Attualità Fede e dintorni

Il telefono di Padre Mosè

Rubrica quotidiana a cura di P. Salvatore Brugnano

Storie belle… per vivere meglio

Il telefono di Padre Mosè.

Migranti: «Nel viaggio della disperazione il suo numero di telefono è l’ultima speranza». Quel numero ha cominciato a circolare tra i migranti dopo che, nel 2003, come interprete, Padre Mosè aveva visitato una prigione libica e lo aveva dato a un rifugiato eritreo che poi lo aveva inciso sul muro accompagnandolo con una scritta: «In caso di necessità, chiamate questo numero».
Dice il sacerdote: «Negli ultimi cinque, sei anni credo di avere contribuito a salvare almeno 160.000 persone. Il mio compito è essere voce di chi non ha voce».

♦ “Padre Mosè” è Mussie Zerai, sacerdote scalabriniano, eritreo di Asmara, a sua volta profugo, arrivato in Italia nel 1992 quando aveva 17 anni (è natp nel 1975), fondatore dell’associazione umanitaria Habeshia, candidato al Nobel per la pace nel 2015, inserito dal settimanale Time tra le cento personalità più influenti del 2016 nella categoria «pionieri», che adesso ha pubblicato la sua autobiografia, scritta con il giornalista della Rai, Giuseppe Carrisi, (Firenze, Giunti, 2017, pagine 224, euro 16).
♦ Un libro che s’intreccia a filo doppio con le vicende e con il destino dei migranti. «È nato come una testimonianza per dire concretamente che cosa si può fare e come si può fare partendo dalla mia esperienza personale. Perché ognuno di noi deve essere promotore di solidarietà e di giustizia. A chi si sente schiacciato dall’enorme problema delle migrazioni e crede di non poter fare nulla, io dico: comincia ad aiutare chi ti sta accanto».

Anche Mussie Zerai, prima di aiutare gli altri fino a guadagnarsi il soprannome di “angelo dei migranti”, è stato aiutato.
«Il mio primo benefattore l’ho incontrato a 16 anni, era un abate dei cistercensi, l’abate di Casamari in visita in Eritrea e in Etiopia. L’ho conosciuto sull’aereo che da Asmara mi portava ad Addis Abeba dove andavo per ottenere i documenti per entrare in Italia. Gli ho fatto un po’ da interprete e gli ho detto che, se tutto fosse andato bene, sarei arrivato dopo qualche tempo a Roma. Lui mi offrì ospitalità nella casa che i cistercensi hanno in piazza di Trevi. Arrivai di notte, era tutto buio e non mi resi conto di dov’ero. La mattina mi svegliai con il brusio dell’acqua e della gente. Chiesi a un monaco se lì ci fossero delle api. Mi guardò stupito, mi fece salire sul tetto e mi mostrò quella meraviglia.
Il mio secondo benefattore sono stati due gemelli, due ragazzi che facevano volontariato e che oggi sono due affermati pianisti. Mi chiesero da quanto tempo non parlavo con i miei parenti. Mi pagarono la colazione e mi regalarono una scheda telefonica. Questo per me è stato importantissimo, ma tutti possono farlo, tutti possono comprare una scheda telefonica da 5 euro».

♦ Una voce per chi non ha voce – Adesso “padre Mosè” ha un telefonino che è sempre acceso. Quel numero ha cominciato a circolare tra i migranti dopo che, nel 2003, come interprete aveva visitato una prigione libica e lo aveva dato a un rifugiato eritreo che poi lo aveva inciso sul muro accompagnandolo con una scritta: «In caso di necessità, chiamate questo numero».
Da allora Mussie Zerai riceve continuamente telefonate. «Negli ultimi cinque, sei anni credo di avere contribuito a salvare almeno 160.000 persone. Il mio compito è essere voce di chi non ha voce. Questo mi dà la forza di continuare. I migranti subiscono le violenze più atroci. Come quelle dei trafficanti che spesso si trasformano in schiavisti che sequestrano chi tenta di fuggire per chiedere un riscatto alle famiglie e avere così ancora più soldi, quando non arrivano a uccidere per vendere gli organi, come è successo in Egitto, nel Sinai, e come succede ancora in altri luoghi dove si sono spostate le rotte delle migrazioni».
Nel sottotitolo del libro di padre Zerai è scritto: «Nel viaggio della disperazione il suo numero di telefono è l’ultima speranza».
(fonte: cf Osservatore Romano, 21 gennaio 2017).

«Nel viaggio della disperazione il suo numero di telefono è l’ultima speranza». Quel numero ha cominciato a circolare tra i migranti dopo che, nel 2003, come interprete, Padre Mosè aveva visitato una prigione libica e lo aveva dato a un rifugiato eritreo che poi lo aveva inciso sul muro accompagnandolo con una scritta: «In caso di necessità, chiamate questo numero».

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