Un breve riassunto dell’accaduto
Costretta a contestare pubblicamente, perché pubblicamente attaccata
Spesso le circostanze ci portano a compiere azioni, a dire o fare qualcosa, che non si addice al nostro modo di essere, al nostro modo di comportarci.
Io per natura cerco sempre di essere gentile con tutti, cerco nel mio piccolo di aiutare chi ne ha bisogno, attraverso il volontariato in generale, ma soprattutto nelle occasioni che mi si presentano nella vita di tutti i giorni. Ora mi vedo costretta a contestare pubblicamente, perché pubblicamente attaccata. Io che per un senso di giustizia mi batterei all’infinito, figuriamoci poi se l’atto d’ingiustizia si consuma ai danni di una persona indifesa (mia figlia) e per mezzo di chi dovrebbe rappresentare la chiesa. Farò un breve riassunto dell’accaduto per chi non avesse seguito la cosa su “il Quotidiano”. Iniziò tutto la sera di domenica 20 Maggio, quando io e mia figlia disabile, ci siamo recati nella chiesa dell’Annunziata in Tropea, ad ascoltare la messa celebrata da “padre Salvatore Vetere”. La predica di questi si è prolungata molto più del dovuto in quanto si è messo a parlare del più e del meno, toccando tantissimi argomenti che a mio parere servivano solo a soddisfare il suo piacere di auto ascoltarsi. Ciò nonostante tutti i presenti compresa mia figlia stavamo in silenzio ad ascoltare, se non altro per rispetto al luogo. Al momento però della consacrazione, poiché il silenzio era assoluto, il verso che mia figlia usa fare con la voce, una forma di auto identificazione che la rende partecipe del momento vissuto, anche se fatto in forma abbastanza leggera, diede fastidio al “padre” che interrompendo la consacrazione chiese chi si lamentasse. Poiché la cosa mi scioccò pensando non fosse un procedimento normale visto il momento, io non risposi. Poi quando lui incalzò continuando a domandare chi fosse la colpevole, mi sentii costretta ad alzare la mano, dicendo di mia figlia e cercando di spiegarne il motivo. A questo punto in modo alterato e puntando il dito ci disse di uscire, di andare via. Parecchi dei presenti uscirono assieme a noi, increduli come me per l’accaduto. Intanto come mi è stato detto poi, qualcuno dentro protestava, ma lui zittiva tutti in malo modo. Aggiunse pure che la colpa fosse mia perché avrei dovuto avvisare all’arrivo, che in chiesa ci fosse una disabile. A fine Messa tutti fuori indignati per quel comportamento a dir poco incredibile. Il giorno dopo decisi di rendere pubblica la cosa. Ho pensato che se lui avesse voluto in qualche modo umiliarmi, gli dovevo rendere il favore, perché in effetti è lui che dovrebbe vergognarsi per l’accaduto e non certo io. Alla lettera aperta che ho fatto pubblicare su “il quotidiano” esponendo i fatti, sicura di poterli ribadire in qualsiasi momento in quanto tanti i testimoni, lui si è permesso di replicare sullo stesso giornale, a modo suo. Tra giri di parole e citazioni di ogni genere, contestava le mie parole, cercando di farmi passare (anche se molti i testimoni) per bugiarda. Io che pensavo di aver già detto tutto, mi sono vista costretta a ribattere ancora con un’altra lettera, breve e concisa per smentire le sue accuse, io che a differenza di lui ho una chiesa piena di fedeli come testimoni, e soprattutto per chi non avesse letto le lettere pubblicate in precedenza sullo stesso giornale. In quanto a quest’ultimo, mi sono dovuta lamentare pure con la redazione di Vibo Valentia perché non mi andava che ci fossero degli errori di forma e di grammatica che io non avevo fatto e soprattutto perché mi è stata cambiata la parola “consacrazione” con “funzione religiosa” parola che usavo per indicare il momento dell’accaduto. Voglio precisare che l’episodio non ha influito minimamente nel mio modo di vedere e sentire la religione, poiché non si può attribuire la colpa di un singolo a tutta una categoria, anzi posso dire che anche dalla chiesa ho avuto solidarietà e comprensione.
Questi i fatti, mentre la mia considerazione personale va oltre, poiché è da una vita che lotto contro le discriminazioni in generale e soprattutto per l’affermazione dei diritti di chi non può farlo di persona. Mai calpestare la dignità e la meravigliosa unicità di chi con dolcezza e a modo suo, chiede solo un posto di appartenenza nella società.
Isabella Tropeano