Rubrica quotidiana a cura di P. Salvatore Brugnano
Storie belle… per vivere meglio
Quale Natale:
alla scuola del bue e dell’asinello.
Questa graziosa storia (raccolta in internet) richiede qualche minuto di lettura, ma ne vale la pena, e per il suo significato e anche per la discussione che in questi tempi sta appassionando gli amanti degli animali e la riflessione teologica circa il paradiso degli animali.
Nel paradiso degli animali l’anima dell’asinello chiese all’anima del bue: “Ti ricordi per caso quella notte, tanti anni fa, quando ci siamo trovati in una specie di capanna e là, nella mangiatoia…?”
“Lasciami pensare… Ma sì – rispose il bue – nella mangiatoia, se ben ricordo, c’era un bambino appena nato”.
“Bravo. E da allora sapresti immaginare quanti anni sono passati?”
“Eh no, figurati! Con la memoria da bue che mi ritrovo”.
“Più di duemila”.
“Accipicchia”.
“E a proposito, lo sai chi era quel bambino?”
“Come faccio a saperlo? Era gente di passaggio, se non sbaglio. Certo, era un bellissimo bambino”.
L’asinello sussurrò qualche cosa al bue.
“Ma no! – fece costui – sul serio? Vorrai scherzare spero”.
“La verità, lo giuro. Del resto io lo avevo capito subito…”
“Io no – confessò il bue – si vede che tu sei più intelligente. A me, non aveva neppure sfiorato il sospetto. Benché, certo, a vedersi, era un bambino straordinario”.
“Bene, da allora gli uomini ogni anno fanno grande festa per l’anniversario della nascita. Per loro è la giornata più bella. Tu li vedessi. È il tempo delle serenità, della dolcezza, del riposo dell’animo, della pace, delle gioie familiari, del volersi bene. Perfino i manigoldi diventano buoni come agnelli. Lo chiamano Natale. Anzi, mi viene un’idea, già che siamo in argomento, perché non andiamo a dare un’occhiata?”
Partirono. Lievi, lievi. Planarono sulla terra, adocchiarono un lume, vi puntarono sopra.
Il lume era una grandissima città.
Ed ecco il somarello e il bue aggirarsi per le vie del centro, trattandosi di spirito, automobili e tram gli passavano in mezzo senza danno, e a loro volta le due bestie passavano attraverso come se fossero fatti d’aria. Così potevano vedere bene tutto quanto.
Era uno spettacolo impressionante, mille lumi, le vetrine, le ghirlande, gli abeti e lo sterminato ingorgo di automobili, e il vertiginoso formicolio della gente che andava e veniva, entrava ed usciva, tutti carichi di pacchetti, con un’espressione ansiosa e frenetica, come se fossero inseguiti.
Il somarello sembrava divertito. Il bue si guardava intorno con spavento.
“Senti amico: mi avevi detto che mi portavi a vedere il Natale. Ma devi esseri sbagliato. Qui stanno facendo alla guerra”.
“Ma non vedi come sono tutti contenti?”
“Contenti? A me sembrano pazzi”.
“Perché tu sei un provinciale, caro il mio bue. Tu non sei pratico degli uomini moderni, tutto qui. Per sentirsi felici, hanno bisogno di rovinarsi i nervi”.
Più avanti ad una finestra. C’era gente che, trafelata, scriveva biglietti su biglietti, la fronte imperlata di sudore. Si vedevano uomini e donne fare pacchi, preparare buste, correre al telefono, spostarsi fulmineamente da una stanza all’altra portando pacchi,
spaghi, nastri, carte, pendagli e intanto entravano giovani inservienti con la faccia devastata portando altri pacchi altre scatole, altri fiori, altri mucchi di auguri. E tutto era precipitazione, ansia, fastidio, confusione e una terribile fatica.
Dappertutto lo stesso spettacolo.
Andare e venire, comprare e impaccare, spedire e ricevere, imballare e sballare, chiamare e rispondere e tutti guardavano continuamente l’orologio, tutti correvano, tutti ansimavano con il terrore di non fare in tempo e qualcuno crollava boccheggiando.
“Ma avevi detto – osservò il bue – che era la festa della serenità e della pace”.
“Già – rispose l’asinello – una volta era così. Ma cosa vuoi, da qualche anno, sarà questione della società dei consumi… Li ha morsi una misteriosa tarantola. Ascoltali, ascoltali!”
Il bue tese le orecchie. Per le strade, nei negozi , negli uffici, nelle fabbriche uomini e donne parlavano fitto fitto scambiandosi come automi delle monotone formule di buon Natale, auguri, auguri, altrettanto auguri a lei grazie. Un brusio che riempiva la città.
“Ma ci credono? – chiese il bue – Lo dicono sul serio? Vogliono veramente tanto bene al prossimo?”
L’asinello tacque.
“E se ci ritirassimo un poco in disparte? – suggerì il bovino – Ho ormai la testa che è un pallone. Sei proprio sicuro che non sono usciti tutti matti?”
“No, no. È semplicemente Natale”.
“Ce n’è troppo, allora. Ti ricordi quella notte a Betlemme, la capanna, i pastori, quel bel bambino. Era freddo anche lì, eppure c’era una pace, una soddisfazione. Come era diverso!” “E quelle zampogne lontane che si sentivano appena appena”. “E sul tetto, ti ricordi, come un lieve svolazzamento. Chissà che uccelli erano”.
“Uccelli? Testone che non sei altro. Angeli erano!”.
“E la stella? Non ti ricordi che razza di stella, proprio sopra la capanna? Chissà che non ci sia ancora, le stelle hanno la vita lunga”.
“Ho idea di no – disse l’asino – c’è poca aria di stelle, qui”.
Alzarono il muso a guardare, e infatti non si vedeva niente, sulla città c’era un soffitto di caligine e di smog.
S. Alfonso de Liguori. “Quanno Nascette Ninno”.
«Non c’erano nemici nemici per la terra. La pecora pasceva con il leone. Col capretto, si vide il leopardo giocare. L’orso e il vitello e, con il lupo, in pace l’agnellino.
Gli angeli misero a cantare: “Gloria a Dio, pace in terra! Mai più guerra: è nato il Re d’amore, che dona gioia e pace ad ogni cuore!»