Due chiacchiere con Abate, Desiati e Di Stefano
L’utilità dei Premi secondo i tre finalisti
Dopo tanta attesa, si è finalmente alzato il sipario sul palco del Premio “Tropea”: un’apertura al cardiopalma per le reiterate minacce di Giove Pluvio che oggi ha visitato la bella cittadina tirrenica a più riprese. Ma gli Dei, o chi per loro e nella loro imperscrutabilità, hanno poi deciso che una così frizzante e bella occasione per discettare di libri in libertà non potesse essere turbata da qualche nube.
Il Commissario Prefettizio di Tropea, Giovanni Cirillo, ha portato il suo saluto di benvenuto al pubblico e ai numerosi scrittori e giornalisti che sono intervenuti.
In “carne ed ossa” i tre finalisti, Carmine Abate con Gli anni veloci (edito Mondadori), Mario Desiati con Il paese delle spose infelici (pubblicato sempre Mondadori), e Paolo Di Stefano con Nel cuore che ti cerca (edito Rizzoli).
Introdotti dai fiati sfavillanti della Binghillo Blues Band i tre finalisti annunciati da Pasqualino Pandullo e Livia Blasi, con placido atteggiamento da amici, sono stati concordi sul tema “Premi letterari”.
Carmine Abate si è dichiarato convinto che i premi servono a diffondere la cultura del libro, a maggior ragione il Premio “Tropea” che si diffonde in maniera capillare raggiungendo tutti i comuni attraverso i 409 sindaci calabresi.
Mario Desiati categoricamente ha esposto due motivazioni dell’utilità dei premi: promuovere i libri e diffondere la lettura. E infine è sbottato: snobbano i premi solo coloro i quali non riescono e vincerli, quando ci riescono, smettono di snobbarli.
Paolo di Stefano concorda come i suoi colleghi finalisti: sulla funzione che i premi riescono ad avere nel costruire comunità di lettori. Una funzione che sopratutto i premi “medi” riescono a svolgere davvero: infatti proprio perché sono meno visibili, sono più veri. Mentre quelli maggiori sono vittime delle strategie delle grandi case editrici.