Rubrica quotidiana a cura di P. Salvatore Brugnano
Storie belle… per vivere meglio
Sì al crocifisso in aula.
– Dopo non poche battaglie all’insegna della “laicità” la Cassazione ha emanato la sentenza: “Sì al crocifisso in aula, non è un atto discriminatorio”
L’affissione del simbolo “al quale si legano, in un Paese come l’Italia, l’esperienza vissuta di una comunità e la tradizione culturale di un popolo non penalizza il docente dissenziente per causa di religione”.
– Il Crocifisso in aula non è discriminatorio; ma sarà la comunità scolastica a valutare e decidere “in autonomia di esporlo”.
– Secondo la sentenza, dunque, esporre il crocifisso a scuola non è (più) un obbligo di legge, ma se le singole classi rappresentate dai loro organismi ritengono di farlo, la presenza del simbolo non può più essere tolta a piacere. Se non, ovviamente, con una successiva delibera.
– Mons. Russo, segretario generale della CEI, ricorda: “Il Crocifisso non divide, ma invita al dialogo” – Noi possiamo ben dire che il Crocifisso, al di là della confessione religiosa, appartiene al patrimonio dei simboli dell’Umanità.
Esporre il crocifisso nelle scuole non è una condotta discriminatoria.
♦ Lo ha stabilito la Suprema Corte, che nella sua composizione più autorevole – le Sezioni Unite – con la sentenza 24414/2021 pubblicata l’8 settembre mattina, ha chiarito definitivamente che il maggiore simbolo del cristianesimo può rimanere nelle aule.
♦ Basta che a volerlo sia «la comunità scolastica», la quale può anche decidere di accompagnarlo «con i simboli di altre confessioni presenti in classe – così si esprime il comunicato stampa diffuso dalla Cassazione – e in ogni caso ricercando un ragionevole accomodamento tra eventuali posizioni difformi».
♦ La questione non è solo religiosa. Per la Corte infatti al crocifisso «si legano, in un Paese come l’Italia, l’esperienza vissuta di una comunità e la tradizione culturale di un popolo».
Per questo, a maggior ragione, la sua affissione «non costituisce un atto di discriminazione del docente dissenziente per causa di religione».
♦ Sotto il profilo prettamente giuridico, gli ermellini – come vengono chiamati i giudici della più alta corte italiana, per via della toga nelle occasioni più formali – ricordano innanzitutto come un regolamento degli anni Venti, mai abrogato, avesse imposto la presenza del crocifisso nelle aule. «Ogni istituto – si legge in quel testo – ha la bandiera nazionale; ogni aula, l’immagine del crocifisso e il ritratto del Re».
È vero, allora il cattolicesimo era “religione di Stato”. Ma la Suprema Corte nella sentenza di ieri ha chiarito che la norma di un secolo fa è suscettibile di essere interpretata oggi in senso conforme alla Costituzione.
♥ In parole povere: se la scuola nelle sue varie componenti lo vuole, il crocifisso può e deve restare, perché «il venir meno dell’obbligo di esposizione – si legge in sentenza – non si traduce automaticamente nel suo contrario, e cioè in un divieto di presenza del crocifisso nelle aule scolastiche».
Attenzione: se l’istituto, studenti compresi, decide di tenerlo, nessuno può toglierlo a piacere, come invece aveva fatto il docente da cui era scaturito il caso giudiziario.
♥ Con la pronuncia di ieri, sotto il profilo tecnico-giuridico, le Sezioni Unite hanno dato risposta alle questioni contenute nella cosiddetta “ordinanza di rimessione”, quella cioè in cui una singola sezione della Suprema Corte – nel nostro caso la sezione lavoro –, ritenendo che la questione a essa sottoposta sia molto controversa e di particolare importanza, chiede che sia decisa in composizione plenaria.
♥ L’anno scorso, nel devolvere la vicenda alle Sezioni Unite, la Cassazione aveva preso le mosse da una sentenza pronunciata nel 2011 dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo (Cedu): il crocifisso, avevano scritto i giudici di Strasburgo, è «un simbolo essenzialmente passivo», per cui «dalla sua sola esposizione […] non deriva la violazione del principio di neutralità dello Stato».
♥ Ciò premesso, la sezione lavoro della Suprema Corte riteneva che il caso su cui ha poi deciso fosse un poco diverso: a contestare il simbolo cristiano non era uno studente ma un professore. Non dunque un utente del servizio, ma un educatore. E proprio per questo, temeva la Corte, «l’esposizione del simbolo» avrebbe rischiato di attribuire «uno stretto collegamento tra la funzione esercitata e i valori fondanti il credo religioso che quel simbolo richiama».
♥ Le Sezioni Unite, però, hanno sgombrato il campo da questo timore. D’altronde, già nel 2006, il Consiglio di Stato aveva visto nel crocifisso «un simbolo idoneo a esprimere l’elevato fondamento di valori civili (tolleranza, rispetto reciproco, valorizzazione della persona, affermazione dei suoi diritti…)» che «delineano la laicità nell’attuale ordinamento dello Stato».
♥ La sentenza di ieri precisa che «la laicità italiana non è “neutralizzante”: non nega le peculiarità e le identità di ogni credo e non persegue un obiettivo di tendenziale e progressiva irrilevanza del sentire religioso, destinato a rimanere nell’intimità della coscienza dell’individuo».
♥♥ Ciò anche per via del fatto che «il principio di laicità – spiega la pronuncia – non nega né misconosce il contributo che i valori religiosi possono apportare alla crescita della società».
♥ Secondo la sentenza, dunque, esporre il crocifisso a scuola non è (più) un obbligo di legge, ma se le singole classi rappresentate dai loro organismi ritengono di farlo, la presenza del simbolo non può più essere tolta a piacere. Se non, ovviamente, con una successiva delibera.
La Cei: applicata libertà religiosa.
«Il crocifisso non discrimina».
♦ È la sintesi della sentenza che la Cei affida a una nota diffusa ieri sera dall’Ufficio Comunicazioni sociali.
«La sentenza con cui la Corte di Cassazione è intervenuta sulla vicenda sollevata in una scuola di Terni – prosegue il comunicato – ribadisce che “l’affissione del crocifisso – al quale si legano, in un Paese come l’Italia, l’esperienza vissuta di una comunità e la tradizione culturale di un popolo – non costituisce un atto di discriminazione”».
♦ A parere di monsignor Stefano Russo, segretario generale della Cei, «i giudici della Suprema Corte confermano che il crocifisso nelle aule scolastiche non crea divisioni o contrapposizioni, ma è espressione di un sentire comune radicato nel nostro Paese e simbolo di una tradizione culturale millenaria.
♦♦ La decisione della Suprema Corte – aggiunge Russo – applica pienamente il principio di libertà religiosa sancito dalla Costituzione, rigettando una visione laicista della società che vuole sterilizzare lo spazio pubblico da ogni riferimento religioso.
♦ In questa sentenza la Corte riconosce la rilevanza della libertà religiosa, il valore dell’appartenenza, l’importanza del rispetto reciproco».
♥ Riservandosi un giudizio più approfondito dopo la lettura integrale della lunga e complessa sentenza, Russo osserva come sia «innegabile che quell’uomo sofferente sulla croce non possa che essere simbolo di dialogo, perché nessuna esperienza è più universale della compassione verso il prossimo e della speranza di salvezza. Il cristianesimo di cui è permeata la nostra cultura, anche laica, ha contribuito a costruire e ad accrescere nel corso dei secoli una serie di valori condivisi che si esplicitano nell’accoglienza, nella cura, nell’inclusione, nell’aspirazione alla fraternità».
(fonte: cf Avvenire.it, Marcello Palmieri giovedì 9 settembre 2021).