Fede e dintorni

La disubbidienza “costruttiva”

Rubrica quotidiana a cura di P. Salvatore Brugnano

Storie belle… per vivere meglio

La disubbidienza “costruttiva”.

– Ha fatto notizia il il grande gesto di Francesco Acerbi, calciatore della nazionale e della Lazio, che ha voluto prolungare la visita ai bambini dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, nonostante fosse scaduto il tempo concesso e diramato l’invito a rientrare sul pullman per il rientro.
– L’episodio è accaduto durante la visita degli Azzurri della Nazionale di calcio all’Ospedale pediatrico Bambino Gesù fatta lo scorso 12 ottobre. “Francesco, dobbiamo andare, è tardi, sono già tutti sulle navette” – “Non mi importa, possono anche andare, io prendo un taxi, ma finché non finisco il giro non me ne vado”.
– Il bellissimo gesto del difensore della Nazionale e della Lazio, che in passato ha sconfitto un tumore, ha colpito anche la redazione de l’Osservatore Romano che ha voluto pubblicarlo sul giornale della Santa Sede con lo stuzzicante titolo: “La disubbidienza di un calciatore”.

♦ Il 12 ottobre 2019, la Nazionale italiana di calcio ha fatto visita all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù. Atleti e dirigenti si sono recati nella sede storica al Gianicolo per andare a trovare i piccoli pazienti e i loro genitori, famiglie intere travolte dalla prova della malattia che trovano in quest’ospedale un luogo d’eccellenza, tanto in ambito scientifico quanto in quello umano.
Come da norma, la visita della Nazionale prevedeva tempi precisi, una scaletta da rispettare, quando si è giunti alla conclusione del tour atleti e dirigenti sono montati su alcune navette per essere condotti al loro albergo.
Tutti. Tranne Francesco Acerbi.
Lui è rimasto in ospedale, per un motivo semplice quanto straordinario: c’erano ancora bambini che attendevano il loro turno per salutarlo, stringergli la mano, magari farsi fare un autografo, o un selfie assieme.
Acerbi, sempre con grande naturalezza, ha spiegato che avrebbe raggiunto i suoi compagni con un taxi, come una persona qualsiasi, ma solo dopo aver concluso la sua visita.
Perché ognuno di quei bambini andava onorato, perché realizzare la felicità del prossimo, anche se solo di un attimo, dovrebbe essere vissuto da tutti come un dovere, il più alto e bello, che restituisce gioia e pienezza a chi lo compie.

L’umanità di Acerbi affonda nella sua biografia: qualche anno fa gli è stato diagnosticato un cancro ai testicoli. Da lottatore, qual è anche in mezzo al campo, ha lottato contro la malattia, e alla fine ha vinto.
L’uomo Acerbi, ha ricevuto qualcosa di buono in dote dal male, anche se suona strano sentir parlare di dote rispetto al male: è cresciuto in consapevolezza e disponibilità. Perché la vita, insegna Giobbe, si apre davvero quando passiamo a una conoscenza diretta di noi stessi e della realtà.
Solo così possiamo veramente capire, e condividere.

Il suo gesto, però, ci parla anche di altro. Qualsiasi attività caritativa, la solidarietà in ogni sua forma, sono opere meravigliose quando mantengono forte e alta la loro vocazione profonda, ovvero di incontro sincero, di accoglienza del male e dei bisogni del prossimo.
Acerbi ci ha ricordato questo, la sua disubbidienza alle rigide regole della comunicazione, a ciò che è preconfezionato in partenza, ha dato a tutti noi un esempio, un primato da eguagliare: si deve fare tutto ciò che è nelle nostre condizioni pur di esaudire i desideri degli altri.
Soprattutto quando sono bambini.
(fonte: cf Osservatore Romano, 19 ottobre 2019).

E il calciatore Acerbi, quasi a commentare quanto è accaduto, confida: “Prego due volte al giorno. Al mattino e alla sera. Però non è che sia diventato santo. Di casini ne combino ancora. Ma rispetto a prima ora so chi sono; distinguo il bene dal male; so di chi posso fidarmi. E ho allontanato le persone che considero negative”.

La disubbidienza costruttiva. Ha fatto notizia il il grande gesto di Francesco Acerbi, calciatore della nazionale e della Lazio, che ha voluto prolungare la visita ai bambini dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, nonostante fosse scaduto il tempo concesso: “Perché ognuno di quei bambini andava onorato, perché realizzare la felicità del prossimo, anche se solo di un attimo, dovrebbe essere vissuto da tutti come un dovere, il più alto e bello, che restituisce gioia e pienezza a chi lo compie”.

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