Rubrica religiosa settimanale a cura di P. Salvatore Brugnano
Pensieri sparsi per nutrire la mente e l’anima durante la settimana
Marzo 2013, quarta settimana: 24-30 marzo.
1. Vangelo della domenica 24 marzo – «Domenica delle Palme: Benedetto colui che viene nel nome del Signore.».
2. Aspetti della vita – Le 4 parole di Papa Francesco.
3. Un incontro con S. Alfonso = La sua settimana santa nel 1756.
4. Vivere la settimana con la liturgia = 25-30 marzo 2013.
5. Curiosità calabresi del passato
I canti del Venerdì Santo.
1. Vangelo della domenica delle Palme
L’entrata di Gesù in Gerusalemme – (Lc 19,28-40)
Benedetto colui che viene nel nome del Signore.
In quel tempo, Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme. Quando fu vicino a Bètfage e a Betània, presso il monte detto degli Ulivi, inviò due discepoli dicendo: «Andate nel villaggio di fronte; entrando, troverete un puledro legato, sul quale non è mai salito nessuno. Slegatelo e conducetelo qui. E se qualcuno vi domanda: “Perché lo slegate?”, risponderete così: “Il Signore ne ha bisogno”».
Gli inviati andarono e trovarono come aveva loro detto. Mentre slegavano il puledro, i proprietari dissero loro: «Perché slegate il puledro?». Essi risposero: «Il Signore ne ha bisogno».
Lo condussero allora da Gesù; e gettati i loro mantelli sul puledro, vi fecero salire Gesù. Mentre egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada. Era ormai vicino alla discesa del monte degli Ulivi, quando tutta la folla dei discepoli, pieni di gioia, cominciò a lodare Dio a gran voce per tutti i prodigi che avevano veduto, dicendo: «Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!».
Alcuni farisei tra la folla gli dissero: «Maestro, rimprovera i tuoi discepoli». Ma egli rispose: «Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre».
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In questa domenica, che apre la Settimana santa, viene proclamato un duplice Vangelo: l’ingresso di Gesù in Gerusalemme, prima della processione; poi l’intero racconto della passione, durante la celebrazione eucaristica. – Tenere insieme i due testi ci aiuta a comprendere bene ciò che celebreremo in questa settimana, in particolare nel Triduo pasquale, vertice dell’anno liturgico. Il Signore entra in Gerusalemme ed è accolto come il figlio di Davide, il profeta atteso, il Messia che viene nel nome del Signore.
Il racconto della Passione ci rivelerà quale sia la qualità paradossale della sua signoria: è il re dei Giudei, che regna dalla Croce. Colui che viene, viene come il Crocifisso; è il Figlio di Dio, che svuota se stesso, si umilia, facendosi schiavo obbediente fino alla morte di croce.
Siamo chiamati ad accogliere questo re e a farlo regnare nella nostra vita, riconoscendo che lui è il solo Signore. Ma accogliere un re crocifisso significa far regnare anche in noi quell’amore che risplende nelle tenebre della passione? Soltanto vivere in questo amore non delude la nostra vita. (Fr Luca Fallica in “La Domenica”).
2. Aspetti della vita
Le 4 parole di Papa Francesco
Le “quattro parole” di Papa Francesco nell’omelia all’inaugurazione del suo servizio di vescovo di Roma, successore di Pietro. Papa Francesco ha tenuto una omelia dalla luminosa semplicità, pronunciandola col tono di chi parla dal cuore al cuore, come pastore che cerca, ama e abbraccia quanti Dio ha voluto affidargli e chiunque volesse ascoltarlo. Quattro parole come programma di vita:
Custodia = Custodire vuol dire stare accanto agli altri con attenzione d’amore, prevedendo, provvedendo, rispettando e accogliendo l’altrui cammino nella profondità del cuore e della vita. “Custode” è, peraltro, il bellissimo termine che l’Antico Testamento usa più volte in riferimento al Dio della storia della salvezza: “Non si addormenterà, non prenderà sonno il custode d’Israele. Il Signore è il tuo custode, il Signore è la tua ombra e sta alla tua destra” (Salmo 121,4-5). – “Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato!”. Lo sguardo del Papa si allarga qui all’intera famiglia umana: “La vocazione del custodire non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. È il custodire l’intero creato, la bellezza del creato. È il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. È l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. È il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene”.
Tenerezza = Questa significa non semplicemente l’atto del donare, ma il dare con gioia che suscita gioia. Chi dando crea dipendenze, non è libero e non rende liberi. Chi dona con gioia e rende l’altro felice del dono e consapevole che ogni dono è un reciproco scambio di bene, rende l’umanità più vera, più serena, più bella per tutti. “Il prendersi cura, il custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza… Non dobbiamo avere timore della bontà, della tenerezza!… La vocazione di ognuno: accogliere con affetto e tenerezza l’intera umanità, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli.
Servizio = “Non dimentichiamo mai che il vero potere è il servizio e che anche il Papa per esercitare il potere deve entrare sempre più in quel servizio che ha il suo vertice luminoso sulla Croce”. Servire è dare la vita per gli altri, come ha fatto Gesù. Servire è ritenere il bene di tutti più importante di ogni possibile interesse di parte, fino a dimenticarsi di sé.
Speranza = Il servizio del vescovo di Roma, a cui tutti sono invitati a partecipare nella misura del dono dato a ciascuno da Dio, tende precisamente a questo: “far risplendere la stella della speranza”. È convinzione dell’attuale Successore di Pietro che potrà riuscirci chiunque saprà custodire “con amore ciò che Dio ci ha donato!”. La barca di Pietro ha un timoniere umile e forte, tenero e fermo: a tutti l’invito a navigare con lui sui mari della vita e della storia, anche quando essi si annunciano tempestosi, non solo sperando, ma anche organizzando la speranza, e organizzandola insieme per la forza di un servizio fatto di tenerezza e di custodia, rivolto a ciascuno, accogliente per tutti.
3. Un incontro con S. Alfonso
La sua settimana santa nel 1756 (10-17 aprile)
S. Alfonso aveva lavorato alacremente alla stesura della nuova edizione della sua Teologia Morale. Molte erano state le critiche al suo sistema, ma egli con fiducia le aveva tutte superate, come scrisse l’8 aprile all’editore Remondini di Venezia. – Il biografo francese Théodule Rey-Mermet ci racconta la settimana santa di Alfonso, che fu per lui di vera passione. «Dieci giorni dopo questa lettera, Alfonso di ritorno a Pagani fu assalito da febbre e da violenti dolori di testa, aggravandosi rapidamente: dalla vigilia della Domenica delle Palme fino al Sabato Santo fu tra la vita e la morte. Lo si sentiva ripetere:
“ Bel segno sarebbe morire in questa settimana santa! O bella cosa morire nella settimana santa! ”.
Fece comunicare al P. Villani, che stava fondando a S. Angelo a Cupolo una nuova casa, di provvedere per l’interim del governo dell’Istituto alla sua morte.
Gli fu presentata una lettera delle suore di Scala:
– La leggerò nel giorno del giudizio…
Confidò all’infermiere:
– Io ho finito tutto: i libri di morale sono compiti; nella settimana santa me la sfilo!
– Fa’ un altro libro, acciò vivi un altro poco.
– E che debbo vivere, per far peccati?
– Si prega dovunque per la vostra guarigione, gli disse un padre.
– Oh quanto meglio avrebbero fatto, rispose, se pregato avessero il Signore, acciò mi facessi santo, e morissi in sua grazia.
Guarì e con la risurrezione del Signore la “ sua ” diffuse la gioia nella casa e in tutta Nocera.
Il giovane P. Giuseppe Melchionna, al quale dobbiamo tutte queste parole di Alfonso, ci ha trasmesso un’altra sua confidenza, ben più importante:
– Non sento angustie; ma una sola mi affligge, che è l’aver seguito la probabile. Ma io ho l’ubbidienza del mio Direttore, e voto di seguitarla. L’avessi da sgarrare per questa cosa? Ma per farvi il peccato vi vuole la volontà, io non lo voglio: questo tengo per moralmente certo. Il Signore mi ha perdonato il passato, anzi lo tengo per certo.
Dalla sua segreta insoddisfazione era sorta una nuvola, che però non velava il suo giudizio pratico. Ne è prova quanto il 30 aprile dettò per Remondini:
“ Io, nella settimana di Passione, sono stato con un’infermità mortale; ma il Signore mi ha lasciato per pochi altri giorni in questa terra». (da Il Santo del secolo dei Lumi, Citta Nuova 1982, pag. 584)
4. Vivere la settimana con la liturgia = 25-30 marzo – Settimana Santa – Liturgia delle Ore: II settimana
25 marzo (lunedì santo) – Colore liturgico: viola
- – Pensiero dalle letture bibliche di oggi = Il Signore è mia luce e mia salvezza. – A sei giorni dalla Pasqua, Gesù è ben consapevole dell’imminenza della sua morte e sepoltura. Che differenza tra Giuda, che valuta Gesù sulla misura del denaro, e la donna Maria di Betania, che lo valuta su quella dell’amore!
– Letture bibliche alla Messa di oggi = Isaia 42,1-7; Salmo 26,1-3.13-14; Giovanni 12,1-11.
– Santi di oggi = S. Lucia Filippini; San Nicodemo
26 marzo (martedì santo) – Colore liturgico: viola
- – Pensiero dalle letture bibliche di oggi = La mia bocca, Signore, racconterà la tua salvezza. – Gesù sa che il sacrificio della sua vita coincide con la glorificazione di Dio e la propria. Alla figura di Giuda che collabora con Satana per togliergli la vita, si contrappone quella di Pietro che è disposto, invece, a dare la vita per lui.
- – Letture bibliche alla Messa di oggi = Isaia 49,1-6; Salmo 70,1-4a.5-6.15.17; Giovanni 13,21-33.36-38.
- – Santi di oggi = Santi Baronzio e Desiderio.
20 marzo (mercoledì santo) – Colore liturgico: viola
- – Pensiero dalle letture bibliche di oggi = O Dio, nella tua grande bontà, rispondimi. – Mentre Gesù dispone accuratamente tutto per celebrare solennemente la Pasqua, versando per il nostro riscatto il prezzo altissimo del proprio sangue, Giuda lo vende al prezzo di uno schiavo.
- – Letture bibliche alla Messa di oggi = Isaia 50,4-9a; Salmo 68,8-10.21-22.31.33-34; Matteo 26,14-25.
- – Santi di oggi = S. Alessandro Dr.; Beato Francesco Faà di Bruno..
21 marzo (giovedì santo) – Colore liturgico: bianco – Messa “nella Cena del Signore” – Vi do un comandamento nuovo, dice il Signore
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+ Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 13,1-15)
Li amò sino alla fine.
Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto.
Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!». Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti». Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete puri».
Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi».
La Messa in Coena Domini del giovedì santo costituisce un grande portale di ingresso al Triduo Pasquale, nel quale celebriamo la morte, la sepoltura e la risurrezione del Signore. I due gesti che Gesù compie nell’Ultima cena – istituzione dell’Eucaristia e lavanda dei piedi – rivelano il senso di quanto accadrà nei giorni della sua passione. Come testimonia Paolo ai Corinzi, Gesù dice sul pane: «Questo è il mio corpo, che è per voi», poi sul calice: «Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue». Gesù anticipa la morte che lo attende e le conferisce un significato diverso: non sono gli uomini a togliergli la vita, ma è lui che per primo la dona gratuitamente.
Anche il secondo gesto rivela la stessa realtà: un amore che giunge fino al compimento del dono totale di sé, persino a Giuda, colui che lo tradisce, perché anche a lui Gesù lava i piedi, segno di una vita che si consegna per tutti. Nell’eucaristia il Signore ci dona non solo di accogliere la sua vita in noi, ma di divenire a nostra volta memoria vivente di questo suo modo di essere e di amare, fino al compimento. (fr Luca Fallica in “La Domenica”)
22 marzo (venerdì santo) – Colore liturgico: rosso – La Passione e morte del Signore – Cristo si è fatto obbediente fino alla morte di croce
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Dal Vangelo – La Passione del Signore (Gv 18,1- 19,42).
Essi presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Gòlgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù in mezzo. Pilato compose anche l’iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei». Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. I capi dei sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: «Non scrivere: “Il re dei Giudei”, ma: “Costui ha detto: Io sono il re dei Giudei”». Rispose Pilato: «Quel che ho scritto, ho scritto».
I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti, ne fecero quattro parti – una per ciascun soldato –, e la tunica. Ma quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: «Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca». Così si compiva la Scrittura, che dice: «Si sono divisi tra loro le mie vesti e sulla mia tunica hanno gettato la sorte». E i soldati fecero così.
Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.
Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete». Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito.
Era il giorno della Parascève e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato –, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: «Non gli sarà spezzato alcun osso». E un altro passo della Scrittura dice ancora: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto».
Dopo questi fatti Giuseppe di Arimatèa, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto, per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. Vi andò anche Nicodèmo – quello che in precedenza era andato da lui di notte – e portò circa trenta chili di una mistura di mirra e di áloe. Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli, insieme ad aromi, come usano fare i Giudei per preparare la sepoltura. Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto. Là dunque, poiché era il giorno della Parascève dei Giudei e dato che il sepolcro era vicino, posero Gesù.
La liturgia del Venerdì Santo è incentrata sulla croce, che viene solennemente innalzata e adorata. La “passione di Gesù” è un’espressione che nel nostro cuore evoca la sofferenza umana di Gesù, iniziata con l’incarnazione e maturata nella sua vita privata e pubblica, ma evidenziata soprattutto nelle ultime ore della sua vita terrena, a cominciare dall’agonia del Getsemani fino al «Tutto è compiuto», pronunciato sulla croce. Il largo spazio dedicato dagli Evangelisti e dalla liturgia stessa al racconto della “Passione” è la testimonianza della sua importanza. Il Canone della Messa precisa, inoltre, che Gesù non ha “subìto” la passione; egli l’ha “volontariamente” accettata, in obbedienza al Padre e per amore nostro. Ricordiamolo. (Tarcisio Stramare in “La Domenica”)
23 marzo (sabato santo) – Colore liturgico: bianco – VEGLIA PASQUALE – L’angelo disse alle donne: «non è qui. è risorto!»
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Annunzio Pasquale
Esulti il coro degli angeli, esulti l’assemblea celeste: un inno di gloria saluti il trionfo del Signore risorto. Gioisca la terra inondata da così grande splendore: la luce del Re eterno ha vinto le tenebre del mondo.
+ Dal Vangelo secondo Matteo (Lc 24,1-12)
Perché cercate tra i morti colui che è vivo?
Il primo giorno della settimana, al mattino presto [le donne] si recarono al sepolcro, portando con sé gli aromi che avevano preparato. Trovarono che la pietra era stata rimossa dal sepolcro e, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù.
Mentre si domandavano che senso avesse tutto questo, ecco due uomini presentarsi a loro in abito sfolgorante. Le donne, impaurite, tenevano il volto chinato a terra, ma quelli dissero loro: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea e diceva: “Bisogna che il Figlio dell’uomo sia consegnato in mano ai peccatori, sia crocifisso e risorga il terzo giorno”».
Ed esse si ricordarono delle sue parole e, tornate dal sepolcro, annunciarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri. Erano Maria Maddalena, Giovanna e Maria madre di Giacomo. Anche le altre, che erano con loro, raccontavano queste cose agli apostoli.
Quelle parole parvero a loro come un vaneggiamento e non credevano ad esse. Pietro tuttavia si alzò, corse al sepolcro e, chinatosi, vide soltanto i teli. E tornò indietro, pieno di stupore per l’accaduto.
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La Chiesa ci chiama a vegliare in preghiera nell’ascolto della parola e nella partecipazione ai sacramenti. È una veglia “pasquale”, ossia trascorsa nella ferma speranza di partecipare alla risurrezione di Gesù, che è vittoria sulla morte. La fede, simboleggiata nel cero pasquale solennemente acceso, ci illumina nelle tenebre della notte del peccato, per guidarci, attraverso le letture dell’Antico e Nuovo Testamento, a scoprire il nostro destino, la nostra filiazione divina. Dio, nostro Creatore e Padre, non ci ha mai abbandonati nel nostro lungo cammino di peccato, ma ci ha sempre sostenuti con la sua volontà salvifica e con la potenza del suo Spirito fino raggiungere l’unione con Gesù, suo Figlio, diventato uomo come noi per unirci a sé nella sua morte e risurrezione. (Tarcisio Stramare in “La Domenica”)
Veglia della Notte santa – la Madre di tutte le veglie. Così S. Agostino definisce questa celebrazione. Essa si colloca al cuore dell’Anno liturgico, al centro di ogni celebrazione. Ad essa si preparavano i nuovi cristiani, in essa speravano i peccatori, tutti potevano di nuovo attingere dalla mensa ai «cancelli celesti». Essa rappresenta Totum pasquale sacramentum. Infatti in essa si celebrano non solo i fatti della risurrezione, ma anche quelli della passione di Cristo.
5. Curiosità calabresi del passato
I canti del Venerdì Santo
Il lamento della Madonna
La sera del Venerdì Santo ha luogo a Tropea la imponente processione del Cristo morto. Una folla immensa di popolo segue la bara del Cristo morto con la banda che suona strazianti marce funebri.
Una volta gli uomini reggevano in mano delle fiaccole resinose e le donne cantavano un tradizionale lamento riportato di seguito:
Non fu a Gesù li pedi chi lavau,
‘N casa di Simuni, ‘a Matalena?
O duci Figghìu, e cui t’indovinau?
Supportari no’ lu pozzu pi la pena.
Sta bella facci toi chi nd’allegrava,
Cu ti la trasformau, cuntami, cui?
Sta duci vucca, chi beni parrava.
Cui ti la chiusi, ca non parra cchiui?
Quali manu crudili e dispietata?
Si ncorchi mamma perdi li figghioli
E li perdi morendu a lu so’ lettu;
Ma cu li perdi strani cchiù si doli
Affritta e sula cu tantu dispettu.
E si ncorcunu mai cadi malatu
Si menti a lu lettu ed havi medicini;
Ma, duci Figghiu, a Tia sta priparatu
Pi lettu ‘a cruci e nu massu di spini,
Feli ed acitu su’ medicamenti,
E mori in cruci senza nu lamentu!
Pi chistu ‘nsuppurtabili doluri
Ti raccumandu assai li piccaturi
E ‘sta grazia Ti cercu, o Figghiu duci:
Fa’ mu moru cu Tia sutta la cruci.
Il lamento: “Cu’ ha perzu figghi”
Le donne cantavano anche questo lamento, seguendo la bara del «Signuri mortu» durante la processione del Venerdì Santo:
Cu’ ha perzu figghi po’ cunsidirari,
Perz’ho mio figghiu, ahimè, com’haju a fari!
Non c’è nessunu mu m’insigna la strata,
Lu stessu sangu mi la fa ‘nsignari.
‘Na donna mi ‘ncuntrò pi’ quella strata,
Di nomu la Veronica chiamata.
– Hai vistu a mio figghiu di cca passari
E cu’ na vesti nova lavurata?
– Tal’omu non passò di questa strata,
Ca unu ndi mani ‘stu vilu chi portu,
Vidi s’è chistu lu to’ figghiu amatu -.
Vitti spuntari ‘na cavalleria,
Vitti spuntari semila reggenti.
– Chistu sarà me’ figghiu, amara mia!
Mi lu pigghiaru ed io non lu sapia.
Torna la Vironica cu’ rancuri:
Ssu vilu tenittillu ben sarvatu
A mio figghiu nci asciugasti li suduri,
Li so’ bellizzi preziusi e cari -,
‘Ntisi la trumba lu versu sonari,
Maria appressu la trumba vozi iri
– Chi ha fattu d’omu chi morti lu portati?
Forsi fu marfatturi e scanuscenti?
Io su’ donna so’ matri, la scuntenta.
– Tu si donna so’ matri, scellerata,
Tu nci sapivi li so’ mmancamenti,
Tira, passa di ccà, pazza nzenzata!
– Io vi pregu, fratelli me’ cari,
Ora vi pregu a tutti quantu siti,
Mentri a mio figghiu mortu lu portati,
Dassati mu nci dugnu l’urtimi baciati.
Oh figghiu duci, a tia cu’ ti ‘nchiovau?
E cu la po’ suffriri tanta pena?
Pi’ mia lu Suli e la Luna scuraru,
A mia mi manca la forza e la lena,
Lena non haju, figghio mio nucenti,
Ma ti piangissi piatusamenti.
E tu, fammi ‘sta grazzia, Figghiu duci,
Mu moru cu tia sutt’a ‘ssa cruci –
(Giuseppe Chiapparo, in Etnografia di Tropea – Scritti demologici e storici, M.G.E. 2009, p. 187-188).