi è stata portata dalle donne: una vera sfida alla tradizione.
L’hanno uccisa cento uomini a sassate, l’hanno onorata tredici donne sfidando inviolabili «costumi» afghani. Alcuni anni fa a Kabul la bara di Farkhunda, lapidata da una folla impazzita che l’accusava di blasfemia, è stata portata verso la tomba di famiglia da spalle femminili, una provocazione al rigido cerimoniale funebre che prevede che siano solo gli uomini a farlo.
Aveva 27 anni, Farkhunda, ed era innocente. E’ stata aggredita di fronte alla moschea Shah-Du-Shamshaira di Kabul: la accusavano di aver bruciato una copia del Corano. Calci, pietre, pugni. La polizia guardava. Ma ucciderla non era sufficiente: gli aguzzini di Farkhunda avevano trascinato il suo cadavere per alcune centinaia di metri, fino alle rive di un fiume, per poi darlo alle fiamme.
E i poliziotti lì, immobili, inerti di fronte a un centinaio di persone che circondavano la piccola e esile Farkhunda e la colpiscono con pietre e bastoni.
Il padre di Farkhunda era stato costretto a dire, nei primi momenti dopo il linciaggio, che la figlia «era malata, soffriva di disturbi mentali», nel tentativo di proteggere il resto della famiglia da eventuali rappresaglie. Farkhunda era tutt’altro che matta: era riuscita ad entrare in una scuola di perfezionamento per insegnanti di religione.
Ora dopo il gesto delle donne che hanno voluto portare la bara, sfidando le tradizioni tribali del Paese, chissà se la giustizia ha accertato la innocenza della ragazza e abbia dato il giusto castigo ai colpevoli del linciaggio.
Le donne afgane continuano la loro “primavera silenziosa”.
(dal web).