Galleria di santi calabresi -1-
La sua opera, sfida per il terzo millennio
Nel 998 la Calabria è assurta agli onori della cronaca per una vicenda che ha visto protagonisti S. Nilo e Giovanni Filagato, entrambi di Rossano.
Il Filagato, l’anno prima era stato eletto papa dall’aristocrazia romana col nome di Giovanni XVI, in contrasto col legittimo Gregorio V, cugino dell’imperatore Ottone III. Nel maggio del 998, però, era caduto nelle mani dei soldati imperiali e gettato a marcire in prigione, dopo essere stato mutilato, accecato e seviziato in tutti i modi.
L’abate Nilo, che si trovava con i suoi monaci a Serperi, nei pressi di Gaeta, pur avendo già redarguito energicamente Filagato per essersi fatto raggirare ed eleggere papa, si portò a Roma, malgrado i suoi 88 anni, per perorarne la liberazione dall’imperatore, su cui, per la santità della vita, esercitava fascino e venerazione.
Sulle prime Ottone III si mostrò conciliante, ma poi, probabilmente dietro le pressioni di Gregorio V, cominciò a tergiversare con promesse varie, tra cui l’invito a restare a Roma, dove gli avrebbe concesso un monastero.
Nilo capì il gioco e, sia pure mortificato e a malincuore, insalutato ospite si allontanò da Roma, non prima però di aver pronosticato una triste ed immatura fine al giovane imperatore.
Il Filagato, intanto, venne trasferito in Germania a Masfeld, dove morirà intorno al 1o13, mentre S. Nilo rientrò a Serperi, dove nel silenzio e nella preghiera matura e perfeziona il progetto di spingersi ancora più avanti, alle porte di Roma, per offrire al mondo latino l’opportunità di conoscere più da vicino la spiritualità greca e creare così le basi di una più profonda comunione ed intesa in un momento storico drammatico, in cui i rapporti tra le chiese d’Occidente e d’Oriente andavano sempre più frantumandosi per motivi politici più che evangelici, e che, purtroppo, porterà allo scisma definitivo del 1054, con le reciproche scomuniche, solo di recente revocate.
Il progetto di S. Nilo prenderà corpo nella primavera del 1004, con l’avvio dei lavori di costruzione dell’abbazia di Grottaferrata, appena qualche mese prima della sua morte avvenuta il successivo 26 settembre alla veneranda età di 94 anni. La sua scomparsa non segnò, comunque, la fine del progetto in quanto il seme era già stato profondamente piantato nel cuore dei suoi monaci ed in particolare del suo giovane discepolo Bartolomeo. Questi non solo porterà a compimento la costruzione materiale dell’abbazia, ma sull’esempio del maestro continuerà a coltivare i rapporti di comunione con i latini e soprattutto con il papato.
E che questa ricerca di comunione fosse nell’intento del grande maestro i discepoli lo avevano capito già nei 15 anni in cui la comunità era vissuta a Vallelucio nella tenuta avuta da S. Nilo dai Benedettini di Montecassino. Qui il rapporto tra le due diverse regole monastiche, sotto la guida dei rispettivi santi abati, era stata di perfetta sintonia di spirito con scambi di esperienze liturgiche di grande effetto ed edificazione reciproca.
I successori di S. Nilo, con in prima fila Bartolomeo, continueranno quindi a vivere in quello stile di comunione e di apertura superando ogni diffidenza e dissapori. Ne è di testimonianza il fatto che nel 1024 a consacrare la chiesa dell’abbazia di S. Maria di Grottaferrata sarà chiamato lo stesso papa Giovanni XIX, grande amico dell’abate Bartolomeo, il quale mantenerrà rapporti di amicizia e di confidenza anche con i papi Benedetto VIII e IX, Gregorio VI e VII, arrivando perfino a prendere parte attiva, per la stima di cui era circondato, ai Sinodi romani del 1o36 e 1044.
Con la sua opera, pertanto, S. Nilo ha lasciato un segno così forte di impegno e di comunione nella fede, che mille anni di contrasti tra le chiese d’Oriente e d’Occidente non hanno nè spento, nè allentato. Anzi ancora oggi quell’isola di spiritualità orientale voluta da S. Nilo con intuito profetico alle porte di Roma, continua ad esercitare il suo fascino e costituisce fermo richiamo e riferimento al dialogo ecumenico a testimonianza storica di una comunione costruttiva tra le due anime occidentale ed orientale, che possono convivere, pur nella diversità di rito e di espressione.
E colpisce ancora di più il fatto che, mentre tutte le altre coeve e successive esperienze monastiche calabro-greco-normanne nel corso dei secoli sono andate via via scomparendo del tutto, la comunità greca dei monaci di S. Nilo, dopo mille anni è ancora lì, a due passi da Roma, faro e culla di spiritualità, seme e sfida ‘al nuovo millennio, perchè il mondo cristiano, e non solo questo, possa riavvicinarsi e realizzare nel dialogo e nel rispetto reciproco, quel miracolo di osmosi culturale e spirituale tanto auspicato e sollecitato da Giovanni Paolo II anche come frutto del Giubileo del 2000.
Ricerca fotografica e pagina scelta
da Salvatore Brugnano
“In Calabria tra storia e costume”
Ferrari editore 2003, pp.26-28