Rubrica quotidiana a cura di P. Salvatore Brugnano
Storie belle… per vivere meglio
Nel carcere di Velletri aspettando il Papa.
«Povertà tra le povertà, il carcere rappresenta un impegno di carità tra i più difficili e coinvolgenti»; esso vede impegnati sacerdoti e laici volontari. La figura del cappellano del carcere rimane senz’altro un punto di riferimento.
– “Un pronto soccorso caritativo e spirituale”, così vive la propria missione don Franco Diamante, cappellano della casa circondariale di Velletri, dove si recherà Papa Francesco il prossimo giovedì santo per la messa nella Cena del Signore con la lavanda dei piedi ai detenuti. Viva e gioiosa è l’attesa dei detenuti, ai quali nel 2016 Papa Francesco aveva inviato una lettera.
– Il carcere, da luogo di pena, può diventare una Comunità di persone che insieme possono iniziare un percorso di redenzione e di reinserimento nella società. Davvero interessante ‘lintervista all’«Osservatore Romano» concessa dal cappellano don Franco.
Un pronto soccorso caritativo e spirituale
Un «pronto soccorso caritativo» e spirituale per persone «che hanno bisogno soprattutto di imparare la vita bella del Vangelo», perché «chi è dentro il carcere e lo conosce» frequenta esseri umani, non animali feroci.
Riassume così don Franco Diamante la propria missione di cappellano nella Casa circondariale di Velletri, scelta da Papa Francesco per lavare i piedi ai detenuti durante la messa nella Cena del Signore il prossimo Giovedì santo.
Il penitenziario ospita attualmente quasi seicento uomini, molti dei quali di nazionalità straniera, in prevalenza romeni, marocchini, albanesi, tunisini e nigeriani. Diversi sono i tipi di crimini commessi, così come differenti le pene che devono scontare.
Sotto la direzione di una donna, Maria Donata Iannantuono, completano la comunità circa 200 agenti di custodia, anch’essi comandati da una donna, Maria Luisa Abbossida, e un centinaio di civili con varie mansioni.
In questa intervista all’«Osservatore Romano» il sacerdote parla delle attese dei suoi “parrocchiani” e del loro «bisogno di sentirsi più forti vicino» al Papa.
– Da quanto tempo si occupa di pastorale carceraria?
Sono entrato in questo mondo nell’anno 2000, al mio ritorno da un’esperienza in Messico come prete fidei donum, dove i campesinos, in particolare le donne anziane, mi chiamavano con l’affettuoso diminutivo padrecito. Poi nel 2007 il vescovo di Velletri mi ha chiamato a prendere il posto del cappellano del penitenziario che andava in pensione.
– Come si concretizza questo ministero “dietro le sbarre”?
Nulla di particolarmente diverso rispetto alla vita di una normale parrocchia. Gli antichi romani per definire i territori sconosciuti usavano la definizione Hic sunt leones. Ma chi è dentro il carcere e lo conosce, leoni non ne frequenta.
Nel corso della settimana celebriamo l’Eucaristia, chi vuole partecipa alla catechesi e ai molti che chiedono si va incontro nella carità.
Il cappellano e i volontari sono al servizio di tutti, senza discriminazioni di nessun genere e senza tentazioni di proselitismo. Anzi, in realtà i più assistiti sono proprio i detenuti stranieri che professano altre fedi, ovviamente perché sono i più poveri.
Del resto, la predicazione è il servizio più grande, perché queste persone hanno bisogno soprattutto di conoscere la vita bella del Vangelo.
– Ci sono altre realtà che la aiutano?
Con il cappellano operano diversi volontari, nella liturgia, nella catechesi e nel “pronto soccorso caritativo”. Ci sono altre due associazioni di volontariato con le quali si collabora in modo complementare, in armonia ma anche nella diversità di modalità e di obiettivi prossimi.
– Quali sono le specificità e le criticità della Casa circondariale di Velletri?
A mio parere qui c’è una buona fama di umanità e di moderazione che viene da lontano. I rapporti tra i detenuti e le figure istituzionali, in primis la Polizia penitenziaria, sono improntati al rispetto reciproco e alla comprensione dei problemi degli uni e degli altri.
Generalmente i reclusi si esprimono bene sull’operato delle guardie che non solo vigilano, ma ascoltano e si adoperano per le esigenze dei primi. Quanto alle problematicità, sono quelle comuni a tutti i penitenziari italiani. Ne voglio sottolineare una: il difficile accesso ai benefici previsti dalla legge e alle pene alternative alla detenzione.
– Cosa si aspettano i detenuti dalla visita del Pontefice?
Ognuno singolarmente desidererebbe un incontro personale con il Santo Padre per aprirgli il proprio cuore.
Sperano di stringergli almeno la mano e ricevere uno sguardo. Non è la vanità di chi ama fotografarsi con i vip, ma il bisogno di sentirsi più forti vicino al Papa, che per i carcerati ha sempre parole incoraggianti.
♥♥ Di certo sarà un giorno di grande festa e tutti potranno assaporare un po’ di gioia, come quando splende il sole e tutti ne ricevono un raggio benefico. Quanto bisogno c’è di festa in questo luogo ove essa è pressoché sconosciuta!
(fonte: Osservatore Romano, 13 aprile 2019).