Cultura e Società

La bisaccia del pellegrino

Rubrica religiosa settimanale

a cura di P. Salvatore Brugnano

Marzo 2010, terza settimana: 14-20 marzo
1. Vangelo della domenica – «Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita».
2. Aspetti della vita – Un grido dalla palude: aiutami tu!
3. Un insegnamento di S. Alfonso – Il giudizio di Dio
4. La settimana con la liturgia (14-20 marzo).
5. Saggezza calabrese – Il canto della settimana

1. Vangelo della domenica – Luca 15,1-3.11-32«Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita».
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Questa parabola rivela il centro del vangelo: Dio come Padre di tenerezza e di misericordia. Egli prova una gioia infinita quando vede tornare a casa il figlio da lontano, e invita tutti a gioire con lui. Gesù fin dall’inizio mangia con i peccatori (cfr Lc 5,27-32). Ora invita anche i giusti.
Questa parabola ha come primo intento di portare il fratello maggiore ad accettare che Dio è misericordia. Questa scoperta è una gioia immensa per il peccatore e una sconfitta mortale per il giusto. E’ la conversione dalla propria giustizia alla misericordia di Dio. La conversione consiste nel rivolgersi al Padre che è tutto rivolto a noi e nel fare esperienza del suo amore per tutti i suoi figli. Per questo il giusto deve accettare un Dio che ama i peccatori. Per accettare il Padre bisogna convertirsi al fratello.
Il Padre non esclude dal suo cuore nessun figlio. Si esclude da lui solo chi esclude il fratello. Ma Gesù si preoccupa di ricuperare anche colui che, escludendo il fratello, si esclude dal Padre.
Nel mondo ci sono due categorie di persone: i peccatori e quelli che si credono giusti. I peccatori, ritenendosi senza diritti, hanno trovato il vero titolo per accostarsi a Dio. Egli infatti è pietà, tenerezza e grazia: per sua natura egli ama l’uomo non in proporzione dei suoi meriti, ma del suo bisogno.
I destinatari della parabola sono gli scribi e i farisei, che si credono giusti. Gesù li invita a convertirsi dalla propria giustizia che condanna i peccatori, alla misericordia del Padre che li giustifica. Mentre il peccatore sente il bisogno della misericordia di Dio, il giusto non la vuole né per sé né per gli altri, anzi, come Giona (4,9), si irrita grandemente con Dio perché usa misericordia.
La conversione è scoprire il volto di tenerezza del Padre, che Gesù ci rivela, volgersi dall’io a Dio, passare dalla delusione del proprio peccato, o dalla presunzione della propria giustizia, alla gioia di esser figli del Padre.
Radice del peccato è la cattiva opinione sul Padre: e questa opinione è comune ai due figli. Il più giovane, per liberarsi del Padre, si allontana da lui con le degradazioni della ribellione, della dimenticanza, dell’alienazione atea e del nihilismo. L’altro, per imbonirselo, diventa servile.  (Lino Pedron)

2. Aspetti della vita
Un grido dalla palude: aiutami tu!

Aiutami tu / a tirarmi fuori dalla palude; / come potrò da me solo / prendermi sotto le braccia? / Io non sono che un peso / d’ossa e di carne che scende / ogni momento più in basso. / Se tu non mi dai una mano, / come salirò a te? / La morte mi ti contende, / mi vuole con sé nel suo letto.

Alcuni anni fa, cercando di spiegare simbolicamente la tesi centrale della Lettera ai Romani sulla legge della grazia, ero ricorso all’immagine di un uomo che è incappato in un banco di sabbie mobili: egli spontaneamente alza le braccia verso l’alto, illudendosi di sollevarsi da solo, evitando il gorgo (il “salvarsi” attraverso le opere della legge). In realtà potrà sfuggire a quella voragine soltanto se ci sarà la mano di un altro che, ben piantato sulla roccia, può trattenerlo ed estrarlo dalla palude o dalle sabbie (è l’ “essere salvati” dalla grazia).
Ebbene, trovo la stessa immagine leggendo ora alcune poesie di Giorgio Vigolo (1894-1983), un poeta romano di grande raffinatezza tematica e stilistica. La sua è una preghiera che potremmo ripetere proprio nella quiete di una domenica, mentre ci ritroviamo con noi stessi e, col fluire del tempo, sentiamo avvicinarsi la morte, ora dopo ora, pronta ad abbracciarci e a condurci sul suo letto. Pensieri severi, come quelli della colpa e della grazia, della fede e della salvezza, del bene e del male che espelliamo dal nostro orizzonte quotidiano, lasciandoci trascinare da quella caduta, ridotti ad essere solo “un peso d’ossa e di carne che scende ogni momento più in basso”. (Mons. Gianfranco Ravasi)

3. Un insegnamento di S. Alfonso
Il giudizio di Dio

L’abate Agatone dopo anni ed anni di penitenza, al pensiero del giudizio, diceva: «Che sarà di me quando sarò giudicato?» . Giobbe scrive: “Niente potrei fare quando Dio mi giudicherà, non saprei rispondere quando me ne chiederà conto” (Gb 31,14). E noi cosa risponderemo quando Cristo ci chiederà conto delle grazie che ci ha elargito e del nostro rifiuto?
Cristo verrà a giudicarci coperto delle piaghe della sua Passione e morte. Queste saranno di consolazione per chi in vita ha pianto i propri peccati, di spavento per chi è morto in peccato grave.
Quale pena per un’anima vedere per la prima volta Cristo giudice. L’anima vedrà la maestà del Giudice, quanto ha sofferto per amor suo, quanta misericordia, quanti mezzi le ha offerto per salvarla. Vedrà la vanità dei beni del mondo e la bellezza dei beni eterni. Vedrà, ma inutilmente! È scaduto il tempo per porvi rimedio. Quel che è fatto, è fatto.
Quale gioia, invece, sarà nel giorno del giudizio per chi per amore di Cristo si è staccato dalle “cose del mondo”, ha amato il nascondimento, ha tenuto sempre sotto controllo gli istinti, non ha amato altri che Dio. Che felicità sentirsi dire: «Vieni, entra, servo buono e fedele nel gaudio del tuo Signore (cf. Mt 25,21). Su, allegramente, non corri più il pericolo di perdermi».
“Ciò che l’uomo avrà seminato, quello raccoglierà” (Gal 6,7). Nel giorno del giudizio ciò che si è seminato in vita, si raccoglierà.
Se tra un’ora dovessimo presentarci al tribunale di Dio, quanto daremmo per un altro anno di vita! (Alfonso Amarante, Verità scomode, 2009)

4. La settimana con la liturgia = 15- 20 marzo 2010
15 marzo (lun) –  Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato.  – La risurrezione del figlio del funzionario del re è prefigurazione di quanto ci attende nella Gerusalemme celeste.
Letture di oggi =  Is 65,17-21; Sal 29,2.4-6.11-13; Gv 4,43-54.
Santi di oggi =  San Clemente M. Hofbauer;  San Zaccaria; Santa Luisa de Marillac; B. Artemide Zatti.

16 marzo (mar) – Dio è per noi rifugio e fortezza. Oppure: Con la tua presenza salvaci, Signore. –  Alla ricerca umana di soprannaturale e di miracoli il Signore Gesù indica dove si trovi la vera speranza e salvezza: nella sua Parola.
Letture di oggi = Ez 47,1-9.12; Sal 45,2-3.5-6.8-9; Gv 5,1-16.
Santi di oggi =  Santi Ilario e Taziano; Sant’Eriberto; B. Giovanni Sordi.

17 marzo (mer) – Misericordioso e pietoso è il Signore.  – Nella figura di Gesù, l’inviato del Padre, il Figlio di Dio che compie la volontà del Padre suo, trova il senso ultimo dell’esistenza umana.
Letture di oggi  =  Is 49,8-15; Sal 144,8-9.13.14.17-18; Gv 5,17-30.
Santi di oggi =  San Patrizio; Sant’Agricola; Santa Geltrude.

18 marzo (gio) – Ricòrdati di noi, Signore, per amore del tuo popolo.   – Gesù continua la sua automanifestazione invitandoci a riconoscere in lui il Messia, l’inviato dal Padre, il Figlio di Dio.
Letture di oggi =  Es 32,7-14; Sal 105,19-23; Gv 5,31-47.
Santi di oggi = San Cirillo di Gerusalemme; San Frediano; Sant’Edoardo.

19 marzo (ven) –  Solennità di San Giuseppe – Tu sei fedele, Signore, alle tue promesse. Oppure: In eterno durerà la sua discendenza. – San Giuseppe, proprio in quanto era un uomo giusto, ha affidato la propria vita e quella di Maria nelle mani del Signore non senza aver sofferto una profonda crisi interiore.
Letture di oggi =  2Sam 7,4-5a.12-14a.16; Sal 88,2-5.27-29; Rm 4,13.16-18.22; Mt 1,16.18-21.24 opp. Lc 2,41-51.
Santi di oggi =  San Giuseppe, sposo della Beata Vergine Maria; B. Andrea Gallerani.

20 marzo (sab) –  Signore, mio Dio, in te ho trovato rifugio.   –  Di fronte a Gesù non si può rimanere indifferenti: ogni persona deve porsi in questione per accettarlo come il Cristo, il Figlio di Dio.
Letture di oggi = Ger 11,18-20; Sal 7,2-3.9-12; Gv 7,40-53.
Santi di oggi =  Sant’Archippo; San Cutberto.

5. Saggezza calabrese
La chiesa, luogo di ‘mbasciate!

La chiesa per lungo tempo – ma ancora oggi in alcune parti – era il luogo preferito (e molte volte il solo) dove gli innamorati potevano scambiarsi imbarazzanti ‘mbasciate circa il loro amore, complici compagni e compagne ed anche l’indulgente comprensione dei genitori e … perché no? anche del parroco. Quanti matrimoni combinati all’ombra del campanile!
Questo costume ha animato anche i contenuti della poesia amorosa e delle serenate, come si nota nei seguenti versi:
“Vaju a la missa pemmu viju a tutti,
puru mu viju la murusa mia;
vaju e la viju cu la vesti russi,
puru lu virdi allegru nci merìa.

Ed eu fici attu ca nd’avìa la tussi
mu viju si si vota, amaru mia.
Ija si vota cu li labbra russi:
“amuri, ‘nta sti vrazza ti vorrìa!”
(Salvatore Brugnano, Espressioni di religiosità popolare, vol. 5, La vita).

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