Il romanzo del 2013 dello scrittore finlandese di lingua svedese pubblicato da Iperborea nel 2017
«Rimase lì nella mattina di novembre gelida e trasparente come ghiaccio e pensò che il mondo che conosceva e per il quale aveva nutrito tante speranze si era dissolto nel nulla: forse non c’era mai stato?»
C’è un passato che ritorna, un futuro apparentemente dietro l’angolo che però è ancora lontano e tutto – in una profonda trama psicologica – si svolge sotto gli occhi del lettore come se fosse accaduto in un presente grigio. Due i protagonisti della riflessione su un anno, il 1938, che l’autore Kjell Westö (scrittore finlandese di lingua svedese) riesce magistralmente a rievocare intrecciando la storia dell’Europa – ormai sull’orlo del secondo conflitto mondiale – con la quotidianità di amici che vivono le tensioni, le speranze e le illusioni in una Finlandia attraversata dalle ideologie del XX secolo. Claes Thune e Matilda Wiik: lui, avvocato ed editorialista su influenti quotidiani con alle spalle una fallita carriera diplomatica. La moglie, Gabi, autrice di romanzi erotici lo ha abbandonato per l’amico dottore Robert Lindemark, e lui è ritornato ad Helsinki con il suo bagaglio di ideali traditi; lei, invece, è la nuova segretaria di Thune, donna riservata, precisa e silenziosa, sorella di un musicista alcolizzato, appassionata di cinema, abbandonata dal marito e con un passato di brutti ricordi di ciò che ha subito nella guerra civile finlandese di vent’anni prima. Era il 1918 quando molte famiglie finlandesi furono deportate dai “Bianchi” – la milizia finlandese conservatrice e nazionalista appoggiata da Germania e Svezia – che ebbe la meglio sui “Rossi”, filo-bolscevichi. Questi ricordi porteranno Matilda nelle ultime pagine del romanzo a compiere la propria vendetta.
Intorno ai due personaggi tristi e infelici, empatici, divisi dalle barriere sociali, che colgono in maniera reciproca il dolore dell’anima senza andare oltre, senza giudicarsi, e che continueranno a osservarsi e a cercarsi per tutto il romanzo, il “Circolo del mercoledì” degli amici di Thune: due medici, Robi Lindemark e Lorens Aurelius, l’uomo d’affari Leopold Gronroos, l’attore-poeta ebreo Joachim Jary e il giornalista Guido Roman. In primo piano il quadro politico del tempo, l’ammirazione e il timore della Germania di Hitler, dell’Unione Sovietica di Stalin, le riflessioni sulla società e il futuro dell’uomo, la democrazia, il racconto di una realtà che tutti pensano di conoscere, di vivere al meglio nella propria esistenza tra luci e ombre, di poter progettare, di potersi ricreare un domani migliore, diverso da quel passato triste oramai alle loro spalle. Invece le premesse si trasformeranno in un miraggio, Miraggio 1938, un anno in cui ancora tutti vivevano sognando un futuro migliore per poi l’anno successivo vederlo dissolversi nel secondo conflitto mondiale. Scrive Westö nelle ultime pagine del romanzo:«A Thune parve di vedere una figura familiare fra i pittori. All’inizio non riuscì a collocarla, ma poi gli venne in mente: era la donna arrivata in barca a remi a Synnerstlanden mentre lui prendeva il sole, in agosto. Frugò nella memoria. Cosa gli aveva detto…? Di non angosciarsi tanto? C’era anche qualcos’altro, qualcosa che aveva dimenticato. La cercò di nuovo con lo sguardo, ma era sparita. Passò con gli occhi da un pittore all’altro senza trovarla e dopo qualche secondo fu certo di non averla vista affatto. Un miraggio. Come molto altro. L’intera mattinata e l’intera sua vita sembravano di colpo un miraggio impalpabile. Come se niente fosse davvero reale, come se tutto ciò che intraprendeva restasse non fatto»
Claes Thune non è solo un avvocato ma, come abbiamo detto, è anche un opinionista rispettato che con i suoi articoli comincia a farsi nemici e subisce un pestaggio quando pubblica sui più influenti quotidiani finlandesi editoriali contro l’astro nascente della politica tedesca, Adolf Hitler.
Appare come un uomo impacciato l’ avvocato Thune, con la sua goffa malinconia e l’ostinato attaccamento ai principi dell’umanesimo liberale, ben simboleggia lo stato d’animo della democrazia finlandese ed europea, in procinto di soccombere all’irrazionalità e al nazionalismo. Il “Circolo del mercoledì” è proprio il microcosmo Altoborghese che, tra luci e ombre, ripropone il confronto tra le nuove idee che si stanno facendo largo nell’Europa degli anni Trenta. Scrive Westö: «Lunghe cascate di parole da una manciata di uomini che avevano un’alta opinione di sé. Toni magniloquenti, a volte tali da farli sembrare pessimi attori che declamavano su un palcoscenico. Nessuna umiltà, battute rozze e volgari, senza eccezioni. Thune era stato il più taciturno e meno vanaglorioso degli altri. La sua voce si era sentita abbastanza poco e suonava distratta e poco interessata. Gli altri, invece! Come facevano a non capire che per diventare saggi bisogna saper ascoltare e non blaterare, innamorati della propria voce, ripetendo le stesse opinioni già espresse chissà quante volte?». Lentamente il Circolo si disgregherà, perché non più un luogo di confronto, di dibattito, di scambio di idee, tra una bevuta e l’altra, bensì il teatro di un più netto scontro politico, dove era iniziata una guerra. Westö è molto bravo a delineare la psicologia dei personaggi, a presentarli mentre interagiscono nel romanzo sempre con il loro profilo migliore, senza lasciar trapelare alcun punto debole, senza far emergere sbavatura. Solo in un caso l’autore si spinge oltre, con Jary, l’artista ebreo malato e ossessionato per la discriminazione degli ebrei che inizia a vedere ovunque, prematuramente, come una sorta di premonizione. Tutti al Circolo sanno dei problemi di Jary, e si danno da fare per aiutarlo. Thune si sente in colpa per lui: «Jogi avrebbe potuto salvarsi se lui fosse stato un amico migliore e più capace di sostenerlo? Non lo sapeva». Si sfiora il futuro con i pensieri, non il futuro che ci si aspettava di vivere, tutto, lo si percepisce lentamente, sta crollando, in breve tempo si disgregherà.
Anche una nota dell’editore in apertura del libro spiega un dettaglio storico che sarà un avvenimento importante nella trama del romanzo: nel 1938, in una Helsinki che si preparava ad ospitare i giochi olimpici del 1940, il 21 giugno si correvano i cento metri che dovevano designare il campione nazionale. Non ci sono dubbi sul vincitore, una fotografia lo mostra chiaramente. Abraham Tokazier tagliò il traguardo per primo. Eppure i giudici lo classificarono quarto, paradossalmente dopo l’atleta che la foto mostra nettamente più indietro. Non ci sono dubbi neppure sulla motivazione di un’attribuzione così ingiusta (‘la giustizia è un privilegio’, dirà Matilda ad un certo punto): Abraham Tokazier era ebreo e non si poteva rischiare di offendere gli amici tedeschi.
Miraggio 1938 è un bellissimo romanzo che rievoca i sogni, le speranze e, soprattutto, le illusioni di un anno cruciale del secolo breve. I personaggi infelici cercano un riscatto, mentre il terreno sotto i loro piedi sta crollando. Alla fine, Thune, ancora più solo di quanto non lo fosse stato prima, sarà colto nella sua intima tragedia, ma avrà la forza di riflettere, di pensare con la sensibilità che lo contraddistingue: «Rimase lì nella mattina di novembre gelida e trasparente come ghiaccio e pensò che il mondo che conosceva e per il quale aveva nutrito tante speranze si era dissolto nel nulla: forse non c’era mai stato?».