Rubrica quotidiana a cura di P. Salvatore Brugnano
Storie belle… per vivere meglio
Quando una mamma non perdona il figlio assassino.
– L’opinione pubblica è rimasta scossa da un incredibile delitto commesso a Torino: un uomo ucciso per un pacchetto di sigarette. L’aggressione è avvenuta nella notte: pugni, calci e forse bastonate.
– Il ventenne Francesco Lo Manto, si è reso responsabile dell’omicidio di un uomo di cinquantasei anni. Il movente è un futile motivo: lo ha ammesso, in lacrime, lo stesso assassino, confessando davanti alla polizia di “essersi rovinato la vita”.
– Augusto Bernardi, di cinquantasei anni, ha chiesto una sigaretta al giovane affacciato al balcone: questo sarebbe sceso a portargli alcune sigarette, ma l’uomo avrebbe tentato di portargli via l’intero pacchetto.
– Il ventenne aveva fumato del crack. – Successivamente il giovane, non trovando il cellulare, si sarebbe convinto di essere stato derubato: da qui l’aggressione. Il 56enne, tramortito, ha urlato mentre era a terra, dopo essere stato preso a pugni, a calci e forse a bastonate.
– I racconti dei vicini narrano di una scena surreale: ancora non era chiaro se il motivo del litigio fosse un cellulare oppure le sigarette. Tutti concordano con il fatto che il ragazzo assassino ha seguito tranquillo la polizia che lo ha la portato via, e siccome era in ciabatte, ha chiesto le scarpe. – La mamma ha fatto sapere “Non andrò mai a trovare mio figlio in carcere”.
Quella madre che non perdona il figlio assassino, lo ama davvero.
♦ Non andrò mai a trovare mio figlio in carcere”. – Il caso di cronaca avvenuto a Torino impressiona e genera una riflessione preziosa: la madre che dichiara di non perdonare il figlio di vent’anni che ha ucciso un uomo per un pacchetto di sigarette. Questo non tradisce l’amore materno, ma al contrario lo applica.
♥ E’ così: l’amore materno (e paterno, ovviamente) non può perdonare un figlio che uccide, ma deve desiderare che quel figlio vada in prigione e sconti il suo crimine. Infatti se uno uccide, il che è la colpa delle colpe, andare in carcere e scontare la colpa è quanto gli tocca. È il vero bene che possa ricevere in quel momento. E se qualcuno, padre o madre, si dà da fare perché non vada in prigione, ma resti libero e la faccia franca (e magari ci riesce), non gli fa del bene ma gli fa del male.
♥ Questa madre vuole il riscatto di suo figlio, e questo fa di lei una vera madre. Una madre è collegata alle altre madri, vive la sua vita insieme con loro, non contro di loro.
♥ Se un figlio uccide un uomo, la madre che punta a esonerarlo dall’espiazione della colpa, perdonandolo e nascondendolo, lo mantiene perennemente nella colpa, e se a tavola siede a mangiare di fronte a lui, vedrà continuamente un assassino e mai un figlio.
♥ Non-perdonare un figlio è una scelta difficilissima e dolorosa, assai più difficile e dolorosa che perdonare e chiuderla lì.
♦ Noi viviamo adesso in una società in cui la famiglia – nonostante tutte le sue crisi – è l’orizzonte che chiude la nostra vita: una cosa va bene se va bene per la famiglia, e nella famiglia dobbiamo proteggerci l’un l’altro, ogni famigliare fa di tutto perché gli altri famigliari siano preservati dalle punizioni sociali e dalla prigione…
♦ Ed ecco che a Torino una madre dichiara pubblicamente che non perdona il figlio che ha commesso una enorme colpa, sino a che non avrà fatto i conti con l’atto compiuto.
♥ In questo rifiuto del perdono, la signora è una vera madre.
Ricordando “Delitto e castigo” dello scrittore russo Fëdor Dostoevskij.
♦ La vita che si vive è la vita collegata da intimi legami con le vite di tutti. L’uccisione di un uomo taglia questi legami. Per vivere, bisogna ricucirli.
♦ Chi ha ucciso deve passare attraverso l’espiazione, la cui prima fase consiste nel riconoscere che la pena ci vuole ed è sbagliato evitarla.
♥ Alla fine di ‘Delitto e castigo’ l’assassino Raskólnikov calcola quanti anni gli restano ancora da scontare, sono otto, e a questa scoperta gli viene da piangere: ‘Soltanto otto?’. Lui vorrebbe che fossero di più, perché quel che ha fatto (uccidere una vecchietta) è mostruoso, e in questo atto, con l’assassino che fa il giudice di se stesso e si condanna a una pena superiore a quella stabilita dalla Giustizia, comincia la sua redenzione. Senza quella coscienza non c’è riscatto.
(fonte: cf Avvenire,it, martedì 12 luglio 2022, Ferdinando Camon).