La bisaccia del pellegrino

Rubrica religiosa settimanale

a cura di P. Salvatore Brugnano

 

Aprile 2010, Quinta settimana: 25 aprile – 1 maggio 2010

1. Vangelo della domenica –«Le mie pecore ascoltano la mia voce…».
2. Aspetti della vita – Il peccato di guardare dall’altra parte.
3. Un insegnamento di S. Alfonso – Rimorsi di un condannato all’inferno.
4. La settimana con la liturgia (26 aprile – 1 maggio).
5. Saggezza calabrese – I rituali delle reputatrici o prefiche.

1. Vangelo della domenica – Giovanni 10, 27-30 
«Le mie pecore ascoltano la mia voce».

In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

Nell’antico Testamento Dio viene rappresentato come pastore del suo popolo. “Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla ” (Sal 23,1). “Egli è il nostro Dio e noi il popolo che egli pasce” (Sal 95,7). Il futuro Messia è anch’esso descritto con l’immagine del pastore: “Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul seno e conduce pian piano le pecore madri” (Is 40,11).
Questa immagine ideale di pastore trova la sua piena realizzazione in Cristo. Egli è il buon pastore che va in cerca della pecorella smarrita; si impietosisce del popolo perché lo vede “come pecore senza pastore” (Mt 9,36); chiama i suoi discepoli “il piccolo gregge” (Lc 12, 32). Pietro chiama Gesù “il pastore delle nostre anime” (1 Pt 2, 25) e la Lettera agli Ebrei “il grande pastore delle pecore” (Eb 13,20).
Di Gesù buon Pastore, il brano evangelico di questa domenica mette in risalto alcune caratteristiche. La prima riguarda la conoscenza reciproca tra pecore e pastore: “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono”. E poi un’altra cosa: il buon Pastore dà la vita alle pecore e per le pecore e nessuno potrà rapirgliele. L’incubo e la minaccia costante dei pastori d’Israele erano le bestie selvagge – lupi e iene – e i briganti. Era il momento in cui veniva fuori la differenza tra il vero pastore -quello che pasce le pecore di famiglia, che ha la vocazione di pastore- e il salariato che si mette a servizio di qualche pastore unicamente per la paga che ne riceve, ma non ama, e spesso anzi odia le pecore. Di fronte al pericolo, il mercenario fugge e lascia le pecore in balia del lupo o del brigante; il vero pastore affronta coraggiosamente il pericolo per salvare il gregge. La Pasqua è stata il momento in cui Cristo ha dimostrato di essere il buon pastore che da la vita per le sue pecore.
Questa IV domenica di Pasqua, denominata del “Buon Pastore”, coincide con la giornata mondiale di preghiera per le vocazioni. Nel Vangelo Gesù si presenta come il buon Pastore che è uno con il Padre e con le sue pecore. Queste sono eredità del Padre, ma affidate al Figlio per esser custodite dalla sua mano sicura. Per rimanere unite a Lui, loro Re e capo, esse devono prestare ascolto docile e obbedienza pronta alla sua voce.

 2. Aspetti della vita
Il peccato di guardare dall’altra parte

«Quando i nazisti sono venuti a cercare i comunisti, io non ho detto niente. In effetti non ero comunista. Quando hanno messo in prigione i socialdemocratici, io non ho detto niente. In effetti non ero socialdemocratico. Quando sono venuti a cercare i cattolici, io non ho detto niente. In effetti io non ero cattolico. Quando sono venuti a cercare me, non c’era più nessuno per protestare».

Aspre nelle loro verità sono queste parole di Martin Niemöller che fu a capo della lega dei duemila pastori evangelici tedeschi che dichiararono pubblicamente la loro avversione al nazismo, alle sue teorie e scelte politiche e si schierarono in favore e a tutela degli ebrei perseguitati. La sua è una lezione sempre valida e colpisce un peccato spesso in agguato, quello del “pilatismo”, dell’omissione, del guardare dall’altra parte a difesa del proprio quieto vivere o dell’interesse personale.
Aveva ragione, pur nella paradossalità della frase, Pasolini quando in “Umiliato e offeso” dichiarava: «Lo sapevi, peccare non significa fare del male:/ non fare il bene, questo significa peccare». Quante volte siamo svelti nel tacere, nell’ignorare, nel dissociarci, nel badare ai fatti nostri, mentre accanto a noi si perpetrano ingiustizie, si consumano vergogne e si proclamano falsità. Certo, i vantaggi di questo disinteresse – come tutte le scuse accampate – sono molteplici, soprattutto per chi ha il chiodo fisso della carriera, del successo, del perbenismo.
Cristo è stato proprio all’antipodo di questa scelta e con coerenza e coraggio si è incamminato fino alla sorte estrema, senza ignorare, tacere, rinchiudersi in se stesso. A differenza di quel sacerdote della parabola del vangelo di Luca (10, 31) che davanti allo sventurato «passò oltre dall’altra parte…». (Mons. Gianfranco Ravasi) 

3. Un insegnamento di S. Alfonso
Rimorsi di un condannato all’inferno

Il più grande tormento di un dannato saranno i rimorsi della coscienza: “Il loro verme non muore” (Mc 9,47). Questo verme che non muore è il rimorso eterno dei condannati all’inferno. Verme crudele sarà per quel cristiano il pensiero che per misere soddisfazioni ha perduto Dio e si trova in un carcere eterno. Avevo avuto – penserà – la fortuna di nascere e vivere nella vera fede, ma ho abbandonato Dio e ho fatto una fine infelice in questo luogo di eterno dolore. Dio mi aveva concesso grazie, illuminazioni e mezzi per salvarmi, eppure ho voluto dannarmi.
Altro rimorso del dannato sarà il pensiero che, in fondo, bastava poco per salvarsi: avesse perdonato quell’offesa, vinto quel rispetto umano, fuggito quelle occasioni … Che costava evitare quelle conversazioni, quelle compagnie, quei capricci … Avesse frequentato i sacramenti, fatte le preghiere, si fosse raccomandato a Dio … Tante volte se lo era proposto e mai  fatto!
Ma la pena più grande sarà il rimorso di essersi perduto volontariamente, per colpa propria, mentre Cristo è morto sulla croce per salvarlo. «Dunque – dirà – un Dio ha dato la vita per salvarmi ed io, pazzo, ho preferito l’inferno. Oh paradiso perduto, Dio perduto, me infelice!» (P. Alfonso Amarante, in “Verità scomode”)

4. La settimana con la liturgia = -26 aprile – 1 maggio 201026 aprile  (lunedì) – L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente. – Gesù è la porta delle pecore, dalla quale non passano i ladri e i briganti ma il vero pastore.
Letture di oggi = At 11,1-18; Sal 41,2-3 e 42,3-4; Gv 10,1-10.
Santi di oggi = San Pascasio Radberto; Santi Guglielmo e Pellegrino; San Cleto.

27 aprile (martedì) – Genti tutte, lodate il Signore. – Le opere da lui compiute rivelano già che Gesù è il Cristo, ma soltanto chi appartiene a lui saprà riconoscerlo.
Letture di oggi = At 11,19-26; Sal 86,1-7; Gv 10,22-30.
Santi di oggi =   San Liberale; Santa Zita; Beata Elisabetta Vendramini.

28 aprile  (mercoledì) – Ti lodino i popoli, o Dio, ti lodino i popoli tutti. – Gesù si autoproclama luce che rischiara le tenebre. È venuto per salvare il mondo, ma a condizione che crediamo nelle parole che egli ci rivolge a nome del Padre.
Letture di oggi  = At 12,24 – 13,5; Sal 66,2-3.5-8; Gv 12,44-50.
Santi di oggi =  San Luigi M. Grignion de Montfort (m.f.); San Pietro Chanel (m.f.). Santa Gianna Beretta Molla.

29 aprile (giovedì ) – Benedici il Signore, anima mia. Oppure: In te, Signore, ho posto la mia gioia. – Come le vergini sagge, le quali sono in attesa, pur non conoscendo né il giorno né l’ora del ritorno dello sposo, restiamo vigilanti in vista della seconda venuta del Signore.
Letture di oggi = 1Gv 1,5 – 2,2; Sal 102,1-4.8-9.13-14.17-18; Mt 11,25-30.
Santi di oggi = Santa Caterina da Siena (Patrona d’Italia).

30 aprile  (venerdì) – Tu sei mio figlio, oggi, ti ho generato. – Gesù è andato a prepararci un posto presso il Padre. Nutriamo fiducia in lui che si autodichiara “Via, Verità e Vita”.
Letture di oggi = At 13,26-33; Sal 2,6-11; Gv 14,1-6.
Santi di oggi = San Pio V; San Giuseppe Benedetto Cottolengo; Santa Sofia.

1 maggio  (sabato) – Tutti i confini della terra hanno veduto la vittoria del nostro Dio. –  Restiamo fedeli alla parola di Gesù: chi ha visto lui, ha visto il Padre e potrà compiere le opere che egli ha compiuto, anzi più grandi.
Letture di oggi = At 13,44-52; Sal 97,1-4; Gv 14,7-14.
Santi di oggi = San Giuseppe lavoratore.

5. Saggezza calabrese
I rituali delle reputatrici o preficheLe reputatrici o prefiche erano le donne che – anche a pagamento – 2piangevano” sui defunti, decantando le loro lodi.  “Ai nostri giorni l’uso delle prefiche va sempre più diradandosi, ma tuttavia capita ancora -anche se sempre con più rarità- sentirne qualcuna intonare lugubri canti di dolore e di disperazione. In questi canti si notano motivi stereotipi nonché la mancanza di un modulo specifico, e si rilevano quelle che sono le espressioni caratteristiche del dialetto locale in momenti di disperazione, di sgomento e di estremo dolore, come ad esempio: “Sbalasciu; focu chi mi vinni; ruvina di la casa mia…”.
La melopea dei canti è caratterizzata in modo uniforme e senza notevoli varianti.
Abbiamo scelto uno dei tanti canti delle prefiche giffonesi, in cui si parla di una fanciulla che si dispera per la morte della madre. La prefica mette in rilievo i gravi e grandi problemi che furono il travaglio della madre nel portare avanti la famiglia, e l’ansia maggiore rivolta ai figli minorenni che sono rimasti in casa. Il pensiero maggiore sembra essere per la figlia più piccola. Ecco il testo da noi raccolto:

Focu chi mi vinni,
e m’arrivau stamatina,
o mammaricchia mia, ndi ‘bbandunasti!
Ma no era ura la tua
ca lu sapivi ‘u penzeru
chi nd’avimu.
Ca nd’avimu li minuri intra
ed eu no mi la sentu
mu fazzu la capa di la casa.
Ma tu no penzari a mia
chi su la randi,
penza a la picciriddha nostra
ca èni a rispettu di tutti.
(cf Salvatore Brugnano, Espressioni di religiosità popolare, vol. 5, La Vita).

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