Rubrica quotidiana a cura di P. Salvatore Brugnano
Storie belle… per vivere meglio
L’antica diocesi di Bova centro di vera civiltà.
– La storia dell’antica diocesi di Bova, centro di vera civiltà, è stata ben messa in evidenza nell’ultimo libro di Antonio Chilà.
– Questa terra risonante della lingua e cultura della Grecia antica, aveva fatto innamorare il celebre studioso tedesco Gerhard Rohlfs (1892-1986), filologo, linguista e glottologo: i calabresi gli sono grati per gli studi e per il bellissimo Vocabolario calabrese.
– I Missionari Redentoristi vi hanno predicato diverse missioni popolari e nella storia di questa diocesi si incontra anche un loro vescovo, Mons. Nicola Laudisio, 1779-1862.
– Nativo di Sarno (SA), fu nominato 47° vescovo di Bova nel 1818 e consacrato il 6 giugno 1819. Da qui il 3 maggio 1824 fu trasferito alla sede di Policastro, nel Cilento, dove morì il 6 gennaio 1862 all’età di 83 anni. – Molto dinamico nell’azione pastorale, è noto per essere stato promotore della definizione del Dogma della Immacolata Concezione avvenuta l’8 dicembre 1854. Sulla lapide che, nella Basilica di S. Pietro ricorda il fausto evento, il suo nome spicca per primo. Morì a 83 anni. – Fa bene al cuore calabrese rivisitare la storia di questa gloriosa diocesi.
Bova, terra d’incontro.
♦ La ricerca storica sulla Chiesa calabrese si arricchisce ulteriormente con un testo sulla quasi millenaria diocesi di Bova, scritto da Antonio Chilà, già caporedattore de «L’Osservatore Romano»: La diocesi di Bova dalle origini al 1986, (Soveria Mannelli, Rubbettino Editore, 2020, pagine 609, euro 48).
♦ Bova — sede episcopale di rito greco fino al 1573, anno del passaggio al rito latino imposto dal vescovo Giulio Stavriano — fu una prestigiosa, anche se territorialmente non molto estesa, diocesi aggregata nel 1986 all’arcidiocesi di Reggio Calabria, con un seminario culturalmente vivace, centro di formazione di futuri vescovi, sacerdoti, chierici e numerosi laici.
♦ Il vescovo Straviano, cipriota, cancellò, di colpo, secoli di storia, di tradizioni, di usi e di costumi, religiosi e laici, che scandivano la vita dei bovesi. L’ultima roccaforte del rito greco cadde quando la Calabria era ormai latinizzata.
Vescovi di iniziative coraggiose.
♦ La spiritualità episcopale ebbe rilevante importanza non solo nella vita quotidiana dei diocesani, ma anche anche nelle strutture sociali, poco rispondenti ai bisogni dei poveri e dei diseredati. Verso di loro, due presuli, in particolare, monsignor Stefano Morabito (vescovo dal 1752 al 1764) e monsignor Giuseppe Cognata (vescovo dal 1933 al 1940).
♦ Quest’ultimo, fondatore delle Salesiane Oblate del Sacro Cuore è detto il vescovo “martire”, perché ingiustamente accusato, calunniato e riabilitato dai Papi Roncalli e Montini; di lui il prossimo 12 dicembre avrà inizio, a Tivoli, il processo di beatificazione, dopo la richiesta di un gruppo di giuristi cattolici, guidato dal primo presidente emerito della Corte di Cassazione, Giuseppe Viola.
♥ I due vescovi citati volsero un intenso apostolato con la fondazione di istituti religiosi per cercare di alleviare le sofferenze della popolazione delle zone aspromontane, poco praticabili e arretrate. Arretatrezza sociale non riscontrabile, invece, in altre istituzioni ecclesiastiche.
Sede di profonda cultura.
♦ Bova, culturalmente, fu una delle poche diocesi della Calabria dove si tentò di sperimentare, già nel 1802, la centralizzazione dei registri parrocchiali.
♦ Il vicario capitolare, Antonio Marzano, comprendendo l’importanza della conservazione di un imponente patrimonio storico, ecclesiale e civile, pensò, per impedire furti, saccheggi o manipolazioni, di far convogliare negli archivi della Curia vescovile tutti i registri parrocchiali esistenti nella diocesi. Ferdinando IV approvò il decreto, mai attuato, per la revoca del ministro degli Affari ecclesiastici, Francesco Migliorini, in seguito alle lettere di protesta, inviate da rappresentanti del clero bovese e da autorità civili.
♦ Bova fu il centro di un’intensa attività scrittoria, soprattutto, alla fine dei secoli XII e XIII, nella quale si distinse il prete Filippo di Bova che, tra l’altro, ha trascritto il Triodo Messinese, noto come «S. Salvatore 86». E, ancora, l’opera del vescovo Achille Brancia che fece trascrivere gli ultimi codici greci di Calabria.
♦ Né si possono dimenticare i testi liturgici, biblici, omiletici, patristici, agiografici nei monasteri della diocesi: San Pantaleone e Santa Maria Teutoca, situati fuori città; Santa Candelora, dentro le mura di Bova, monastero femminile; Santo Ippolito di Palizzi; Santa Maria di Tridetti; e dei monasteri femminili di Sant’Anna, di Santa Venere, di San Pantaleone.
Vescovi e Monaci.
♦ I vescovi del primo periodo non sono documentati. Antonio Chilà, consultando numerosi archivi, è riuscito a ricostruire con minuzia di particolari l’esatta cronotassi della diocesi calabrese, ben documentata, risolvendo numerosi dubbi sull’esistenza di alcuni episcopati. L’autore riporta anche tutte le nomine dei vescovi bovesi, desunte dal Regesto Vaticano per la Calabria di padre Francesco Russo, e il numero esatto delle Confraternite, che seppero diffondere lo spirito associativo fin dai primordi dell’esistenza della diocesi. Bova, a partire dal 19 dicembre 1165 fino al 30 settembre 1986, ebbe 71 vescovi.
♦ Solo una caratteristica eccelle nell’evocare le vicende, anche tristi, dell’episcopato: la grande fede dei bovesi e dell’intera diocesi a san Leo, e ad altri santi dei quali la Chiesa di Bova si nutrì spiritualmente.
♥ Ma soprattutto grande fu l’azione dei monaci basiliani: i vescovi latini non riuscirono mai a porli in secondo piano, tanto era forte e radicata la spiritualità greca in tutta l’area della Bovesìa. Essi furono un saldo punto di riferimento per gli abitanti, ai quali insegnarono a lavorare e a coltivare la terra e, contemporaneamente, la religione, e le diverse discipline letterarie e scientifiche.
♦ Bova, fu anche sede di una Chiesa greca che, per secoli, rimase viva e pulsante, e che oggi, giovani amministratori tentano, con molta fatica, di fare, in qualche misura, rivivere per non dimenticare le antiche origini.
(fonte: cf L’Osservatore Romano, 24 settembre 2020).