Fede e dintorni

Le campane di Calabria

Una voce non ancora spenta

Tra storia e folklore

Chi avrebbe immaginato che anche le campane sarebbero diventate un prezioso documento storico, oggetto di indagine e di studio? Eppure quanta storia del costume e del secolare quotidiano è racchiusa in esse, nei cui rintocchi hanno risuonato infiniti messaggi così penetrati nell’animo della gente da essere facilmente riconoscibili senza sforzo nei significati di segnale di preghiera, di festa, di lutto, di pericolo imminente.
Ed è proprio la sociometria delle sue tipologie comunicative, oltre naturalmente alla sua significativa testimonianza storico-documentaria, a farne cogliere il valore di cultura e di civiltà e a stimolare l’originale ricerca che, a vasto raggio, sta conducendo da qualche tempo nel territorio calabrese l’Università della Calabria, ed in specie il Prof. Ilario Principe e la sua équipe.

In ogni paese della Calabria la campana, per secoli e secoli, è stata la voce dell’annuncio di eventi lieti e tristi della vita della comunità

Le campane di Calabria stanno uscendo ormai dall’anonimato . con la dignità di studi editi. È il caso, per esempio, del saggio S. Severino: la storia e le sue campane curato dal Prof. Pino Barone per le edizioni Due Emme di Cosenza.

Noto fin dall’antichità pre-cristiana – anche se erroneamente se ne ritiene inventore S. Paolino vescovo di Nola (409-31) – l’uso delle campane giunse in Europa dall’Oriente diventando poi di uso comune nel culto cristiano. Nel sec. VI in documenti latini la campana è indicata con i nomi “signum” e “campanus“: signum perchè il suo suono era un segnale di convocazione agli atti liturgici; campanus perchè allusivo della Campania, regione da cui, certamente per merito di S. Paolino da Nola, l’uso dello strumento si è diffuso in ogni dove. In Italia il suo uso è di sicuro affermato dal sec. VIII. A Roma, per esempio, la basilica di S. Pietro ha avuto una torre campanaria con 3 campane ad opera del papa Stefano II (752-57).

In Calabria, ignorate nel periodo bizantino, le campane vennero introdotte dai Normanni nei secoli XI-XIII. Questi non si limitarono a propagandarne l’uso sacro, ma diedero ad esse una connotazione anche civica. Le campane, in altre parole, non servirono solo a convocare i fedeli in chiesa, ma vennero istallate in torri civiche allo scopo di scandire il tempo del lavoro dei campi e per avvertire degli eventuali pericoli di qualsivoglia natura.
È proprio in epoca normanna che si incrementarono i tanti paesi pedemontani posti a distanza dal mare ed in altezza sufficiente per controllare quanto avveniva lungo il litorale o lungo le fiumare e predisporre le opportune iniziative di difesa.
L’impiego delle campane in questo contesto servì a chiamare a raccolta i contadini dispersi per le campagne per affrontare uniti gli aggressori, che arrivavano dal mare. È a tutti noto il grido che echeggiava in quei frangenti: “All’erta! all’erta! la campana sona! Li Turchi su’ arrivati alla marina!”. La paura ed il panico dei saccheggi e delle ruberie dei pirati saraceni erano tali che tutti ne portavano il segno. Particolarmente colpite nell’alto Jonio cosentino Cariati, Pietrapaola, Trebisacce.
All’interno, esempio emblematico della nuova urbanizzazione collinare è Campana, l’antica Kalasarna (o Kalaserna), che avrebbe cambiato il nome in Campana perchè, secondo quanto narra la tradizione popolare, il castrum si era provvisto di una grande campana, che al primo segnale di pericolo, veniva suonata per richiamare in paese i contadini impegnati nei lavori dei campi. A lungo andare anche gli abitanti dei casali circostanti preferirono stabilirsi in centro andando così ad incrementare la popolazione. Il primitivo piccolo nucleo divenne un centro più grosso a cui restò il nome di Terra Campanae (terra della Campana), toponimo che poi si affermò definitivamente. Il documento più antico in cui il nuovo toponimo è menzionato è un diploma di infeudazione riportato nei Registri Angioini del sec. XIII, quando ormai il cambiamento di nome era uno stato di fatto.

Le prime campane si facevano in lamine di ferro battuto a forma quasi tubolare, con un leggero allargamento in basso. È nei secoli VII-VIII che si comincia a fonderle in bronzo con una lega composta di 4 parti di rame ed una di stagno. La fusione avveniva per lo più in officine nomadi ad opera di artigiani affermati che si trasmettevano l’arte di padre in figlio. Col tempo si iniziò ad apporre sulle campane iscrizioni con immagini di santi, con l’indicazione dei fonditori, dei donatori e della data di fusione. Interessante a Rossano la campana detta “Castellana“, o anche “Greca” per via della scritta in greco dovuta all’arcivescovo Sergentino Roda, che l’ha fatta fondere nel 1434.
Una mappa generale delle campane calabresi, a questo punto, sarebbe quanto mai utile anche per un quadro cronografico di quello che ancora resta del ricco patrimonio campanario.

Ma alle campane sono legate anche credenze e usanze della tradizione popolare. Il suono delle campane serviva a scongiurare la grandine e la sua efficacia era maggiore se le campane erano battezzate col nome di un santo protettore contro la grandine (S. Vincenzo o S. Potenziana).
Anche il battesimo dei bambini e la morte erano segnalati con rintocchi diversificati. Si suonava la campana grande per il battesimo dei maschi, quella piccola per le femminucce.
La tipologia per segnalare la morte è più ampia e le differenze servivano a distinguere sia l’età che il sesso dei defunti. Per un anziano il primo scampanio è più lungo, mentre per un bambino il suono era a festa perchè era come “suonare ad un angelo“. Quanto al sesso, pur con diversificazioni locali, i rintocchi erano 12 per gli uomini e 9 per le donne.

Le curiosità folkloriche sono tantissime ed anche queste andrebbero catalogate. Per esempio, per indicare che una persona usa un linguaggio appropriato mantenendosi in tema si dice che sta in campana. È invece di difficile decifrazione l’espressione “Essere sordo (o stonato) come una campana“, visto che il suono delle campane è sempre ben armonizzato sia nelle tonalità che nei messaggi. Anche tra i giochi infantili figura un gioco della campana.

Anche in Calabria venivano fuse le campane, come testimoniano le iscrizioni sulle campane della chiesa del Purgatorio a Tropea: fornaci Scalamandrè di Monteleone 1875, 1876, 1877. (foto da Tropeamagazine.it)

Alla luce dei fatti, come si vede, anche le campane offrono uno spaccato di vissuto, entrano con diritto nel vasto panorama del patrimonio storico-culturale di un popolo e sono in grado di dare un significativo apporto alla conoscenza dell’anima di una civiltà.

[Ricerca fotografica e pagina scelta
da Salvatore Brugnano:
Luigi Renzo, In Calabria tra storia e costume,
Ferrari Editore, Rossano 2003]

Un link sulla fonderia delle campane in Calabria:
http://www.tropeamagazine.it/fonderiacampane/index.html

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