l?ArcadiaSi trova in Arcadia l’omonima "Tropaia"

Diario di una visita a
Tropea di Grecia

Per il turista classico che abbia programmato un viaggio in Grecia ed inizialmente approdi a Patrasso, è d’obbligo immettersi sulla strada che verso sud collega la vicina Olimpia, il primo sito importante da vedere. Lasciata Olimpia, per raggiungere velocemente verso est l’Argolide e visitare le altre non meno importanti vestigia elleniche (Argo, Sparta ecc.), lo stesso turista è costretto a prendere la strada che dall’Elide si arrampica sulle montagne dell’Arcadia, attraverso la vallata del fiume Alfeo. Quasi a metà strada tra Olimpia ed Argo c’è un bivio che verso nord permette di arrivare, dopo una manciata di chilometri, a Tropaia; questa volta seguendo il fiume Ladon.

di Salvatore Libertino

Era il 10 luglio 1987 quando ho visitato Tropaia, assieme alla mia famiglia. Vi siamo arrivati verso le quattro di pomeriggio facendo però il percorso alla rovescia, provenendo da Argo per andare a visitare, in chiusura di un lunghissimo tour classicheggiante (niente mare...), Olimpia e rientrare il giorno successivo in Italia in nave con imbarco a Patrasso.
Avevamo quindi le ore contate, ma non mi sono fatto sfuggire l’occasione di dirottare su Tropea di Grecia.
Ero a conoscenza della sua esistenza e l’idea di poterla visitare mi affascinava.
Sul segnale del bivio ed in quello all’inizio del paese vi era iscritto Tropaia, con l’accento sulla O. Sulle carte internazionali la città viene evidenziata con il nome di Tropea, nell’idioma inglese.
Imboccato il bivio, prima di arrivarci, tra filari di alberi siamo passati attraverso un paio di piccolissimi villaggi attraversati dalla strada. Mi rimase impresso il fatto di aver visto nel primo di essi la scritta su di una porta: "Farmakeio" (Framacia).
Tra il primo villaggio e l’altro si stagliava non lontano dalla strada un comprensorio di nuova costruzione: era una chiesa con a fianco il campanile, in mezzo alla campagna.
E siamo finalmente all’entrata di Tropaia, tutto sommato simile a quella di tanti paesi dell’entroterra calabrese.
Ai bordi della strada case vecchie e nuove, con ampi spazi riservati a orti e giardini.
Andavamo piano per assaporare meglio le prime impressioni, nel più assoluto silenzio, cercando forse di scoprire ogni accostamento possibile con il nostro paese in Calabria.
Una donna anziana ci passò davanti con una scopa in mano: cercava di pulire il selciato. La strada non era asfaltata.
Si vedevano già i primi negozi con delle sedie vuote davanti alle porte da cui pendevano, a mo’ di vetrina, le merci: ceste di vimini e borraccioni di plastica.
Il fruttivendolo esponeva fuori dalla porta alcune cassette piene di ciliegie ed ortaggi; sul muro della porta c’era scritto un nome: E. Stairopoilos.
Sulla stessa via che stavamo percorrendo sostavano un camion, due trattori e qualche macchina. Una donna tirava una corda attaccata alla biglia di un poderoso cavallo che sopportava sul dorso un carico di masserizie. La strada era tortuosa ed in salita, e per accedere alla porta delle case occorreva salire su di una breve rampa di scalini.
Finalmente sbucammo sulla piazza, non grande, dove erano parcheggiati due pulman modello anni ’50: il cordone ombelicale del paese dal resto della Grecia.
La chiesa, il cui accesso non era sulla piazza, pur incombendo sulla stessa, appariva moderna, con qualche ingrediente orientaleggiante. Un grande orologio, sulla parete prospiciente sulla piazza, segnava le 16,20.
Al centro, un monumento ad un uomo, mezzo busto con cravatta, nato nel 1883 e morto nel 1954: Aristomenes D. Xeniades.
Individuato lo spazio per parcheggiare, scesi dalla macchina con l’intento di fare qualche ripresa con la telecamera. Sapevo che avevo poco tempo.
Entrai in un bar. Aveva l’aspetto di una bettola con all’interno pochi tavoli circondati da sedie. Solo un uomo anziano seduto a bere un bicchiere di vino. La padrona, sorridente mentre filmavo, mi chiedeva qualche cosa e con insistenza, ma io non capivo.
Fuori dal locale quattro persone di mezza età erano seduti lungo il muro. Guardavano incuriositi, ma senza parlare.
Mi allontanai e nelle vicinanze scoprii la sezione del partito comunista e la banca. Poco più avanti c’era la barberia. Mentre filmavo, il barbiere mi salutò con la mano invitandomi ad entrare. Tirai fuori il mio passaporto e glielo feci vedere in modo che leggesse la mia località di nascita: Tropea. Capì subito che si trattava di una località italiana e che aveva a che fare con una persona curiosa di ... storia. Mi pregò di sedere sulla poltrona e accettai. Notai i miseri strumenti del lavoro disposti sull’unica mensola sotto lo specchio che mi stava davanti. Prese il rasoio e fece finta di radermi la barba. A questo punto pregai un tipo in canottiera, che stava sulla porta, di scattarmi una foto.
Mi recai poi davanti alla chiesa, che, data l’ora particolare, era chiusa. Incontrai una ragazza che parlava la lingua inglese. E’ stata l’unica giovane in assoluto incontrata. Le domandai se poteva interessarsi di farmi aprire la chiesa.
Lei andò spedita verso la casa del prete e chiese ad una donna affacciata alla finestra la chiave, che dopo un po’ venne lanciata alla ragazza.
Nella chiesa entrai assieme ad una decina di persone incuriosite come lo ero io in quel momento.
Ho incominciato a filmare statue di santi, quadri, dipinti, icone variopinte, merletti, altarini, candelabri, lampadari. Ogni cosa era curata al massimo e tenuta in perfetto ordine. Sembrava tutto di bella fattura. Più che in una chiesa l’impressione era di trovarmi in un raffinato negozio di antiquariato.
Mi ricordo un affresco di S. Giorgio che domina il drago ed un dipinto di una Madonna col Bambino con il manto "alla greca" che ho accostato nella mia mente alla Madonna di Romania. Eccetto il viso della Vergine ed anche la posizione del Bambino non c’era sostanzialmente alcuna similitudine con la nostra Madonna. Eppure continuavo a pensare alla Madonna di Romania e che mi trovavo in quel momento a poco più di cento chilometri da Neapolis, la vecchia Nauplia, nell’Argolide: la Romania di un tempo!
E’ di lì che la leggenda popolare vuole provenisse la nostra Madonna bruna.
Ora mi sovviene di aver visto anche un dipinto raffigurante due Santi che molto assomigliavano ai Santi Cosma e Damiano.
Intanto mi sentivo stanco. Il caldo era atroce, il peso della telecamera si era fatto insopportabile ed il rischio di non riuscire ad arrivare ad Olimpia e poterla visitare in serata mi facevano già capire che l’avventura di Tropea di Grecia era terminata.
Dopo aver ringraziato e salutato le persone (erano una cinquantina!) che ormai mi avevano circondato sul sagrato, compreso il barbiere che forse aveva chiuso bottega, mi indirizzai verso la macchina dove mi aspettava la famiglia. Alle 17.00 abbiamo ripreso il viaggio nell’Arcadia.
All’uscita del paese vidi che c’era anche un piccolo Centro Medico con autoambulanza pronta a partire, ed un cartello con la scritta in lingua greca, ma anche in inglese: "Health Center of Tropea".
Quale migliore occasione per farmi fare ancora una foto con tutta la famiglia?
Il giorno successivo ci imbarcammo a Patrasso. E appena uscimmo dal Golfo ecco l’ultima emozione regalataci dalla Grecia: stavamo attraversando le stesse acque che videro protagonisti, tanti secoli fa, molti soldati tropeani che hanno combattuto e stravinto contro l’armata turca, nella cruenta battaglia navale di Lepanto. Ma questa è un’altra storia!

Tropea e dintorni nell'anno 2000 Basta un clic per leggermi

redazione@tropeaedintorni.it