Riceviamo e pubblichiamo
Il “Gay Pride” del 30 luglio a Tropea
Nella più pura logica democratica, ogni manifestazione ha in sé la necessità, di esporre la categoria perché ottenga diritti, riconoscimenti, credibilità, nella misura in cui il dovere di senso civico, tanto da parte di chi ne emetta la richiesta, quanto da parte di chi l’autorizzi, la legittimi. In questa occasione, tuttavia, non si presenta che il mero ed inutile cattivo gusto di ostentare una dimensione che non abbia, ormai, più nulla a pretendere, né giuridicamente, né politicamente: ciò che è derivato dalla manovra circense relativa alle unioni civili grazie alle quali la relazionalità omosessuale è, oggi, assimilabile, in qualche strano modo, all’istituto del matrimonio, dovrebbe aver concluso la vorticosa giostra di quesiti, dal momento che il concetto di genitorialità – al quale pare che ancora si ambisca – è ostruito dalla stessa Natura, astuta tutrice di quel po’ che le rimane per difendere la propria signoria sul genere umano, non dalla politica .
Il livello del dialogo si abbassa necessariamente in maniera esponenziale, fino ad annullarne la valenza, per quanto ipotetica, ove, poi, a perfezionare l’idea, se ne assumano immeritatamente i meriti, o, meglio ancora, ci si fregi di inesistente ruolo risolutore, inneggiando su stonate note retoriche e luogocomuniste, alla difesa di una libertà – che esiste sempre nella misura in cui non incateni indebitamente la libertà dell’altro – e, addirittura ci si illuda di aver ottenuto le risultanti in questione (avendo seminato fiabesche quanto inconsistenti ‘paure’) e si strumentalizzino tragedie macrocosmiche, come se a morire nel mondo per mano criminale fosse un biondo, un alto, un parrucchiere o un imbianchino, anziché una persona.
L’Assessore alla Cultura Maria Stella Vinci si è abbandonata ad un buffo trionfo di genialità, facendosi portavoce e sostenitrice della richiesta d’autorizzazione per il Gay Pride (regionale!), presso la propria Amministrazione Comunale, ottenendo, per giunta, il benestare, nonostante l’oggetto in sé, non presentando di certo alcunché di ‘culturale’, sia essenzialmente ben oltre le sue competenze. Posto il moralmente assurdo, perché mai nella storia si è manifestato per la propria eterosessualità, il che incide pesantemente sul potenziale d’autoghettizzazione, si sposti agevolmente l’orientamento dell’analisi e si parta valutando la questione d’ordine pubblico, che avrebbe meritato, senza disturbare l’antropologia, l’esame aprioristico. È evidente che un esperimento del genere, già eccessivo anche nell’ottica dell’esperimento, si vada più che mai a scontrare con la corretta conduzione cittadina, soprattutto dato il momento d’altissima presenza turistica: numericamente inadeguata la forza di poliziamunicipale in proporzione ai numeri logicamente auspicabili (insufficiente persino all’ordinarietà), disastrosa ogni soluzione alla viabilità già abbondantemente sofferente, prevedibilissima – e dunque anch’essa da tutelare – l’eventuale, comprensibile, reazione della cittadinanza che, per quanto con toni e modi discutibili, si è già espressa in merito. Nessuno ha diritto alla violenza, naturalmente, né alcuno è nel giusto qualora si esprima o agisca in maniera volgare (ed è accaduto in circostanze analoghe). Correre, tuttavia, scientemente il rischio di ‘confronto’ è palese indice di incapacità gestionale della propria parte.
È l’ennesimo grave caso di eutanasia politica: l’Amministrazione Comunale in carica sta esalando gli ultimi respiri e, nonostante tutto, si affaccenda ad ingannarsi facendo passare per chiusura in bellezza una scelta che ha insito il prezzo della dignità, perché continua a dimostrare che non se ne conosca il valore. Vendere l’immagine della propria autorevolezza al miglior offerente, spacciando per civilmente lecito un evento atto esclusivamente a mendicare favori sfruttando a proprio vantaggio una realtà che meriterebbe, invece, rispetto, tolleranza e delicatezza, nei riguardi dell’uno e dell’altro ‘fronte’, non beneficia nemmeno dell’imprinting strategico ed intelligente, per certi versi, del mestiere più antico del mondo, ma ne ostenta la piccineria.
La signorilità ferma, invece, del diniego si sarebbe riversata in primis proprio sull’omosessualità, sbattuta, così e per l’ennesima volta, sul tavolo delle trattative per fenomeni da baraccone, annebbiando ancora il concetto per il quale esibire le ‘differenze’ non sia altro che ammetterle o, peggio e nella fattispecie, autoaccusarsene. Non è l’ottusità dell’intollerante a colpirla, ma il subdolo tradimento di chi ne fa merciucola di scambio per le proprie ragioni, di qualsivoglia natura e il bisogno patetico di cercare senza motivo e a fatica le proprie coordinate sociali, sradicandosi autonomamente e volontariamente, a causa del proprio orientamento sessuale, dalla indiscussa appartenenza al genere umano.
È permettere che questo accada che divide ‘buoni e cattivi’, non avendo nemmeno gli strumenti – ovvietà schiacciante – di stabilire chi incarni chi. È usare per la propria autocelebrazione la fragilità di chi ha ancora brama di conferme che ridicolizza chi già è prigioniero della propria condizione, tanto da doverla imporre sfoggiando per le vie quella che, a buon bisogno, potrebbe essere nobile, discreta, proprio perché preziosa intimità, che non differirebbe, nella misura della sensibilità, da quella eterosessuale. È negoziare a favore delle proprie casse, siano esse politiche, economiche, sociali, annullando la netta distinzione tra il piacere e l’affettività, bandiere che si strapperebbero al termine di una guerra persa anche, evidentemente, sul campo eterosessuale.
L’intelligenza tropeana non lo ammette e non lo consentirà, pronta all’accusa di bigottismo come civiltà retrograda o di innalzare il baluardo antico e demodé di un’etica nella quale è triste, invece, che non si creda più.
Peraltro, togliere a Tropea un giorno di turismo – e non sarebbe l’unico, essendo già stata abbondantemente mutilata dall’attuale condizione – è gravissimo. Farlo a spese di una realtà che, invece, andrebbe informata di essere già di per sé accolta nell’ideale umano (né sociale, né politico, dunque) di ‘normalità’, è ignobile.
Non è così che muore il cigno. Canta. E anche questo lo stabilisce la natura: il cigno le obbedisce, perché ne riconosce e ne rispetta la maternità. Per lui è il momento di maggior bellezza, proprio per il quale non potrebbe concedere alla menzogna di creare implosione letale per inettitudine autolesionista. Tantomeno a spese altrui.
Referente Provinciale “Noi con Salvini”
Antonio Piserà