LA PESCHIERA DI S.IRENE
testo di Ettore Stella
foto Salvatore Libertino
certamente
non molti fra gli odierni frequentatori dei meravigliosi fondali di S. Irene conoscono
limportanza storica ed archeologica dei suoi siti. Ora su di essa apre uno squarcio
uninteressante ed ampio, ma ancora inedito studio del professore Gioacchino Lena
dellUniversità della Calabra, che abbiamo avuto la fortuna di leggere in
manoscritto.
Esso, oltre a ricordarci limmutabilità di alcuni sistemi di pesca, che,
praticati in epoca greca, sono ancora oggi in auge presso i nostri pescatori, ci riporta
lingegnosità e loperosità, di un mondo nel quale pur sempre affondano le
nostre radici.
Di tale studio - per gentile concessione dellautore - riportiamo quelli che
riteniamo brani significativi; nellattesa che la pubblicazione dello scritto nella
sua interezza possa, attraverso una migliore e più profonda lettura storica del nostro
territorio , condurre ad una collettiva presa di coscienza che un valido passato non sia
da rivisitare come galleria di rimpianti, bensì quale stimolo ad esprimere le latenti e -
a nostro giudizio - potenti capacità di riscatto delle nostre genti.
Il
mondo greco non apprezzava molto il pesce, nutrimento quasi esclusivo delle classi povere.
La pesca professionale si faceva con lamfibléstron, una specie di giacchio che
serviva sia per la caccia sia per la pesca o la saghéne cioè una rete che portava sul
cavo superiore una fila di sugheri e su quello inferiore i piombi.
La rete più o meno lunga ed alta, veniva trascinata verso il largo da due barche che
tornavano indietro raggiungendosi progressivamente verso la costa; un sistema di corde
permetteva di restringere man mano la parte inferiore fino a formare una specie di sacca
da dove venivano ritirati i pesci.
Assieme alla rete si usava la nassa, larpione ed il tridente.
Il gusto cambiò tuttavia in
età romana. I pesci di mare divennero un cibo prelibato, soprattutto se fresco. Dei
quattro modi possibili per conservare il pesce (salato, affumicato, in salsa, vivo), i
romani privilegiarono questi ultimi due.
Si sviluppò dunque lindustria del garum, una salsa composta da piccoli pesci,
interiora e frattaglie varie, messe a macerare nellaceto.
Nata in oriente o quantomeno nelloriente greco intorno al VII-VI secolo A.C, la moda
si diffuse rapidamente in età romana, anche perché insaporiva cibi del tutto privi di
gusto come i legumi.
Laltro modo che i romani svilupparono in sommo grado fu la conservazione del pesce
vivo.
Le prime peschiere per lallevamento del pesce in acqua salata si diffusero nel mondo
romano a partire dalla fine del II secolo A.C.
Questa moda, che attecchì ben presto ed ebbe largo seguito, mostra una netta variazione
di gusto da parte della classe senatoriale, nella quasi totalità proprietaria delle ville
più ricche, dal pesce di acqua dolce a quello di mare. La tradizione indica in Crasso
Murena, che ne avrebbe fatto strumento di lusso e di lucro, linventore di queste
piscinae. Le modalità di costruzione di esse nonché i criteri ed i metodi di gestione
vennero successivamente codificate da Columella e Varrone.
In età imperiale la passione per la piscicultura si diffuse ulteriormente. Da Columella e
dal confronto con quanto la ricerca archeologica ci ha fornito sappiamo che le vasche
potevano essere scavate nella roccia, come la nostra di S. Irene, o costruite sul
litorale.
Come esempio di peschiere proviamo a descrivere quella rinvenuta e studiata allo scoglio
della Galera, nei pressi di Capo Zambrone. Lo scoglio si trova a circa 120 m. dalla riva
attuale ed ha forma triangolare.
Parallelamente alla costa sono stati costruiti, con paziente opera di scavo, un
porticciolo rettangolare e le piscine per la stabulazione dei pesci. Al di sopra del lato
corto del porticciolo si trova un ambiente a forma grosso modo rettangolare, che
costituiva forse un ambiente di lavorazione. Su un ripiano più elevato, cioè sulla parte
alta dello scoglio, si rinviene una serie di fori ed incassi; esso termina, in direzione
del mare aperto, con una gettata di massi cementati da malta a formare un vero e proprio
frangiflutti.
Il porto ha forma rettangolare e si apre verso E, in direzione del porto di Hipponion. Sui
lati del porticciolo sono state ricavate da una banchina dai bordi irregolari 10 bitte di
varie dimensioni.
LE VASCHE. Le vasche per
i pesci sono quattro e risultano dalla divisione interna di una piscina più grande lunga
26 m. Esse sono separate fra loro da tre pareti scavate nella roccia. La comunicazione tra
le vasche è assicurata da aperture ovali che, ora come in antico erano sotto il livello
del mare.
Inoltre le vasche erano munite di numerosi canali la cui presenza e sistemazione, oltre ad
adempiere alla funzione di favorire il ricambio dellacqua, era di enorme importanza
per lintercomunicazione fra di esse.
Le vasche di S. Irene comunicano con il mare mediante quattro canali, i maggiori dei quali
comunicano da entrambi i lati con il mare aperto, i canali più piccoli comunicavano fra
di loro e con linterno del porto.
LAMBIENTE. Al di sopra del porticciolo si rinviene un ambiente rettangolare ricavato
anchesso nella roccia. E probabile che si tratti di un ambiente di lavoro come
autorizzano a pensare i due fori di scolo ricavati nella risega e la pendenza del piano di
calpestio, creata per evitare il ristagno dellacqua.
IL MOLO FRANGIFLUTTI. Limpianto di una peschiera comprendeva quasi sempre anche la
costruzione di possenti moli in calcestruzzo, i quali avevano la funzione di proteggerla
dalle mareggiate e di consentire ad ogni modo un tranquillo funzionamento degli
allevamenti. Tali moli in alcuni casi erano costruiti in modo da servire anche da
ambulacri per il passaggio rendendo così più intimo il contatto con il mare.
Resta da discutere la presenza di acqua dolce che sempre si collegava a simili opere, in
modo da temperare la salsedine, formando la cosiddetta aquatio dalla quale erano attirati
i pesci che venivano così catturati allinterno delle vasche mediante canalizzazioni
opportune.
Essa era ritenuta di tale importanza che, dove non era possibile avere fiumi che
portassero acqua dolce, lapporto di essa era assicurato da speciali serbatoi
artificiali. Nel nostro caso il ricambio di acqua dolce poteva essere assicurato dal fiume
Potame la cui foce dista dalla peschiera circa 100 m.
Tutto il sistema, comunque, sembra funzionale più che, allallevamento del pesce (le
vasche sono piccole e di misura inferiore a quella prescritta da Columella per impianti
del genere) alla salagione ed alla pesca del tonno.
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