Rubrica quotidiana a cura di P. Salvatore Brugnano
Storie belle… per vivere meglio
Perseguitato e in lotta con i lupi
– E’ la storia del vescovo cecoslovacco Ján Vojtaššak, vittima sella persecuzione comunista che un docufilm «I giorni dei barbari» porta a conoscenza del grande pubblico. Perché non tutto si conosce; e conoscere è la condizione necessaria per non ripetere orrori e ingiustizie.
– Se abbiamo conosciuto gli orrori dell’Olocausto e e di altri genocidi e ne custodiamo gelosamente la memoria, lo stesso occorre fare per storie “minori”, dove occorre maggiore attenzione, perché non siano insabbiate o addirittura rimosse.
– Fatti che costituiscono un momento storico essenziale per capire le tragedie del Novecento, avvenimenti sempre attuali perché tutto nel tempo può ripetersi se non è conosciuto. “Per non dimenticare”, si è soliti dire con uno slogan spesso abusato. – L’umanità, per continuare a vivere umanamente, deve purificare continuamente la sua memoria.
«I giorni dei barbari», è il docufilm sulla vita di Ján Vojtaššak, vescovo cecoslovacco martire del comunismo.
♦ Il film ricostruisce la storia di Ján Vojtaššak (1877-1965), vescovo slovacco perseguitato tra gli anni ’50 e ’60, ammirato da Giovanni Paolo II che fu tra i primi a voler pronunciare il suo nome dopo anni di carcere e decenni di oblio. Rievoca un altro titolo: “9 agosto 378, il giorno dei barbari” che invasero l’impero romano portandolo alla sua caduta.
♦ “Ján e la lotta coi lupi” può essere un sottotitolo che deriva da un dipinto raffigurante un branco di lupi, affrescato sul muro della sua chiesa, in una delle prime inquadrature del film: quasi una profezia del futuro che lo aspetta. Una profezia, purtroppo, estremamente precisa.
♦ Il branco dei suoi persecutori, in effetti, non gli darà tregua fino all’ultimo giorno della sua vita terrena, costringendolo a morire in esilio, lontano dalla sua famiglia, da suo nipote (sacerdote come lui) e dal suo amatissimo paese natale, Zákamenné.
♦ Il protagonista — sia dell’affresco che del documentario realizzato a cura di Alberto Di Giglio e Luigi Boneschi — è Ján Vojtaššak, vescovo slovacco morto nel 1965, perseguitato per la sua fede e il suo apostolato con intimidazioni, calunnie, torture. «Uno dei personaggi più significativi nella Chiesa cattolica europea del ventesimo secolo, ammirato da Giovanni Paolo II , tra i primi a voler pronunciare il suo nome dopo anni di carcere e decenni di oblio. E che, soprattutto e malgrado tutto, non fu mai dimenticato dal suo popolo».
♦ Vojtaššak, spiegano gli autori, non dice molto allo spettatore medio, ma è un nome simbolo della Slovacchia e della Chiesa del Novecento che ha sofferto persecuzioni terribili, di cui pochi parlano.
♥ «Una violenza che facciamo fatica anche solo a immaginare» precisa la voce decisa e lo sguardo azzurro del cardinale Jozef Tomko, slovacco come Vojtaššak, testimone d’eccezione di una pagina di storia completamente rimossa.
♥ Fatti che, invece, «costituiscono un momento storico essenziale per capire le tragedie del Novecento, avvenimenti sempre attuali perché tutto nel tempo può ripetersi se non è conosciuto».
Per non dimenticare, si è soliti dire con uno slogan spesso abusato. È importante, invece, quale sia il fatto importante da tenere a mente.
♥ Il fatto, documentabile in ogni epoca della storia, «che la fede è invisa a ogni totalitarismo, ed è uno dei fondamenti di quel concetto così apparentemente scontato come la libertà.
E che la preghiera e un’intensa spiritualità sono tra le poche armi che salvano, quando ci si trova come Vojtaššak, “sotto la terra nera”».
♦ La descrizione dei terribili giorni in carcere, negli scritti dove il vescovo parla degli interrogatori subiti dagli aguzzini, è sintetica, essenziale, senza alcuna traccia di sentimentalismo; come se fossero fatti successi a qualcun altro.
♦ «Inutile descrivere i dettagli — scrive il vescovo della diocesi di Spiš —. Si trattò di una distruzione della persona e della dignità umana sotto la terra nera (…) con atti atroci di sadismo fino all’immiserimento del corpo e all’annientamento psicologico».
♦ Le scene di fiction si alternano a immagini inedite provenienti dagli archivi della ex Cecoslovacchia, dall’oasi di pace della sede episcopale di Spišská Kapitula e dalla prigione di Leopoldov.
♦ Le nude celle di Leopoldov sono il simbolo stesso della “passione” di Mons. Ján, vittima di una serie di processi farsa, fino a ricevere una condanna a 24 anni di carcere per presunte attività di spionaggio a favore del Vaticano. Un reato ovviamente inesistente, inventato nel contesto di una sistematica repressione del governo della Cssr tesa ad estirpare la religione dalle coscienze e dalla vita dei fedeli cattolici. Tentativo capillare e violentissimo, ma fallito.
♥ Vojtaššak morì infine nel 1965, vicino Praga, esiliato e rimosso da qualsiasi contatto con la sua diocesi e la sua terra, esempio di fede (è in corso la causa di beatificazione; particolarmente commovente è la testimonianza di suor Maria Damiana Vihonská) per quella Chiesa del silenzio che contribuì al crollo del regime totalitario cecoslovacco.
♥ Il 2 agosto del 1965 Vojtassàk, dopo una apoplessia cerebrale fu portato in un ospedale vicino Praga ove morì due giorni dopo. Nonostante quello che aveva vissuto il vescovo perdonò coloro che lo fecero soffrire.
♦ Nel docufilm, la forza tranquilla del vescovo ha il volto di Milan Kasan, attore teatrale, conterraneo e cultore di Vojtaššak, col quale avverte una profonda simbiosi spirituale, protagonista anche dell’omonima pièce teatrale allestita a Zákamenné.
♦ A Venezia – al Festival dei popoli e religioni – ha dimostrato di essere entrato pienamente nel personaggio.
(fonte: cf L’Osservatore Romano,18 settembre 2020).