Cultura e Società

La bisaccia del pellegrino

Rubrica religiosa settimanale

a cura di P. Salvatore Brugnano


Marzo 2010, quarta settimana: 21-27 marzo

1. Vangelo della domenica – «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei».
2. Aspetti della vita – La famiglia: solidarietà per la vita.
3. Un insegnamento di S. Alfonso – Nella solitudine per cercare Dio.
4. La settimana con la liturgia (21-27 marzo).
5. Saggezza calabrese – Penitenza degli sposi in peccato

1. Vangelo della domenica – Giovanni 8,1-11
«Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei».
In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro.
Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo.
Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani.
Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».

Gli scribi e i farisei nel loro cuore hanno già condannato la povera donna colta in fallo. La conducono da Gesù solo per tendergli un tranello. La legge giudaica è molto esplicita su questa materia: l’adultera deve morire. Ora, se Gesù assolve la peccatrice si mette contro la Legge e quindi si condanna da solo; se si mostra giudice severo si scredita davanti a tutti, rinnegando la sua dottrina su Dio clemente e misericordioso. La domanda degli scribi e dei farisei si rivela molto abile e astuta.
Gesù però non abbocca, ma, chinatosi, scriveva sulla terra col dito. Secondo alcuni esegeti, Gesù voleva ricordare simbolicamente Geremia 17,13: “Quanti si allontanano da te saranno scritti nella polvere, perché hanno abbandonato la fonte di acqua viva, il Signore”.
Forse Gesù, con il gesto di scrivere, ha voluto manifestare il suo desiderio di non intervenire o di non mostrare la sua indignazione per la loro ipocrisia.
“Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei”. Come può un peccatore infierire contro un altro peccatore? (L’espressione “scagli la prima pietra” ricorda Dt 13,10 dove si ordina che i testimoni oculari devono dare inizio all’esecuzione della condanna a morte).
I presenti riconoscono di essere peccatori e se ne vanno. L’accenno ai più anziani vuole insinuare che costoro erano più assennati e capirono per primi la lezione. Forse c’è una constatazione salace: col crescere degli anni si accumulano anche i peccati.
Eclissatisi gli accusatori, sulla scena rimangono solo Gesù e la donna. Ma il Figlio dell’uomo non è venuto per condannare, ma per salvare (cfr Gv 3,17). Dio non vuole la morte del peccatore, ma la sua conversione, perché viva felice (Ez 18,23; 33,11; Sap 11,23.26). In antitesi con gli scribi e i farisei, spietati nell’applicare la legge di Mosè contro l’adultera, Gesù si manifesta come la misericordia incarnata e pronuncia un giudizio di assoluzione piena: “Neppure io ti condanno”.
Sant’Agostino ha commentato la scena con una frase lapidaria: “Rimasero in due, la misera (donna) e la misericordia (Cristo).
Gesù non giudica nessuno (cfr Gv 8,15) perché è venuto a salvare l’umanità peccatrice (cfr Gv 3,17; 12,47). Egli è l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo (cfr Gv 1,29; 4,42; 1Gv 4,14).
(Lino Pedron)

2. Aspetti della vita
La famiglia: solidarietà per la vita.

Una diga si rompe e l’acqua invade la grande pianura e raggiunge la casa dove vivono un uomo, la sua sposa e il loro bambino. Salgono al piano superiore, ma l’alluvione li spinge sul tetto; e l’acqua sale ancora. Allora l’uomo si carica la moglie sulle spalle e questa fa lo stesso con il figlioletto. Torna il sole e un angelo vede quell’immenso lago ed è attratto da un riflesso d’oro: sono i capelli biondi del bimbo, illuminati da un raggio di sole. Scende, afferra quella chioma sperando di salvare quella creatura, ma non ce la fa: è una catena umana, legata per sempre.
Enzo Biagi nel suo libro “Odore di cipria”, pubblicato da Rai-Eri e Rizzoli, evoca con tenerezza questa storia che anch’io avevo sentito narrare da ragazzo, sia pure con un esito diverso: l’angelo, afferrando il capo del bambino, riesce a salvare l’intera famiglia non ancora soffocata dall’acqua (forse era solo l’happy end per rendere meno tragica la storia per noi ragazzi). Biagi mette questa parabola in apertura al capitolo dedicato alla sua famiglia, un capitolo molto dolce e intenso (“io ho amato la mia famiglia: padre, madre, fratello”). Ma egli ricorda anche il grido un po’ retorico di André Gide: “Famiglie, io vi odio!”, e la terribile “Lettera al padre” di Kafka e conclude: “Non capivo quel rancore”.
Certo è che la famiglia autentica è proprio quell’intreccio di corpi e di anime che vivono in simbiosi, gustando insieme vita e morte, gioia e dolore, riso e lacrime. Proprio perché espressione alta dell’amore di donazione, è vero l’apparente paradosso formulato da Miguel de Unamuno: “L’agonia della famiglia è l’agonia del cristianesimo”. (Mons. Gianfranco Ravasi)

3. Un insegnamento di S. Alfonso
Nella solitudine per cercare Dio

Cristo che non aveva bisogno di solitudine per intrattenersi con il Padre suo celeste, pure, per darci l’esempio, spesso lasciava la folla e si ritirava in luoghi isolati a pregare (cf. Lc 5,16). E obbligava anche i suoi discepoli a fare altrettanto, dopo gli impegni di evangelizzazione, per riposare lo spirito (cf. Mc 6,31). Voleva così insegnarci che anche nelle occupazioni spirituali lo spirito si stanca di trattare con la gente, e ha bisogno di alimentarsi nella solitudine.
S. Antonio Abate (250-356) confessava che si sentiva meno solo proprio quando stava solo. E il profeta Isaia (51,3) scrive: “Il Signore trasformerà questa terra deserta in un giardino meraviglioso, questo suolo arido in un paradiso. Qui si sentiranno grida di gioia, canti di lode e di ringraziamento”. Il Signore sa consolare le persone che si ritirano dal Mondo. Dona loro centuplicato ciò che lasciano con i beni mondani. Trasforma la loro solitudine in un giardino di delizie, dove c’è pace vera, ringraziamenti e lodi a Dio. Dio le coccola così.
Ma se altro non si trovasse nella solitudine, c’è il piacere di riflettere sulle verità eterne. Queste saziano l’anima e non le vanità del Mondo, tutte bugie e inganno.
Purtroppo chi è abituato alle conversazioni galanti, ai pranzi, al gioco, è convinto che nella solitudine c’è un tedio insopportabile. In parte è vero; perché chi ha la coscienza “disturbata” ed è impegnato negli affari mondani non pensa ai doveri dell’anima… E quindi appena resta “disoccupato”, nella solitudine, non cercando Dio, ecco che subito gli si affacciano i rimorsi della coscienza e, in tale situazione, non trova quiete, ma tedio e sofferenza. Una persona, invece, in cerca di Dio, proprio nella solitudine trova gioia e felicità. (Alfonso Amarante, Verità scomode, 2009)

4. La settimana con la liturgia = 22- 27 marzo 2010

22 marzo (lun) – Con te, Signore, non temo alcun male. – Riconoscere Gesù per chi è non è possibile se ci accostiamo alla sua figura solo umanamente, ma è indispensabile la fede. Solo così il nostro giudizio su di lui può essere veritiero.
Letture di oggi = Dn 13,1-9.15-17.19-30.33-62 (oppure: 13,41c-62); Sal 22,1-6; Gv 8,12-20.
Santi di oggi = San Epafrodito; Santa Lea; San Benvenuto Scotivoli.

23 marzo (mar) – Signore, ascolta la mia preghiera. – L’episodio narrato nella prima lettura è simbolo di ciò che Gesù preannuncia nel vangelo: la croce come strumento di salvezza.
Letture di oggi = Nm 21,4-9; Sal 101,2-3.16-21; Gv 8,21-30.
Santi di oggi = San Turibio di Mogrovejo; San Gualterio; Sant’Ottone.

24 marzo (mer) – A te la lode e la gloria nei secoli. – Diventare cristiani non rende la vita più semplice, più facile, ma fa diventare persone veramente libere.
Letture di oggi = Dn 3,14-20.46-50.91-92.95; Cant. Dn 3,52-56; Gv 8,31-42.
Santi di oggi = San Secondulo; B. Giovanni dal Bastone.

25 marzo (gio) – Annunciazione del Signore. Solennità – Eccomi, Signore: si compia in me la tua parola. – Questa «celebrazione era ed è festa congiunta di Cristo e della Vergine: del Verbo che si fa figlio di Maria e della Vergine che diviene Madre di Dio» (Paolo VI, Marialis cultus, 6).
Letture di oggi = Is 7,10-14; 8,10; Sal 39,7-11; Eb 10,4-10; Lc 1,26-38.
Santi di oggi = Santa Lucia Filippini.

26 marzo (ven) – Nell’angoscia t’invoco: salvami, Signore. – Anche in noi possono esserci domande contraddittorie riguardo la nostra fede che non poggia sulla roccia della Sacra Scrittura.
Letture di oggi = Ger 20,10-13; Sal 17, 2-7; Gv 10,31-42.
Santi di oggi = Santi Baronzio e Desiderio; B. Maddalena Caterina Morano.

27 marzo (sab) – Il Signore ci custodisce, come un pastore il suo gregge. – Il gran sacerdote Caifa, che detiene la carica dall’anno 18 al 36, senza saperlo, fa un’affermazione che è il cuore della fede cristiana: il Cristo morirà per tutti, perché sia data tutta la vita alla famiglia umana.
Letture di oggi = Ez 37,21-28; Cant. Ger 31,10-13; Gv 11,45-56.
Santi di oggi = San Ruperto; B. Francesco Faà di Bruno.

5. Saggezza calabrese
Penitenza degli sposi in peccato

A Joppolo (VV) fino a un centinaio di anni fa vigeva una singolare e severa tradizione: l’ammenda (penitenza) pubblica. – Due concubini che volevano regolarizzare e legittimare la loro unione con il sacramento, si presentavano al parroco la domenica prima della festa, quando la chiesa era gremita di gente per la messa cantata. Si inginocchiavano, lasciandosi caricare dal sacerdote di pietre grosse e piccine sulle spalle, sugli avambracci, sulle mani conserte al seno. Finita la cerimonia, il parroco li avvicinava dicendo: “Il popolo vi ha perdonato ed io vi benedico!” Dopo queste parole, fissava loro il giorno del matrimonio.
Le pietre richiamano l’uso orientale e specie ebraico di punire gli adulteri: chi non ricorda l’episodio dell’adultera portata avanti a Gesù?…
La morale comune esigeva la giusta riparazione, per cui la parola del parroco alla fine della cerimonia ammoniva i due colpevoli, annunziando loro il perdono supremo di Dio, dopo quello del popolo, che rimaneva il vero giudice severo. Questo residuo di pratica cristiana medioevale, fatto più a scopo morale che non penale, durò a lungo nonostante le raccomandazioni del Concilio di Trento a togliere le consuetudines non laudabiles, cioè le usanze non proprio lodevoli.
(Salvatore Brugnano, Espressioni di religiosità popolare, vol. 5, La vita).

Condividi l'articolo