Rubrica quotidiana a cura di P. Salvatore Brugnano
Storie belle… per vivere meglio
Morire da soli, ma in pace e gioia.
– L’opinione pubblica è rimasta colpita della vicenda della casa madre dei missionari saveriani che in una settimana hanno visto morire 13 loro anziani confratelli, già missionari in altre parti del mondo. Questi decessi sono stati attribuibili al coronavirus che li avrebbe contagiato.
– Per essi, però, è stato il segno della profonda comunione con la realtà in cui vivevano questo ultimo periodo della loro vita. Si parla anche di un confratello che abbia salutato tutti, con piena conoscenza e consapevolezza, con le braccia alzate in segno di vittoria sulla morte che stava per portarlo via. E un sorriso trasfigurava il suo volto sofferente.
– Si sono auto isolati, non sono più usciti e non hanno fatto entrare nel tentativo di proteggere loro stessi, ma soprattutto gli altri. – Nella infermeria della struttura hanno affrontato il combattimento con la morte incombente e l”anno affrontato serenamente.
Una vita donata ai fratelli fino in fondo.
♥ “Queste vittime sono missionari che hanno lavorato in Africa, in America Latina e in Asia. E se in tutta la loro vita hanno avuto addosso l’odore delle pecore, come dice Papa Francesco. In questa ultima parte della loro vita hanno addosso il virus che sta colpendo tante donne e tanti uomini. Nel dolore c’è una profonda comunione di noi missionari con la realtà nella quale siamo immersi”.
♦ Padre Rosario Giannattasio, Superiore in Italia dei missionari saveriani, ha commentato così con Vatican news la triste notizia del decesso di ben 13 missionari saveriani morti nel giro di 15 giorni, nella casa madre di Parma. Si suppone che la causa sia l’infezione da Coronavirus, ma non se ne ha la “certezza assoluta”, poiché non è stato fatto loro il tampone.
Padre Rosario Giannattasio spiega che “è chiaro che dietro c’è questo COVID 19, poiché si è registrata “una anomalia di morti continue. In casa madre in un anno muoiono di solito 4-5 persone, ora ne sono morte 13 in 15 giorni”.
♥ Ricorda i nomi di tutti padri deceduti: Stefano Coronese, Gerardo Caglioni, Luigi Masseroni, Giuseppe Scintu, Guglielmo Saderi, Giuseppe Rizzi, Piermario Tassi, Vittorio Ferrari, Enrico Di Nicolò, Corrado Stradiotto, Pilade Giuseppe Rossini, Nicola Masi e padre Piergiorgio Bettati (l’ultimo deceduto in ordine di tempo, il 23 marzo scorso).
♥ Si sono ammalati in isolamento, a partire già da febbraio, nella struttura che li ospitava, quella Casa dove c’è sempre una grande circolazione di persone provenienti da tutto il mondo e che era stata aperta il 15 Novembre del 1895 dal fondatore San Guido M. Conforti.
♦ La reazione di chi rimane è di grande sofferenza, dice il superiore, ma anche di consolazione “nel prendere atto di questa vita donata ai fratelli e vissuta fino in fondo”… “Questo non ci fa rallegrare ma ci fa dire grazie a Dio di aver vissuto fino in fondo la nostra vocazione”.
♦ Padre Rosario dice che i saveriani hanno “ricevuto in cambio tantissimo” in questi giorni di sofferenza.
“Moltissime persone hanno dimostrato solidarietà attraverso la via telefonica, gli aiuti, le raccomandazioni di preghiera.
♦ Queste morti hanno un aspetto fecondo nel dimostrare che la carità cristiana esiste ancora ed esiste una grande valenza umana nella nostra terra”.
♦ La Casa madre di Parma è un luogo simbolico importante, che ospita il santuario intitolato al fondatore, vescovo parmense dei primi del Novecento. Ospita anche “il museo d’arte cinese ed etnografico; la biblioteca e uno speciale itinerario che racconta memorie e testimonianze missionarie”.
♥ All’ultimo piano del “maestoso edificio dalle forme neoromaniche, c’è anche una residenza per accogliere i missionari più anziani” ed è qui che i padri hanno trascorso gli ultimi giorni di vita.
La folta la pattuglia di quanti avevano donato il cuore, la mente e le forze all’Africa: fra essi Gerardo Caglioni — 73 anni, il più giovane tra le vittime — e Pilade Rossini avevano operato in Sierra Leone dove i saveriani festeggiano, proprio nel 2020, i settant’anni di presenza”.
Il gruppo più numeroso è costituito da missionari che avevano speso la vita nell’attuale Repubblica Democratica del Congo, specialmente nella regione del Kivu: area al centro di quella che viene definita “la guerra mondiale africana”, infestata da milizie ma anche da epidemie di un virus letale come l’ebola”.
(fonte: missioitalia.it/saveriani-parma, 26 marzo).
La morte, un tempo favorevole (S. Alfonso).
♦ L’Apparecchio alla morte, opera scritta da S. Alfonso nel 1758 ebbe l’effetto come di una missione generale in tutto il Regno di Napoli, perché da cima a fondo l’opera manifestava una pressante esortazione a convertirsi: “Dunque, fratello mio, presto datti a Dio, prima che venga la morte!”
♦ La meditazione sulla morte, proposta da S. Alfonso, non era una fuga dalla vita, ma una meditazione che gettava luce sulla vita presente che ha un alto prezzo.
♦Guardando alla morte il lettore ringrazia per la presente ora della salvezza. E il proposito viene ribadito: “Mio Dio, non voglio più dissipare quel tempo, che mi date per riparare il mal fatto; voglio spenderlo tutto in servirvi ed amarvi”. Tale preghiera diventa ringraziamento esplicito per il tempo che ci viene donato, affinché serviamo Dio e operiamo la nostra salvezza.
♦ Ammirevole il deciso tentativo Di S. Alfonso di aiutare gli uomini a familiarizzare con la morte o perlomeno di riconciliarli con essa e di indurli a decidersi in maniera più energica per una vita da vivere in Cristo con il necessario distacco che serve.
Ma tutto ciò contraddice allo spirito imperante anche nel nostro tempo, che la tremenda crisi della epidemia del coronavirus sta facendo vacillare vistosamente.
♥ In questa ottica bisogna riconoscere la grande attualità del libro, perché l’umanità odierna soffre molto per aver “rimosso la morte: “Chi non accetta la verità della morte, si preclude anche l’accesso alla verità piena della vita”.
♥ S. Alfonso presenta la morte del cristiano fedele e la morte del penitente come un gioioso ritorno in patria, come inizio della festa della gioia eterna. Si percepisce continuamente che egli dimostra uno zelo particolare per indurre i suoi lettori a scegliere in modo giusto e deciso in favore della morte quale punto culminante e lieto ritorno in patria e contro la morte vista come sventura e castigo.
Preghiera di S. Alfonso.
Dolcissimo Gesù mio, non voglio come il Cireneo ricusare la croce, io l’abbraccio e l’accetto. – Accetto specialmente la morte che mi sta destinata con tutte quelle pene che l’accompagneranno; l’unisco con la tua morte e te la offro. – Tu sei morto per amor mio, io voglio morire per amor tuo e per darti gusto.
(dalla Via Crucis).