Rubrica quotidiana a cura di P. Salvatore Brugnano
Storie belle… per vivere meglio
La strada, il vangelo e un prete.
Don Marco Pozza, un sacerdote nella strada, alla conquista di giovani e detenuti. Afferma di aver scelto di fare della strada il suo salotto. Però non ama essere chiamato “prete di strada”. Piuttosto, preferisce essere identificato come un sacerdote coerente con il proprio ministero: il Vangelo, infatti, è nato sulla strada. Egli aderisce perfettamente a all’appello di Papa Francesco ad “andare nelle periferie”… con un bagaglio leggero.
♦ Recentemente insignito del “Premio Speciale Biagio Agnes 2016”, don Marco Pozza racconta: “Ho fatto della strada il mio salotto”. Però non ama essere chiamato “prete di strada”. Piuttosto, preferisce essere identificato come un sacerdote coerente con il proprio ministero. Del resto – spiega – “il Vangelo è nato sulla strada”. Come quella di Emmaus, che conduce a Gerusalemme, e da cui trae ispirazione il nome del suo sito: Sulla Strada di Emmaus, appunto.
♦ È in questo spazio telematico che il 36enne don Marco Pozza usa le parole, e lo fa in modo accattivante, per alimentare negli altri quel fuoco di passione per il sacerdozio che trasuda dalla sua parlantina veloce ed efficace, scandita da uno spiccato accento veneto.
♥ Parole, le sue, che hanno fanno breccia nei giovani della movida, che don Marco va ad incontrare tra i tavoli dei bar, persuadendoli sulla bellezza di un Dio che ama e sul privilegio che si ha a poter essere parte della Sua Chiesa. E che fanno breccia anche nei cuori, spesso feriti, dei detenuti, a cui don Marco si dedica quotidianamente essendo cappellano del carcere “Due Palazzi” di Padova.
♦ Due settimane fa don Marco ha ricevuto il “Premio Speciale Biagio Agnes 2016”, nel contesto dell’omonimo concorso internazionale di giornalismo. Segno del fatto che l’eco delle sue parole condensate di gesti concreti, più che una breccia ha creato una voragine. Di curiosità, ma anche di desiderio d’infinito.
♦ Ma anche lui ha avuto la sua conversione.
Ha scelto di diventare “prete di galera” a seguito di una disonestà intellettuale:
♥ “Per anni avevo disprezzato il popolo che abita le patrie galere: “Dobbiamo chiuderli là dentro e gettare la chiave nel mare” mi ripetevo quando sentivo parlare di loro.
Un giorno mi è capitato di sostituire un amico per celebrare la Messa in un carcere romano. Quando sono entrato a Regina Coeli, ciò che mi si è annunciato innanzi era parecchio diverso da ciò di cui ero fermamente convinto.
♥ Ho dovuto fare i conti con una disonestà intellettuale: avevo fondato la mia conoscenza di loro in base alla letteratura che circola sul loro conto, ma la loro “vera presenza” io non l’avevo mai incontrata.
♥ Quel giorno, uscito dal carcere, ho intuito che essere uomo non significa per forza intestardirsi sulle proprie idee, ma trovare anche il coraggio di dire: “Ho ragionato senza conoscere, chiedo scusa”.
Da quell’incontro il mio sacerdozio ne è uscito illuminato: per diventare un prete vero, avrei dovuto fare i conti con la povertà nuda e complicata dei falliti, dei banditi. A loro della perfezione non importa granché: perduto tutto, rimane solo la ricerca della verità ultima di se stessi.
♥ Oggi, nella galera di Padova, sono il loro parroco. Mi scopro un uomo che ha abbandonato il sogno della perfezione per inseguire quello della verità. A conti fatti, ne vale la pena”.
(fonte: zenit.org 8/7/2016).