Rubrica quotidiana a cura di P. Salvatore Brugnano
Storie belle… per vivere meglio
Soumayla, una morte che scuote.
La morte di Soumayla Sacko, l’immigrato ucciso a fucilate sabato 2 giugno nelle campagne del Vibonese, comincia a scuotere seriamente coscienze e istituzioni. Grazie alla onestà di vari social media e all’impegno delle forze dell’ordine che conducono le indagini, la sua morte sta assumendo inquietanti contorni. Non più frutto di una scorribanda violenta di un gruppo sbandato, ma di un rifiuto senza misericordia da parte di chi ha preteso di rendersi giudice spietato dell’altro prevaricando ogni regola del vivere civile. Ingiusta e nera appare quindi la morte di Soumayla, di cui ora la pubblica opinione comincia a conoscere la sua vita, il suo lavoro ed anche il suo impegno sociale nel sindacato a cui era iscritto per la difesa dei diritti degli esclusi, quali vengono gli immigrati. “Essi – scrive qualcuno – vengono nel nostro Paese, occupano spazi abbandonati, fanno lavori abbandonati, prendono materiali abbandonati per costruirsi ripari che non brucino nelle campagne arse dal sole. Non vengono a rubare lavoro ai figli legittimi d’Italia, ma a fare lavori che per gli italiani non hanno valore. Ed ora la moglie, la famiglia e una bambina, in Mali, attendono il rimpatrio della sua salma.
Le baracche di Soumayla
♦ Soumayla aveva visto la morte da vicino quattro volte ma era riuscito a sfuggirla. La morte che accompagna chi fugge dai drammi africani attraversando il mare verso la speranza di una vita. Anche Soumayla era su un barcone, non sappiamo se salvato da una nave militare o di un’Ong. Poi la Calabria, tendopoli-baraccopoli di San Ferdinando, unica “non scelta” per i lavoratori migranti di Rosarno e della Piana di Gioia Tauro. E qui la morte Soumayla l’ha vista da vicino tre volte: proprio qui, in questo non luogo.
♦ Lui regolare, regolarissimo, ma da sempre sfruttato da caporali e imprenditori italiani. Due volte la sua baracca è stata distrutta dalle fiamme. Il 3 luglio 2017 e il 27 gennaio 2018, quando le fiamme hanno ucciso la giovane Becky Moses. Soumayla, che in quelle baracche viveva, era invece riuscito a salvarsi.
♦ La sua baracca era stata distrutta due volte e due volte lui l’aveva ricostruita. Con materiale rimediato, raccolto in luoghi abbandonati, come la fabbrica dove è stato ucciso.
Una fabbrica dove degli italianissimi delinquenti avevano sotterrato 135mila tonnellate di rifiuti pericolosi. Un inquinamento che nessuno ha pagato. Tutto prescritto. Nessuno ha bonificato, i veleni sono ancora lì, in una località che, ironia della sorte, si chiama Tranquilla. E lì sono andati Soumayla e i suoi amici che sicuramente non sapevano niente di quei veleni.
Per loro era solo un luogo dove recuperare materiale per costruire le baracche. Soprattutto lamiere che resistono agli incendi. Ma sempre baracche. Baracche, solo baracche nella vita italiana di Soumayla, lavoratore della terra in nero e senza casa.
Malasanità e impegno sociale
♦ La morte di Soumayla, svela anche circostanze di malasanità, ancor più mala per i migranti, malgrado la legge preveda che anche i migranti abbiano pienamente diritto all’assistenza sanitaria.
♥ Racconta don Roberto Meduri, parroco a Rosarno, che lo conosceva bene: «Poco più di un anno fa, Soumayla si sentì male, aveva dolori fortissimi alla pancia, per giorni non toccò cibo. Abbiamo chiamato più volte il 118, ma non gli volevano credere. Allora l’ho accompagnato io all’ospedale. Aveva un’ulcera perforata. L’hanno operato d’urgenza ed è rimasto in ospedale più di due settimane».
A vegliarlo di notte don Roberto e i volontari di varie associazioni. E anche quella volta Soumayla ce l’aveva fatta. Per un soffio. Ed è tornato alla sua baracca.
♥ Solo negli ultimi mesi aveva avuto diritto a un posto nella nuova tendopoli, ma spesso tornava nella vecchia baraccopoli, distante 200 metri, in parte rinata dopo l’ultimo incendio.
Anche per il suo impegno da sindacalista. E lavorava, perché era un buon lavoratore, apprezzato per l’impegno. Anche se sempre sfruttato.
Solo pochi giorni fa aveva avuto finalmente la notizia di un prossimo vero e sicuro contratto. Finalmente giustizia e diritti. Per sé, per la giovane moglie e la figlia di 5 anni lasciate nel Mali. Troppo tardi. Il suo gran cuore lo ha portato ad accompagnare i due amici. Tre persone diventate bersagli.
Regolari e sfruttati
♥ La morte di Soumayla richiama l’attenzione sulle drammatiche condizioni di questi lavoratori immigrati, regolari e sfruttati. Regolari, ma costretti a vivere in tendopoli, se va bene, o baraccopoli. Campi, sempre campi, più o meno organizzati, da tenere lontani, invisibili. Forse perché ci sarebbe da vergognarsi di questi luoghi. Anzi non luoghi, ma funzionali ad un sistema economico malvagio che va avanti solo grazie a questi schiavi.
♥ E non è solo responsabilità della ’ndrangheta. Lo è di chi dovrebbe offrire a questi lavoratori oltre che un vero contratto anche una vera casa. Impossibile? A pochi chilometri da dove Soumayla è stato ucciso, il bravo imprenditore Carmelo Basile lo fa con convinzione nella sua grande azienda di successo ‘Fattoria della Piana’. E lo fanno anche i giovani della cooperativa Valle del Marro, che coltiva terreni confiscati alla ’ndrangheta. Si può, anche qui.
♥ Ma la responsabilità è anche di tante distrazioni.
Infatti noi riflettiamo solo quando ci sono i morti… ma perché i vivi non ci fanno riflettere? E anche i tanti morti finiscono presto nel dimenticatoio. Drammi che sui giornali durano lo spazio di qualche giorno. Ma che nulla o poco fanno cambiare in queste realtà.
♥ ♥ Verità e giustizia per Soumayla significa soprattutto occuparsi di queste persone senza aspettare di commentare il prossimo fatto tragico: migliorare l’accoglienza e garantire una vera simmetria tra diritti e doveri.
(fonte: estratto liberamente da un articolo di Avvenire.it, 5 giugno 2018).