“Un’americana in Calabria”, l’articolo firmato da Frances Mayes
“Nella quiete pomeridiana mi colpiscono alcuni dettagli: lo spigolo della chiesa benedettina di Santa Maria dell’Isola, con il mare sullo sfondo; le stradine contorte a misura d’asino; le piccole maschere intagliate appese ai palazzi per scacciare il malocchio e le ombre delle palme che sembrano dipinte sulle strade. Al sud il sole picchia, e un placido torpore si impossessa di tutto l’abitato. “Schermo solare”, dico. “Protezione 70”. Tropea: un’ora, un giorno, una vita”
Dopo l’uscita nell’edizione di aprile/maggio del prestigioso mensile cartaceo NatGeo Traveler Canada, la Perla del Tirreno nuovamente protagonista sul numero del National Geograpich Traveler Estate 2019. Vi proponiamo il pezzo firmato da Frances Mayes dell’11 luglio scorso.
“Tropea sorge su uno sperone roccioso di circa 60 metri a strapiombo su una spiaggia lambita da acque cristalline.
Ci sono piazzette piene di fiori e di ombrelloni, antichi palazzi a tre piani un po’ sgretolati e negozi che espongono trecce di peperoncino piccante e delle tipiche cipolle rosse di Tropea. Gli edifici hanno quel che basta di decadente per farmi pensare che questa sia una delle città più romantiche d’Italia.
In centro chiediamo indicazioni e una signora minuta esce dal suo negozio per indicarci la strada. Ed ne approfitta per chiederle a che cosa servano gli strani fori rettangolari che vede sulle facciate di molti palazzi. “Sicuramente non per i piccioni”, ipotizza.
Lei ci racconta che suo padre, che era un grande muratore, le spiegò che quei buchi venivano lasciati per sostenere le impalcature dei futuri restauri. Strano, è un po’ come fasciarsi la testa prima di essersela rotta. La signora ci dice anche che le facciate dei palazzi devono avere tutte lo stesso colore, un burro tendente al rosa, e non è possibile introdurre altri colori. È orgogliosa della sua incantevole città, come lo sono stati molti altri prima di lei: i resti archeologici dimostrano che l’uomo è sempre stato attratto da questa scogliera a picco sul mare.
Il duomo del XII secolo, un edificio compatto in stile romanico normanno, rivela l’influenza araba nelle finestre e nelle decorazioni. Proseguendo ci fermiamo alla Chiesa del Gesù. Di chiese in Italia ne ho visitate a centinaia, e quasi sempre ci trovo qualcosa di bizzarro.
Qui la nota bizzarra, accanto a un altare con stupende colonne tortili verdi, è un curioso dipinto di San Francesco Saverio che si inginocchia in riva al mare per ricevere dalle chele di un granchio il crocifisso che aveva perduto. Sì, un granchio!
Pranziamo in una piazzetta tranquilla dove ci fanno assaggiare la ‘nduja, il famoso insaccato locale (il nome deriva dal francese “andouille”), un salame spalmabile rosso come il fuoco per l’alto contenuto di peperoncino. Sul vassoio degli antipasti ci sono anche la soppressata, un altro insaccato tipico preparato con semi di finocchio e peperoncino piccante, e il capocollo, a base di lonza di maiale e stagionato per cento giorni.
Trovo molto buono il pecorino del Monte Poro, un formaggio semiduro con stagionatura di un anno, ma anche le cipolle di Tropea sottaceto e la ricotta affumicata su legno di castagno ed erbe aromatiche. La cipolla di Tropea è la regina del menu, e noi ordiniamo le frittelle. Ed prosegue con le frittelle di neonata, pesciolini pescati appena nati. Io vado più sul tradizionale, con i paccheri con pomodorini e pesto.
Nella quiete pomeridiana mi colpiscono alcuni dettagli: lo spigolo della chiesa benedettina di Santa Maria dell’Isola, con il mare sullo sfondo; le stradine contorte a misura d’asino; le piccole maschere intagliate appese ai palazzi per scacciare il malocchio e le ombre delle palme che sembrano dipinte sulle strade. Al sud il sole picchia, e un placido torpore si impossessa di tutto l’abitato. “Schermo solare”, dico. “Protezione 70”.
Tropea: un’ora, un giorno, una vita”.
(Si ringrazia per la collaborazione M.V.)