Rubrica quotidiana a cura di P. Salvatore Brugnano
Storie belle… per vivere meglio
Il Venerabile Di Netta, un’attesa senza fine.
– Ci sono Venerabili in attesa… di promozione (beatificazione), o forse destinati a restare tali. Per essi non cambia niente, perché crediamo che già sono nella gloria di Dio. Ma per il popolo di Dio può essere l’occasione di apprezzare ed imitare altre storie di spiritualità e di santità.
– Per il redentorista P. Vito Michele Di Netta (1787-1849) tutto sembra fermo al 7 luglio 1935, quando appunto fu dichiarato Venerabile.
– Oggi, 3 dicembre, è il giorno di questo missionario redentorista nella Calabria dell’800; un autentico testimone della Misericordia di Dio, morto in questo giorno nel 1849. A Tropea (VV), dove è sepolto nella chiesa del Gesù, si attende e si prega per la sua beatificazione.
– Ogni anno questo giorno è stato preceduto da manifestazioni religiose e culturali per evidenziare la sua figura e la sua opera: l’annuale Memoriale P. Di Netta era diventato un appuntamento. La pandemia del coronavirus, che persiste ancora, non lo ha reso possibile e così sono rimaste solo le preghiere a mantenere accesa la fiamma del cammino di beatificazione.
– Il Decreto per la eroicità delle sue virtù (7 luglio 1935) così sintetizza l’opera riconciliatrice e misericordiosa del Venerabile: «Odi estinti, discordie composte, lotte e scandali d’ogni genere dissipati, il maltolto restituito, in una parola restaurata la virtù e la vita cristiana: ecco i frutti che sempre e dovunque producevano i lavori apostolici del P. Di Netta». – Una santità umile e fedele al dono ricevuto di annunziare a tutti l’abbondante redenzione del Cristo.
Breve profilo biografico
♦ P. Vito Michele Di Netta, Missionario Redentorista, nacque a Vallata (AV) nel 1787, anno in cui moriva Sant’Alfonso Maria de Liguori, fondatore della Congregazione del Santissimo Redentore, alla quale egli appartenne, vivendo un’ordinaria e nello stesso tempo eccezionale dimensione missionaria, lunga e fedele.
Morì a Tropea (VV) il 3 dicembre 1849, giorno di San Francesco Saverio, Patrono delle missioni, circostanza che sembrò avvalorare il titolo acquisito sul campo di “Apostolo delle Calabrie”.
Primogenito di nove figli, trascorse un’infanzia serena, crescendo in un ambiente sano e religioso sotto la guida di papà Platone e della mamma Rosa Villani. Entrò nel seminario diocesano di Sant’Angelo dei Lombardi (AV) ma, visto il desiderio di donarsi radicalmente a Dio e di essere missionario, scelse in seguito i Missionari Redentoristi e, dopo aver superato serie difficoltà, legate all’occupazione napoleonica, completò il suo cammino vocazionale emettendo i voti religiosi nel 1808 e raggiungendo il sacerdozio il 30 marzo 1811.
♦ Eccetto i tre anni in cui fu Maestro dei novizi a Ciorani (SA), consumò la sua vita in Calabria, a quel tempo sinonimo di brigantaggio, illegalità e analfabetismo culturale e religioso. P. Di Netta trascorse 37 anni nella Casa di Tropea, da dove partiva per ripetuti viaggi apostolici in tutta la regione.
♦ A Tropea fu superiore e semplice membro di comunità; qui rese più bella la chiesa del Gesù che era appartenuta ai Gesuiti; qui nel 1840 innalzò una splendida cappella in onore del fondatore Sant’Alfonso in occasione della sua canonizzazione avvenuta nel 1839; qui passava intere giornate al confessionale, dirigendo spiritualmente nobili e poveri.
In tutta la Calabria compì prodigi di conversione e riconciliò acerrimi nemici.
Le sue spoglie, ancora oggetto di devozione da parte dei fedeli, riposano a Tropea nella chiesa del Gesù, nell’attesa che la sua santità sia riconosciuta e proclamata.
Un dispensatore della Misericordia al confessionale.
♦ Incalcolabile è stata l’opera del Venerabile attraverso il sacramento della riconciliazione. Le ore da lui spese al confessionale sono un monito ancora urgente per il nostro tempo, quando facilmente si cerca la soluzione alla guerra e all’odio nelle strategie sociali, negli accordi politici… Solo un cuore convertito dalla misericordia di Dio può costruire ponti duraturi di pace. Solo l’esperienza di chi si scopre perdonato da Dio può riversare sugli altri clemenza e compassione». La pace si decide nella coscienza: solo così può essere profonda e duratura superando il rischio di essere superficiale.
Un operatore di pace.
♦ “Al passaggio del P. Vito Michele Di Netta il peccato finiva, la bestemmia esulava, le più belle conversioni si verificavano, i costumi rifiorivano ed i popoli tutti brillavano della gioia della ricuperata grazia. Né si contentava egli di effetti fugaci e
poco duraturi, ma dovunque andava, lasciava tracce indelebili del suo zelo e del suo apostolato: riedificava Chiese, fondava pie Congregazioni, stabiliva l’esercizio dell’orazione mentale, ed in anime parecchie deponeva i germi di un’altissima pietà. Laonde fra noi il Servo di Dio, non viene appellato con altro nome che quello di Apostolo delle Calabrie”. (dalla “Lettera postulatoria” dei Tropeani scritta al Papa Pio X il 28 febbraio 1906).
♥ «Egli metteva la pace fra i dissidenti e non era inimicizia che non riconciliasse. Non lasciava mezzo intentato per convertire le donne di mala vita. «Il Venerabile P. Di Netta, nel 1842 a Tropea, nella Chiesa dei Liguorini dove accorrevano a confessarsi i fedeli e a consegnare armi, coltelli; pistole, ecc… chiamò un fabbro ferraio e fece tutto rompere. Si diceva per Tropea: “Vale più un Padre Di Netta che cento agenti di pubblica sicurezza” ».
Misericordia sopratutto con i poveri costretti dalla necessità.
♦ Il Venerabile Servo di Dio raccomandava che si perdonassero coloro che venivano sorpresi a rubare, perché erano indigenti e mossi dalla necessità.
♥ A San Giovanni di Zambrone, mentre era in missione, egli chiese pubblicamente al nobile Antonio Toraldo di perdonare i coloni che non erano stati corretti verso di lui: “Don Antonio, alza tu la mano e perdona a tutti”. E con ciò intendeva pregarlo che avesse rimesso a coloro che in qualunque modo lo avessero defraudato o avessero mancato col loro padrone».
♦ Soccorreva il prossimo nei suoi bisogni temporali, elargendo elemosine, e consigliandole anche agli altri. Nei mesi d’inverno voleva che a tutti i poveri si desse un pane che veniva dispensato alla portineria del convento un giorno alla settimana». – «Grande era il suo zelo nel richiamare e correggere i peccatori e i delinquenti e lo faceva con tanta prudenza da ottenere la loro emenda».
Uomo di riconciliazione: perdonare anche di fronte al sangue sparso.
♦ Il perdono è il necessario “sacrificio” per raggiungere la vera riconciliazione; il Venerabile lo richiedeva senza esitazione ed era più insistente quanto più l’offeso era una persona “vicina”, un suo penitente, come l’arciprete di Drapia Don Vincenzo Ruffa, che così testimonia:
♥ «Mi era stata attentata la vita [a colpi di pistola: gelosia per l’incarico di arciprete ricevuto a preferenza di altri concorrenti]. Il Servo di Dio venne a trovarmi, e mi disse: “Devi fare ciò che ti dico. Me lo prometti?” – “Si, padre, con tutto il cuore”. – Allora mi condusse alla casa dei miei nemici, me li fece abbracciare e baciare. Ed il Servo di Dio esclamò: “Ah quanto mi hai consolato!” ».
♥ Suo fratello Pietro ebbe sei figli: di questi uno gli fu ucciso quando era già sposato e con figli. Un testimone ricorda il perdono voluto dal Venerabile: «Pietro fratello del Venerabile gli scriveva che un suo figlio era stato ucciso da un certo Luigi Dell’Osso, e rammaricandosi voleva che la giustizia facesse il suo corso. Ma tanto non piacque al Venerabile che gli rispose: “No, perdonalo e benedicilo”. Una cosa molta difficile per il padre dell’ucciso, che tuttavia mandò a chiamare l’uccisore. Questi, inginocchiatosi e piangendo, chiedeva perdono e quegli a perdonarlo e benedirlo, come gli aveva raccomandato il Venerabile.