Rubrica quotidiana a cura di P. Salvatore Brugnano
Storie belle… per vivere meglio
Messaggi di vita nuova da Hiroshima e Nagasaki.
- Papa Francesco a Hiroshima e Nagasaki sui luoghi dell’abisso di dolore che furono Hiroshima e Nagasaki: “Mai più la guerra, mai più il boato delle armi mai più tanta sofferenza!”.
– Nei luoghi dell’apocalisse nucleare, il Papa chiamato dai giapponesi in segno di rispetto “Kyo-o”, e cioè “Imperatore”, si è inchinato davanti ai morti e a coloro che, sopravvissuti, hanno sopportato nei propri corpi per molti anni le sofferenze più acute. E ha ricordato severamente che “l’uso dell’energia atomica per fini di guerra, e anche il suo possesso, è immorale”. “Saremo giudicati per questo”, ha detto, E ancora: “Le nuove generazioni si alzeranno come giudici della nostra disfatta”.
– Hiroshima il 6 agosto 1945, durante la seconda guerra mondiale, fu bersaglio della bomba atomica al plutonio “Little Boy”, la prima mai fatta esplodere su un’area popolata. Tre giorni dopo, il 9 agosto, l’altra bomba nucleare “Fat Man” fu sganciata su Nagasaki. Distruzione totale e migliaia e migliaia di morti, rimasti tutti uniti da uno stesso destino, in un’ora tremenda che segnò per sempre non solo la storia di questo Paese, ma il volto dell’umanità”. Quell’abisso di dolore – ha detto Papa Francesco, deve far richiamare i limiti che non si dovrebbero mai oltrepassare”. E la vera pace può essere solo una pace disarmata.
– Tutti oggi ne debbono continuare a sentire la responsabilità, perché l’umanità non dimentichi quanto è successo.
A colloquio con un sopravvissuto di Hiroshima.
Perché l’umanità non dimentichi l’orrore del nucleare, don Gregorio Fukahori Shoji, prete ottantaduenne di Hiroshima, ha accettato di raccontare anche a «L’Osservatore Romano» i ricordi legati a quel 6 agosto 1945 in cui il mondo conobbe per la prima volta gli effetti devastanti della bomba atomica. Grazie a Maria De Giorgi, missionaria saveriana in Giappone, che ci ha fatto da interprete, abbiamo rivolto a don Gregorio alcune domande.
Che cosa ricorda del momento in cui ci fu l’esplosione?
Avevo 8 anni e frequentavo la terza elementare. La mia casa si trovava a tre chilometri circa dall’epicentro. Quel mattino mia madre mi aveva mandato a portare della verdura a una famiglia che viveva in una povera abitazione a 300 metri dalla nostra. Erano le 8.15. All’inizio sentendo un calore fortissimo, cercai di correre in una zona d’ombra e, come mi avevano insegnato durante le esercitazioni contro gli attacchi dal cielo, corsi verso il rifugio antiaereo. Mi ero appena accucciato dietro il muretto che ne proteggeva l’ingresso quando ci fu un enorme boato. Istintivamente chiusi gli occhi e mi coprii le orecchie con le due mani. Per fortuna, l’esplosione avvenne dall’altro lato del muretto dove mi trovavo e questo mi salvò. La mano sinistra fu colpita da una raffica di vento caldo, ma non ebbi ustioni.
Che conseguenze ha avuto la bomba sulla sua vita e su quella dei suoi familiari?
Appena le cose si calmarono, capii che era successo qualcosa di grave. L’odore di bruciato e la pioggia di cenere scura mi inquietavano: senza consegnare le verdure che avevo con me, corsi subito verso casa. Lungo la strada incontrai alcune persone che erano state colpite dalle radiazioni. Quando arrivai trovai solo lo scheletro della nostra abitazione. Mia madre e il mio fratellino di 3 anni, che erano all’interno durante lo scoppio, erano feriti e sanguinanti ma ancora vivi. Anche mia sorella maggiore, che si trovava al secondo piano, si è salvata. Ma tanti di quelli che conoscevamo se ne sono andati in quell’istante.
Cosa si sente di dire alle nuove generazioni?
Nell’appello che Giovanni Paolo II lanciò nel 1981 quando venne qui a Hiroshima disse: «La guerra è opera dell’uomo».
Quelle parole mi rimasero nel cuore. Fino ad allora non avevo parlato con nessuno dell’esperienza dell’atomica. Ora, però, voglio continuare a ripetere a tutti: «È cosa veramente misera, stolta e assurda che l’uomo usi la sua intelligenza e ciò che ha saputo costruire per uccidere altri esseri umani».
(fonte: L’Osservatore Romano, 23 novembre 2019).