Fede e dintorni

Il martire sta sempre con i deboli

Rubrica quotidiana a cura di P. Salvatore Brugnano

Storie belle… per vivere meglio

Il martire sta sempre con i deboli.

Non si spegne ancora l’eco della visita fatta nei giorni scorsi da Papa Francesco ai luoghi del martire della mafia, il Beato don Pino Puglisi, di cui ormai si aspetta di conoscere la data della canonizzazione.
– Una visita intensa che ha messo in risalto la speciale testimonianza di don Puglisi “stare sempre con i deboli”. E Papa Francesco l’ha evidenziata con parole forti, che hanno ricordate quelle di Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi in Agrigento.
– Martire significa testimone e don Pino Puglisi ha testimoniato in pienezza l’amore e la paterna attenzione sopratutto verso i giovani, che sono deboli sia per la loro età e sia per la condizione di essere oggetti di desiderio della

Il Beato don Pino Puglisi, ucciso dalla mafia 25 anni fa e ricordato lo scorso 15 settenbre a Palermo da una folla immensa insieme al papa Francesco, è certamente un martire. Ma che cosa testimonia una morte come la sua, fra le altre?
Ci sono le storie di lotte e di eroismi sconfitti su cui piangere e far monumenti; qui la storia di una vita donata che come un seme inghiottito dalla terra comincia in segreto a dar frutto d’altra natura. Il frutto dei santi.

♦ “Nei molti lutti che la mafia ci ha inflitto, questa lebbra esecrata che non riusciamo a strapparci di dosso dopo tante leggi, arresti, pentiti, processi, carceri e tante parole abbiamo visto vanificate le episodiche vittorie. La piovra, decapitata, rinasce. Dov’è la sua radice, il suo germe?”.

A rinforzare la lotta abbiamo tentato di aggiungere la sfida culturale, nelle associazioni, nelle comunità sensibili, nelle scuole, contando sull’intelligenza per intendere la giustizia, sul cuore per intendere la scelta fra il bene e il male. Ancorati a un dogma laico di solidarietà civile che è il sogno, o la promessa, o comunque l’esigenza irrinunciabile della vita che si vive insieme.
  Ma c’è qualcosa di più, sul piano della fede, che fa la differenza. Ce lo ha ricordato papa Francesco, quando ha detto che «non si può credere in Dio ed essere mafiosi. Chi è mafioso non vive da cristiano, perché bestemmia con la vita il nome di Dio-amore».
  Sì, avevamo sentito talvolta che ci sono mafiosi “religiosi”, che hanno in casa i lori altarini di sacre statue, venerano immagini che richiamano il cielo. Si dicono credenti, forse persino vi intrecciano qualche aspetto dell’onore. Che volete che contino, di fronte a una potenza devota, quelle nullità che sono le formiche umane, se intralciano i progetti?
  Ora, nelle parole del Papa, la folgore di 25 anni fa (ricordate Giovanni Paolo II ad Agrigento?) si rinnova e dilata dentro un cono di luce persistente: chiede la conversione attraverso un cammino rovesciato, che inizia dal basso, dall’uomo, dalla dignità dell’uomo, dal rispetto dell’uomo, dall’amore per l’uomo.
 Non puoi amare Dio che non vedi, se non ami il prossimo che vedi. E già scritto nel libro sacro. Oggi vien ripetuto che non si può credere in Dio e odiare il fratello, e dunque chi dice “credo”, e odia, è un bugiardo. E che la “litania mafiosa” è il contrario della fede. E che il potere si esprime nel servizio; e che il bivio della vita è essenzialmente fra l’egoismo e il dono di sé.

♦  Contro la mafia abbiamo messo in campo di tutto, diritto, sociologia, storia, appelli e galere.
Ma ora sono le parole del Vangelo, quelle che vanno alla radice del problema: sul piano umano, sociale e anche politico. Sappiamo infatti, ormai, che la mafia non è semplicemente l’elenco di cosche, ’ndrine, cupole e clan, esiste una “mafiosità” che può diventare costume e insinuarsi nel malaffare acefalo e anonimo, connotando i delitti che compie con l’intimidazione e l’omertà. Avidità di denaro e desiderio di dominio, sprezzo degli altri. Dovunque accada.

 Se qualcosa di questo potenziale di egoismo e di latente disprezzo (verso i diversi, gli estranei, gli avversari, i “nemici”) contagia il pensiero dei “benpensanti”, e si finge buonsenso, e si ficca nel cuore, nessuno sogni che nascano fiori in luogo di ortiche, in un campo così inquinato.

 Se il vaccino antimafioso è la cultura del rispetto, della solidarietà, del servizio, e persino dell’amore e del dono di sé, allora c’è bisogno di stare con i deboli, come don Puglisi. Sempre. E cambiare qualcosa anche nella vita politica, cui partecipiamo; nel linguaggio, nel tratto, nel contenuto.
  «Sentire e servire il popolo, senza gridare, accusare e suscitare contese», ha detto Papa Francesco. Sembra un motto di coraggio, per la mitezza che incrocia i molti populismi gridati e aizzanti ora in voga. Ma è l’unico populismo possibile, ispirato al Vangelo che ci fa «popolo di Dio», nella fede; che oggi raccoglie la testimonianza di un prete che per il suo popolo, i suoi ragazzi, la vita l’ha data intera.

(fonte: cf. Avvenire.it sabato 15 settembre 2018, Giuseppe Anzani).

La intensa visita di Papa Francesco ai luoghi del martire Beato don Pino Puglisi ha messo in risalto la speciale testimonianza di don Puglisi “stare sempre con i deboli”. Il Papa l’ha evidenziata con parole forti, che hanno ricordate quelle di Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi in Agrigento 25 anni fa. Martire significa testimone e don Pino Puglisi ha testimoniato in pienezza l’amore e la paterna attenzione sopratutto verso i giovani, che sono ancora deboli e purtroppo oggetti di desiderio della malavita e del regime di consumo sfrenato della nostra civiltà.

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