Merito della Confraternita del Crocifisso.
Il priore: «si conclude il programma che ci eravamo prefissati qualche anno fa». Restaurato anche grazie ai fondi dei concittadini residenti in Canada.
Giovedì scorso, alle 18 nei locali della chiesa parrocchiale di San Nicola da Crissa, ha avuto luogo la presentazione del restauro del Crocifisso cinquecentesco appartenente all’omonima confraternita, fondata il primo giugno del 1669. Si tratta di un’opera d’arte del ‘500 che versava in pessime condizioni, ricoperta da precedenti interventi che ne avevano oscurato la bellezza e l’avevano resa quasi irriconoscibile, che è stata finalmente riportata all’antico splendore grazie ad un paziente lavoro di restauro. Ai lavori di giovedì pomeriggio erano presenti, oltre al restauratore, anche lo storico dell’arte Gian Francesco Solferino, il notaro della Rota Romana Domenico Teti, l’antropologo dell’Unical Vito Teti, il direttore dell’ufficio dei beni culturali diocesani don Saverio Callisti, il priore della confraternita Domenico Macrì e le autorità politiche locali. Il compito di moderare la serata è stato affidato all’archeologa e presidente del Circolo di studi storici “Le Calabrie” Marilisa Morrone Naymo.
La statua lignea era in possesso alla Confraternita del Santissimo Crocifisso di San Nicola da Crissa ormai dal 1939. Proprio in quell’anno, infatti, si verificò un episodio che ha del miracoloso, raccontato dallo stesso sacerdote: il crocifisso, che si trovava nella chiesa parrocchiale, iniziò a sudare di fronte ai fedeli. Dopo la sudorazione, il simulacro di Cristo venne interdetto dal culto ordinario e riposto nei locali della confraternita, dov’è rimasto fino al momento del restauro. Questo è il motivo per cui la confraternita è molto legata al crocifisso, ma il valore storico dell’opera oltrepassa di certo l’episodio e precede addirittura la nascita dell’antica confraternita. Il crocifisso finalmente riportato alla sua antica bellezza dal restauratore Giuseppe Mantella, sembrava essere l’opera di un boscaiolo, per via degli interventi ricevuti nel tempo: era infatti ricoperto di garze, di fasce e aveva addirittura una corona di spine di corda posta sullo strato che ricopriva la corona originaria, intagliata nel legno. Così, grazie al restauro, sono venuti fuori molti dettagli, come i segni della passione di Cristo, le ferite, le vertebre e i lividi.
Solferino, che ha curato il museo del Crocifisso, spiega come «nel 2009, i primi campioni di pulitura rilevarono cinque strati di dipinture e incamottature». Già in quell’anno vennero così alla luce «parti dell’opera originale – prosegue lo storico – , lacunose ma di grande pregio», e nonostante fu subito evidente che l’opera fosse molto più antica, restava «ancora controversa la lettura stilistica». Solo nel 2012, dopo un «lavoro mediante l’espletamento della disinfestazione in anossia del simulacro», si è proceduto alla diagnostica, che ha rivelato molti dettagli della storia del crocifisso.
Subito dopo la presentazione del crocifisso, tutti hanno potuto apprezzare il risultato del restauro recandosi al museo della confraternita, dove il crocifisso è stato posto per essere conservato e valorizzato, assieme ai reperti del restauro, grazie a una serie di pannelli didattici.
Per il priore Macrì «si conclude il programma che ci eravamo prefissati qualche anno fa con il restauro del Crocifisso, un’opera rilevante per la nostra confraternita, perché è stata la prima di cui si è dotata per espletare le proprie funzioni».