Fede e dintorni

UN SANTO PER LA PANDEMIA

Rubrica quotidiana a cura di P. Salvatore Brugnano

Storie belle… per vivere meglio

Un santo per la pandemia,
San Giovanni di Dio.

– In questo anno di pandemia di rimedi ne abbiamo provati molti, quelli imposti dalle autorità civili per il bene della collettività, quelli suggeriti dalle autorità religiose per resistere forti nella fede nell’ora della prova, e quelli che ognuno di noi ha potuto escogitare, compreso il ricorso al proprio santo protettore.
– Così i credenti cristiani (in tutto il mondo) hanno invocato la “loro” Madonna, il “loro” Santo protettore, magari facendo anche un voto da sciogliere al termine dello scampato pericolo.
– Eppure se leggiamo le vite di alcuni santi, di eroici missionari (uomini e donne) rimaniamo senza parole: “Come facevano essi a stare insieme ai lebbrosi, ai malati di malattie contagiose, condividendo la vita di tutti i giorni, assistendoli fino alla loro morte, senza paura… – Oggi vediamo medici e infermieri assistere coraggiosamente i malati di Covid-19 ma con tante protezioni da sembrare tanti marziani. – San Francesco abbracciò il lebbroso, San Daniano de Veuster condivise tutta la vita con i lebbrosi di Molokai, il beato Pietro Donders redentorista servì i lebbrosi per 27 anni e poi morì di lebbra… – I santi agivano – diremmo oggi – a mani nude, cioè senza molte risorse, ma in cuore avevano un amore “folle” per gli ammalati. – Scopriamo oggi uno di essi: San Giovanni di Dio, il fondatore dei Fatebenefratelli che guariva i malati con la sana “follia” di Dio.

Le vie della santità sono lunghi fiumi, che  scorrono nel tempo passato fino a giungere al nostro presente.
Roma, anno 2021. Un palazzo, grande, si erge proprio vicino a un fiume, anzi in mezzo a un fiume, il Tevere. Su un isolotto, un edificio: è l’ospedale Fatebenefratelli.
♦ Qui, nell’anno Mille, il tempio dedicato al dio Esculapio fu sostituito da un santuario-ricovero per gli ammalati, retto da una comunità di suore benedettine. Era dedicato all’apostolo san Bartolomeo.
♦ Verso la metà del XVI secolo, avvenne poi una “rivoluzione”: gli ospizi di ricovero diventano “fabbriche della salute”, anticipazioni rinascimentali dei moderni ospedali, in cui i malati non venivano più esclusivamente albergati, ma sottoposti alle cure di medici e infermieri.
In questo nuovo panorama “sanitario” si inserisce la storia del portoghese Juan Ciudad. È il nome di san Giovanni di Dio, l’uomo che dopo un’esistenza errante e dissoluta, si converte al Signore e fonda l’ordine religioso dei Fatebenefratelli.
Juan aveva vissuto sulla propria pelle cosa volesse dire vivere fra gli ultimi, essere fra loro. Essere “uno di loro”. Lo aveva sperimentato in un manicomio.

A Granada, in un giorno del 1539, ascolta una predica del mistico Giovanni d’Avila e viene preso come da una folgorazione. È l’inizio del sacro fuoco della “follia” di Dio.
Va in giro a chiedere la carità, scalzo, mendicando e condividendo i suoi beni con i poveri. A chi incontra, parla così: «Fate del bene a voi stessi! Fate bene fratelli». Diviene il suo motto.

♦ Uno slogan, si direbbe oggi. Potrebbe essere — in fondo — anche il titolo di un moderno best-seller, magari. In fondo, in quella città spagnola, Juan si presentava come venditore di libri. E di questi, lui si innamora una volta per tutte nel periodo della sua formazione di fede. Diventano i compagni della sua esistenza. Le parole stampate e le illustrazioni: anche in questo caso, l’amore — come quello per Dio — nasce rapidamente.

♦ In Juan troviamo, infatti, già un pioniere della stampa, un uomo della comunicazione eccezionale fra i suoi contemporanei. Esortava, così, i cittadini di Granada: «Che nessuno si privi di un simile aiuto: le immagini, basta guardarle per ravvivare la devozione, esse risvegliano l’attenzione, fissano i ricordi».
Ed è alquanto insolito che proprio lui, amante delle parole, non abbia lasciato nessuna Regola scritta per il proprio ordine religioso.
L’unico testo fondamentale per Giovanni di Dio è il Vangelo. Ma, un Vangelo che diviene azione quotidiana in mezzo ai letti di ospedale, agli malati, agli emarginati, a chi soffre. A chi chiede con mano tesa un aiuto per lo spirito, per il corpo.
La follia di Dio in lui risiedeva nello stare accanto a questi “derelitti” senza preoccuparsi minimamente di sé. Non è da considerarsi semplice una simile opera all’epoca, né tantomeno nel nostro oggi.

La pandemia che stiamo vivendo ci sta lasciando un altro vangelo non scritto, forse.
E san Giovanni di Dio ci sarebbe entrato non “con tutte le scarpe”, ma — molto probabilmente — ancora una volta scalzo perché è questa la nudità del Vangelo.

(fonte: L’Osservatore Romano, 10 marzo 2021).

Nelle vite di alcuni santi e di eroici missionari (uomini e donne) leggiamo che essi riuscivano a stare insieme ai lebbrosi, ai malati di malattie contagiose, condividendo la loro vita tutti i giorni e assistendoli fino alla loro morte, senza aver paura. – San Francesco d’Assisi abbracciò il lebbroso, San Damiano de Veuster condivise tutta la vita con i lebbrosi di Molokai, il beato Pietro Donders redentorista servì i lebbrosi per 27 anni e poi morì di lebbra… – Essi agivano a “mani nude”, cioè senza molte risorse, ma in cuore portavano un grande amore per gli ammalati, l’amore “folle” di Dio, come quello vissuto da San Giovanni di Dio. – La pandemia che stiamo vivendo ci offre un altro vangelo non scritto, ma vissuto come azione quotidiana in mezzo agli ammalati.

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