In questo racconto del 1921 troviamo per la prima volta il distico dell’arabo folle Alhazred
Si tratta di una città antichissima, abbandonata, “remota nel deserto d’Arabia”, senza nome perché “non esiste nessuna leggenda tanto antica da darle un nome, o da ricordarla viva”
In questa storia troviamo per la prima volta, come poi anche nel racconto Il Richiamo di Cthulhu, il distico dell’arabo folle Alhazred: “Non è morto ciò che può vivere in eterno, E in strani eoni anche la morte può morire”. Il critico Malcom Skey ha notato come il nome Alhazred sembra l’eco della frase inglese All has read (Ho letto tutto). Ciò pare riferirsi non solo alla passione giovanile di Lovecraft per la lettura, ma anche a una delle fondamentali tematiche della narrativa gotica: l’empia aspirazione all’onniscienza, che non è prerogativa umana, perché espone ai rischi derivanti dalle conoscenze proibite. È nella città senza nome che l’arabo pazzo formulò i famosi versi sopracitati. Si tratta di una città antichissima, abbandonata, “remota nel deserto d’Arabia”, senza nome perché “non esiste nessuna leggenda tanto antica da darle un nome, o da ricordarla viva”. Nella descrizione della città il protagonista del racconto accenna a “proporzioni e dimensioni di quelle rovine” che non gli piacciono, anche perché non trova “un solo rilievo, una sola iscrizione che parlasse degli uomini che avevano costruito la città e vi avevano vissuto”. Infine, la ragione lo abbandonerà completamente, e comincerà a farfugliare ossessivamente il distico inspiegabile dell’arabo pazzo. “Ho detto che la violenza del vento impetuoso era infernale – demoniaca – e che le sue voci erano orribili per la malvagità repressa di un’eternità desolata. […] E laggiù, nella tomba di esseri antichi morti da innumerevoli eoni, situata leghe al di sotto del mondo degli uomini illuminato dalla luce dell’alba, sentii le maledizioni e le proteste spettrali di demoni dalle strane lingue. Mi voltai, e vidi stagliarsi contro l’etere luminoso dell’abisso quello che non avevo potuto vedere nel buio del corridoio. Un’orda da incubo di diavoli, le facce distorte dall’odio, agghindati grottescamente semitrasparenti, diavoli di una razza sulla quale non c’era da sbagliarsi: erano i rettili striscianti della Città senza nome. E, quando il vento cessò, sprofondai nel buio spettrale delle viscere della Terra”. Da questo storia prendono il via i racconti del Ciclo di Cthulhu, le obbrobriose divinità cosmiche, separate dall’universo reale. Chi ha la presunzione di sondare l’insondabile, conoscere l’inconoscibile, finirà col perdersi in un mostruoso Altrove.