Rubrica quotidiana a cura di P. Salvatore Brugnano
Storie belle… per vivere meglio
Incontro al vaccino col padre in spalla per 12 ore.
– Il titolo e la foto hanno fatto gridare gli scettici ad una bufala, ad una fake-news. Ed invece tutto vero e documentato.
– In Brasile nella foresta amazzonica un giovane, Tawy, 24 anni, con il padre sulle spalle ha camminato per 12 ore per farlo vaccinare. La foto è di un medico addetto alle vaccinazioni, Erik Jennings Simoes, che l’ha pubblicata sul social Instagram.
– Il lungo viaggio di Tawy contro il Covid e lo scatto fotografico sta facendo il giro del mondo: un giovane che porta sulle spalle il padre 67enne per 12 lunghe ore per consentire all’anziano di ricevere il vaccino contro il Covid.
– il giovane Tawy Zóé, 24 anni, ha attraversato la foresta pluviale amazzonica a piedi, insieme al padre disabile Wahu: lo ha legato con il suo jamanxim, una portantina di corde intrecciate e si è messo in viaggioper raggiungere un gruppo di medici nel cuore della selva. Sei ore all’andata e sei al ritorno, dove vive la famiglia nel Nord del Brasile. – A Troia, Enea si caricò sulle spalle il padre Anchise e lo portò fino in Italia. Ora la foto di questi «Enea e Anchise amazzonici» dà un segnale di speranza nel mezzo della nuova ondata di contagi nel mondo.
Eroismo di famiglia.
♦ La famiglia di Tawy appartiene a una tribù isolata che solo di recente ha cominciato ad avere i contatti con il resto della società nel Parà brasiliano. Ha raggiunto un gruppo di medici nel cuore della selva.
♦ Tawy, 24 anni, ha caricato il padre disabile, Wahu, sulle spalle. L’ha legato con il suo jamanxim, una portantina di corde intrecciate, e s’è messo in viaggio. Un passo dopo l’altro, ha camminato nella foresta fitta per dodici ore – sei all’andata e altre sei al ritorno –, guadando ruscelli, arrampicandosi su pendii scoscesi, schivando rami-trappola.
♦ Ha scavalcato le barriere vegetali e, soprattutto, quelle culturali. Non è stato facile per Tawy, 24 anni, indigeno Zó’é, uscire dalla selva per andare incontro agli «uomini bianchi» con cui da poco tempo la sua etnia era entrata in contatto.
♦ Sapeva, però, di non avere altra scelta. Solo loro avevano i vaccini in grado di proteggere il genitore 67enne dal nuovo flagello che minacciava tutti i brasiliani, incluso il suo popolo: il Covid.
♦ Appena sentito il messaggio alla radio con cui l’équipe medica comunicava la distribuzione delle dosi nel Nord del Pará, s’è messo in marcia. E ce l’ha fatta.
Una foto che è una vera testimonianza.
♥ Il gesto di Tawy ha commosso Erik Jennings Simões, capo della squadra sanitaria, che ha voluto immortalarlo.
Lo scatto è di quasi un anno fa: Tawy e Wahu hanno ricevuto la prima dose il 22 gennaio 2021, quando la campagna vaccinale in Brasile era cominciata da cinque giorni e agli indigeni, particolarmente fragili di fronte al virus, era stata data priorità.
♥ Per dodici mesi, il dottore l’ha conservata e solo ora ha voluto diffonderla su Instagram come immagine-simbolo del 2021 appena terminato. Per il neurochirurgo 52enne, da vent’anni impegnato nella cura dei popoli della foresta, la foto di questi «Enea e Anchise amazzonici» dà un segnale di speranza nel mezzo della nuova ondata di contagi nel mondo.
La cura reciproca.
♦ Di fronte al moltiplicarsi di “fake news” e polemiche pretestuose sui vaccini, inoltre, la saggezza intrisa di realismo degli indigeni lancia un potente richiamo alla responsabilità. O meglio alla «cura reciproca», come la chiamano gli Zó’é, un pugno di 325 uomini e donne sparsi in una minuscoli villaggi lungo il confine con il Suriname.
♦ Si tratta di un territorio di difficile accesso, ma non per questo, però, immune dal Covid. Lo sanno bene gli Yanomami o gli Araribóia, flagellati dal virus portato dai cercatori d’oro clandestini e dai trafficanti di legname. In base ai dati ufficiali della Segreteria per la salute indigena (Sesai), finora la pandemia ha colpito 57mila nativi brasiliani e ne ha sterminati 853. Una cifra tutt’altro che esigua per tribù costituite spesso da poche decine di persone.
♥ Oltretutto, secondo l’Associazione dei popoli indigeni brasiliani (Apib), i numeri sono molto sottostimati: già a marzo 2021 sarebbero state superate le mille vittime. Gli Zó’é finora sono stati risparmiati. Fin dalle prime campagne informative, organizzate dalle Chiese, dagli attivisti, Ong e dai medici, la piccola etnia ha deciso di autoisolarsi.
♥ Si sono divisi in 18 famiglie e ognuna s’è scelta un luogo della foresta distante dalle altre, in modo da evitare i contatti.
Gli Zó’é – come la gran parte dei nativi – poi non ha fatto resistenza di fronte alle vaccinazioni, come dimostra il caso di Tawy.
♥ Il problema era ed è semmai logistico. Alcuni tratti di selva sono troppo intricati per le équipe incaricate.
Quella guidata dal dottor Jennings Simões ha potuto inoltrarsi, ad esempio, solo fino a un certo punto della foresta. Impossibile proseguire oltre in auto o trasportare a piedi l’attrezzatura necessaria.
♥ La squadra, dunque, ha costituito la base quanto più vicino possibile ai villaggi. Alcuni operatori, previo tampone e tuta protettiva per non trasformarsi in agenti di contagio, li hanno raggiunti a piedi per comunicare l’avvio della campagna.
♥ Quelli più remoti sono stati avvisati dalla radio. E si sono recati senza esitazioni.
«Gli Zó’é mi chiedono sempre quando tutti i bianchi si vaccineranno per far finire l’emergenza – ha raccontato il medico –. Spero, prima o poi, di poter dare una risposta».
(fonte: cf Avvenire.it, 12 gennaio 2022).