Teatro: a Roma levento culturale dellanno
Il Gattopardo al S. Francesca Romana
La compagnia del Teatro Stabile S. Francesca Romana guidata dal regista Gianni Giaconìa, aprirà la nuova stagione con una rappresentazione senza precedenti: "Il Gattopardo" di Giuseppe Tomasi Di Lampedusa.
di Bruno Cimino
foto Cristian Gennari
Roma Dalla scorsa primavera, al Teatro Stabile S.
Francesca Romana, si prova Il Gattopardo. Ambientato nella Sicilia del 1860, il
celebre romanzo di Giuseppe Tomasi Di Lampedusa è una spietata analisi di unepoca
che ha segnato il trapasso del regime borbonico a quello sabaudio, accettato
dallaristocrazia isolana con la convinzione che "se vogliamo che tutto
rimanga come è, bisogna che tutto cambi". Un capolavoro letterario, dunque,
unico per sentire i battiti della fine di unepoca.
"Mi sono convinto a realizzare questo lavoro teatrale, impresa molto impegnativa
ci ha detto il regista Gianni Giaconìa - subito dopo aver letto la
riduzione teatrale del prof. Vittorio Frosini".
Esportare in chiave teatrale Il Gattopardo è
effettivamente unimpresa che ricorda quella del celebre film di Luchino Visconti, e
sotto certi aspetti con qualcosa in più se il riferimento sono gli ottimi inserimenti
multimediali. Si tratta di alcune scene girate da Massimo Branchesi allinterno del
chiosco del Collegio di S. Maria a Roma.
A facilitare le "fatiche" per questo lavoro, ad oggi, risultano determinanti,
oltre al testo di Vittorio Frosini, la scenografia di Luca Arcuri, le musiche di Vittorio
Giannini, i costumi di Fiammetta Linardi, la fotografia di Cristian Gennari, le
elaborazioni grafiche di Foor Wolfswinkel, linterpretazione di tutti gli attori,
lintero staff dei tecnici.
Il Gattopardo è la storia della vita di un principe siciliano, nelle sue terre,
fra i suoi contadini, negli anni del Risorgimento: un vecchio mondo che sta tramontando
per essere sostituito da un mondo nuovo, che non tutti desiderano. E quasi
impossibile non rimanere coinvolti dai sentimenti che suscitano le pagine di questo
racconto sulla nobiltà agonizzante e sui regni destinati alla dissoluzione; è
praticamente inevitabile astrarsi dai concetti essenziali, che sono oggetto di confronto
quotidiano, quali la ricchezza, la povertà, lamore, lodio, la famiglia, la
disuguaglianza, il potere, la politica assolutista o libertaria.
Sono temi di incomparabile importanza per la vita, di qualunque estrazione sociale,
perché sono il tramite che ci spiega la necessità della morte, inevitabile per
comprendere il senso della rinascita.
Lattenzione sul romanzo, che conobbe un eccezionale successo di critica,
inizialmente si concentrò, e a torto, sulla tesi conservatrice dellopera, in
realtà il contenuto essenziale è da ricercare nel motivo decadente del presagio della
morte coincidente con lo sfacelo di unantica stirpe gentilizia. E insomma il
canto del cigno di una privilegiata generazione sociale e politica, è anche la
disgregazione di una personalità, quella di Don Fabrizio principe di Salina, corrosa dal
tragico senso della morte.
I motivi per non mancare a questo appuntamento teatrale sono tanti, e partono dalla
riflessione sulla disavventura dellautore che si vide rifiutare la pubblicazione
niente di meno che da Elio Vittorini il quale lavorava per conto della Einaudi (il romanzo
fu pubblicato postumo, nel 1958, da Giorgio Bassani per la Feltrinelli), continuano con i
temi trattati, mai stati archiviati per i riferimenti alle attuali "correnti"
letterarie e politiche, e si possono in parte concludere con il fatto che stiamo parlando
del più clamoroso caso letterario del dopoguerra, ossia il primo best-seller italiano che
ora "rischia" di diventare, non senza polemiche, levento culturale
dellanno.
La "prima" è già stata fissata per il 12 ottobre 2000 e, come succede in
queste occasioni, si registra il tutto esaurito. La rappresentazione continuerà sino a
metà novembre.
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