Il racconto del 1842 è una pietra miliare della letteratura russa
Il cappotto è la storia di un piccolo impiegato, Akakij Akakevic’ Bazmachkin, serio, preciso, diligentissimo, scrupoloso, spesso preso di mira dai suoi colleghi e dai superiori
«Noi siamo usciti tutti dal Cappotto di Gogol». Questo è il giudizio di Dostoevskij, uno dei più grandi romanzieri di tutti i tempi, sul racconto di Gogol, e non possiamo che fidarci di lui: Gogol occupa un posto di assoluta preminenza nel panorama della storia della letteratura russa. Il cappotto è la storia di un piccolo impiegato, Akakij Akakevic’ Bazmachkin, serio, preciso, diligentissimo, scrupoloso, spesso preso di mira dai suoi colleghi e dai superiori. Akakij Akakevic’ si accorge che il suo vecchio cappotto è ormai logoro e lo vorrebbe far rammendare, ma quando lo fa vedere al sarto riceve una sentenza che lo atterrisce: il cappotto non si può più riparare, ma l’unica soluzione e farne uno nuovo. Allora l’impiegato se ne fa una ragione e per raggiungere lo scopo ricorre a una miriade di privazioni. Il cappotto è ormai un’ossessione: con questo sente di essere diventato qualcuno, di aver conquistato un ruolo importante nella società. Ma è una felicità effimera. Di ritorno da una festa che un funzionario ha organizzato per “bagnare” il nuovo acquisto di Akakij Akakevic’, due malviventi gli portano via l’indumento. Nessuno, poi, riuscirà a ritrovarlo: le autorità rimarranno impassibili di fronte al dramma dell’impiegato; i colleghi faranno una colletta, ma la somma sarà irrisoria; infine un collega gli consiglia di rivolgersi a un personaggio importante “che può tutto”, il quale però non gli risolverà il problema. Akakij Akakevic’ torna a casa durante una tormenta di neve e si ammala, dopo quarantotto ore muore. Nessuno si accorge della sua morte come nessuno (o quasi) si era accorto della sua misera esistenza. Qui il semplice e mesto realismo del racconto finisce. Dopo la dura critica alla burocrazia, la sensibilità dell’autore per le ingiustizie sociali, subentra l’elemento fantastico. Dal realismo si passa al grottesco e il fantasma di Akakij Akakevic’ terrorizza i viandanti e le guardie di Pietroburgo alla ricerca del suo cappotto. Alla fine il fantasma ruba il cappotto del personaggio importante per punirlo perché, quando era in vita, non era stato in grado di aiutarlo. Da quel momento il fantasma non comparirà più.
«Sono uno scrittore» scriveva Gogol, «e il dovere dello scrittore non consiste già nel procurare un piacevole intrattenimento al cervello o al gusto: sarà chiesto un conto severo a chi dall’opera sua non avrà fatto effondere qualcosa di utile all’anima, a chi nulla di sé avrà fatto restare come insegnamento agli uomini». Non è un caso se la lettura dei “russi” inviti sempre a fare questa riflessione, che è un vero e proprio insegnamento del maestro Gogol. Capolavoro.