Pubblicato nel 1928 è uno dei migliori racconti della sua produzione
Gli abissi tenebrosi descritti da Lovecraft, gli indicibili orrori che affollano le sue storie, affondano nelle pieghe insondate della mente dell’uomo e vivono, continueranno a vivere, accanto alla sua semplice quotidianità
“Ritengo che la cosa più misericordiosa al mondo sia l’incapacità della mente umana di mettere in correlazione tutti i suoi contenuti. Viviamo su una placida isola di ignoranza nel mezzo del nero mare dell’infinito, e non era destino che navigassimo lontano. Le scienze, ciascuna tesa nella propria direzione, ci hanno finora nuociuto ben poco; ma, un giorno, la connessione di conoscenze disgiunte aprirà visioni talmente terrificanti della realtà, e della nostra spaventosa posizione in essa che, o diventeremo pazzi per la rivelazione, o fuggiremo dalla luce mortale nella pace e nella sicurezza di un nuovo Medioevo”.
Questo l’incipit di uno dei più famosi racconti di Lovecraft, Il Richiamo di Cthulhu, opera che sarà un punto intorno al quale far ruotare le nuove invenzioni: la mostruosità dell’abisso, i tenebrosi orrori cosmici.
Il racconto è narrato in prima persona sotto forma diario e documenti, come è tipico di Lovecraft, e si divide in tre parti. Nella prima “L’orrore d’argilla”, il narratore rinviene tra le proprietà del suo defunto prozio degli appunti ed una sinistra scultura, un bassorilievo di forma rettangolare raffigurante una creatura che somiglia al tempo stesso ad una piovra, a un drago e ad un essere umano. “Una testa polposa, tentacolare, sormontava un corpo grottesco e squamoso munito di ali rudimentali.” Dalle annotazioni dello zio viene a sapere come la scultura sia opera di un artista contemporaneo, lo scultore Wilcox, che ha riprodotto l’essere visto in un incubo spaventoso; il narratore scopre che, quella stessa notte, numerosissime altre persone in varie località avevano avuto incubi analoghi, fino a impazzire.
Nella seconda parte “Il racconto dell’ispettore Legrasse”, l’ispettore di polizia Legrasse racconta di una retata nelle paludi del Missouri per arrestare gli adoratori di un inquietante culto. Anche qui ritorna il Necronomicon nel suo discusso distico: “Non è morto ciò che può vivere in eterno, E in strani eoni anche la morte può morire”.
Nella terza ed ultima parte “La follia che viene dal mare”, il narratore rinviene il diario di un marinaio norvegese, Gustaf Johansen, che insieme all’equipaggio della sua nave era sbarcato su un’isola affiorata dal nulla, risvegliando temporaneamente, nella spaventosa città morta di R’lyeh, il mostruoso Cthulhu, sacerdote dei Grandi Antichi. Alla fine il narratore riporrà tutto il materiale letto con il bassorilievo nella scatola di latta. “Accanto ad essi finirà questo mio testamento, questa testimonianza della mia sanità mentale, in cui viene ricostruito quello che spero non venga mai più ricostruito da alcuno. Ho visto tutto l’orrore che c’è nell’universo, e perfino i cieli di primavera e i fiori dell’estate sono ormai un veleno per me. Ma non penso che la mia vita durerà ancora a lungo. Come è finito mio zio, come è finito il povero Johansen, così finirò io. So troppo, e il Culto vive ancora. Anche Cthulhu vive ancora, credo,
in quell’abisso di pietra che ha protetto fin da quando il sole era giovane. La sua città maledetta è sprofondata di nuovo, perché la Vigilant ha navigato in quella zona dopo l’uragano di aprile; ma i suoi sacerdoti sulla terra ancora ululano, danzano e uccidono intorno agli idoli posti in cima dei monoliti in luoghi solitari. Lui deve essere rimasto intrappolato nello sprofondamento del nero abisso, perché, in caso contrario, il mondo ora risuonerebbe di urla di un terrore agghiacciante. Ma chi può sapere come andrà a finire? Ciò che è risorto può cadere, e ciò che è caduto può risorgere. L’orrore aspetta e sogna nel profondo, e la decomposizione e il marciume si spargono sulla Terra nelle fragili città degli uomini. Verrà un tempo… ma non devo e non voglio pensarci. Una preghiera soltanto. Se non sopravviverò a questo manoscritto, i miei esecutori testamentari usino più la cautela che l’audacia, e facciano in modo che nessun altro occhio umano lo possa leggere”. Una pietra miliare della letteratura fantascientifica dell’orrore, un’altra rivelazione della mostruosità non lontana dall’uomo: gli abissi tenebrosi descritti da Lovecraft, gli indicibili orrori che affollano le sue storie affondano nelle pieghe insondate della mente dell’uomo e vivono, continueranno a vivere, accanto alla sua semplice quotidianità.