Insediamento ed espansione dei Redentoristi in Calabria nel 1790
Studio di Giovanni Vicidomini, CSs.R., in Spicilegium Historicum, 54 (2006) pp. 259-298
Elaborazione elettronica: P. Salvatore Brugnano C.Ss.R marzo 2009
Giovanni Vicidomini, redentorista plurilaureato, docente nelle scuole statali archivista della Provincia Meridionale dei Redentoristi a PAGANI (SA).
- Il terremoto calabro-messinese del 1783
- Interventi del Re
- Sospensione e soppressione dei conventi
- Cassa Sacra e Suprema Giunta di Corrispondenza
- Memoriale anonimo e risposte dei vescovi calabresi
- La Suprema Giunta presenta un Piano di intervento
- Il Re approva le Istruzioni
- I missionari arrivano a Tropea
- Catanzaro
- Stilo
- La quarta casa
- Per la Calabria il P. Corrado chiede il noviziato, lo studentato e un Vicario
- Le tre comunità nella tempesta
- Note
- Schede sintetiche dei protagonisti dell’insediamento in Calabria nel 1790 (di Salvatore Brugnano)
All’inizio del 1790 la Congregazione si trovava ancora sotto il peso dei contrasti che nel decennio precedente, causati dal Regolamento[1], avevano lacerato l’unione e gli animi dei congregati. Divisa in due rami, essa contava 150 religiosi distribuiti in quindici comunità, otto delle quali si trovavano nello Stato Pontificio[2], quattro nel Regno di Napoli[3], due in Sicilia[4], dove peraltro vantavano una certa autonomia, e una a Varsavia in Polonia[5]. Era stato per indubbio merito di p. Francesco Antonio De Paola se nell’Italia centrale si erano moltiplicate rapidamente le fondazioni, dopo quella di Scifelli, voluta da s. Alfonso nel 1773, come era da ascriversi all’iniziativa di p. Pietro Paolo Blasucci la fondazione della seconda casa in Sicilia, nel 1787 a Sciacca. Solo i confratelli del Regno di Napoli, inizialmente impegnati nel consolidamento delle quattro case esistenti, e successivamente piombati nel ciclone del Regolamento, per oltre quarant’anni non avevano fondato altre case.
All’improvviso però, nel mese di aprile dello stesso anno 1790, il p. Andrea Villani, Rettore maggiore delle case del Regno, accettando la proposta del Re di Napoli, decise di inviare in Calabria un consistente numero di missionari, di gran lunga superiore alle disponibilità, con il compito di fondarvi quattro nuove case.
Anche se i padri riuscirono a fondarne solo tre, l’espansione in Calabria è stata sempre considerata un evento marginale, legato più alla storia del territorio che a quella dell’Istituto, scoraggiando di conseguenza studi e ricerche per comprendere i motivi che spinsero i missionari del Regno di Napoli ad espandersi nell’ultimo lembo dell’Italia meridionale. La modesta quantità di documenti che si conservano negli archivi ecclesiastici[6] ha favorito tale convinzione. Non si resta sorpresi, quindi, se i pochi storici che si sono interessati dell’argomento hanno ritenuto le fondazioni calabresi una richiesta e un dono del Re[7], oppure un espediente del governo napoletano per migliorare la situazione religiosa della Calabria[8], o anche segno del nuovo clima che dominava a corte agli inizi dell’ultimo decennio del 1700[9].
Ipotesi suggestive, ma unilaterali, che appaiono fondate più sulle intenzioni del Re che su quelle della Congregazione, giacché esprimono il clima politico-religioso in cui è maturata la decisione della fondazione, senza prendere in considerazione le aspettative di p. Villani e del suo governo generale. Tali ipotesi non forniscono, ad esempio, le risposte ad alcuni interrogativi di grande rilievo, come quello della coincidenza della fondazione con l’abolizione del Regolamento[10], evento che ha dato inizio ad un nuovo corso alla storia della Congregazione, o quello dei motivi che indussero il Rettore maggiore ad accettare le fondazioni pur non disponendo del numero di missionari richiesti[11], o quello di averli inviati in Calabria senza aver prima concordato le fondazioni con i rispettivi vescovi, e senza avere la sicurezza di trovarvi una casa religiosa.
Per tentare di dare una risposta a questi ed altri interrogativi, si sono intensificate le ricerche, che hanno permesso di scoprire, negli Archivi di Stato di Catanzaro[12] e di Napoli[13], una grande quantità di atti inediti. Integrati con i documenti già noti, come tasselli di un mosaico, essi consentono di ricostruire un momento cruciale della nostra storia, in cui l’espansione della Congregazione in Calabria risulta strettamente connessa con l’abolizione del Regolamento.
Alla luce di questi documenti, oggi possiamo ritenere che le fondazioni calabresi del 1790 non sono da considerare un evento riguardante il territorio né un progetto unilaterale imposto dal Re, ma costituiscono l’ultimo tentativo messo in atto dal Rettore maggiore che, cogliendo un’occasione favorevole, abilmente si inserì in un Piano di interventi statali per ottenere l’abolizione del Regolamento e la conseguente approvazione della Regola di Benedetto XIV.
1. Il terremoto calabro-messinese del 1783
Per individuare i motivi dell’espansione della Congregazione in Calabria nel 1790 occorre fare un passo indietro e partire dal 1783, quando un violento terremoto[14] sconvolse tutta la parte meridionale della regione e anche il territorio siciliano che si affaccia sullo stretto di Messina, apportando profonde modifiche territoriali e sociali. Non era la prima volta che la Calabria subiva gli effetti disastrosi di violenti movimenti tellurici. Numerosi terremoti, specialmente nel secolo precedente[15], si erano succeduti causando frequenti sconvolgimenti territoriali con distruzione e morte. Tuttavia sulle ceneri di case distrutte e vite umane spezzate, i calabresi avevano sempre ritrovato le energie per far risorgere paesi e città con un rinnovato dinamismo. Ma gli effetti di quel terremoto furono particolarmente funesti: per i paesi, alcuni dei quali annientati e non più risorti mentre altri cambiarono sito; per il territorio, che a causa dei colli franati e fiumi deviati cambiò il proprio assetto idrografico; per la popolazione che nel giro di qualche mese fu decimata[16].
Alla prima scossa, avvenuta il 5 febbraio, con epicentro a Terranova[17] con un raggio di azione che si estese, a sud, fino a Reggio e Messina e, a nord, fino al confine della provincia della Calabria Citeriore[18], seguirono altre scosse che, allargando progressivamente il perimetro del loro influsso, aggravarono i danni già apportati.
Era solo l’inizio di un lungo calvario, poiché nel corso del 1783 si registrarono frequenti scosse di assestamento, che per tre anni continuarono ad accanirsi contro la martoriata Calabria, ora con maggiore ora con minore violenza. Così, nel giro di pochi anni quasi la metà dei centri della Calabria Ulteriore scomparve e i superstiti, in baracche costruite con materiali occasionali, alla periferia delle città o nelle campagne circostanti, furono costretti a vivere, per oltre un decennio, in compagnia della paura, della disperazione, del freddo e della fame.
2. Interventi del Re
La notizia del terremoto giunse a Napoli dopo nove giorni, domenica 14 febbraio, quando l’equipaggio della fregata “Santa Dorotea”, che era salpata da Messina il 10 dello stesso mese, giunse nel porto della capitale con ancora negli occhi i terrificanti spettacoli della distruzione. L’indomani il re Ferdinando IV convocò il consiglio dei ministri per pianificare gli interventi[19], e nominò suo vicario generale per la Calabria il tenente generale Francesco Pignatelli con l’ordine di partire immediatamente, portando con sé viveri, medicinali, militari e personale tecnico.
Il Pignatelli partì subito e giunto a Monteleone (oggi Vibo Valentia) vi allestì il suo quartiere generale, da dove coordinava gli interventi e i lavori di progettazione e di esecuzione. Di tutto ne inviava dettagliate relazioni al marchese della Sambuca e alla Real Camera[20] che, a loro volta, provvedevano a trasformare le sue richieste in interventi legislativi. Fra le altre disposizioni, il governo napoletano ordinò di fare un censimento di tutti i conventi, parrocchie e Luoghi pii, allo scopo di conoscere lo stato reale delle strutture e delle persone presenti nella Provincia, comprese le rispettive rendite[21].
Il compito del Vicario non era certamente facile. Alla difficoltà di controllare centinaia di cantieri disseminati in una vasta area geografica, spesso difficilmente accessibili e facili prede di abili profittatori, si univano difficoltà economiche: occorreva un’ingente quantità di denaro per risanare l’ambiente, ricostruire interi paesi, chiese parrocchiali e strutture pubbliche, incentivare la ripresa del lavoro, procurare i beni di prima necessità per numerose comunità. Per far fronte a queste esigenze il governo adottò due provvedimenti, da molti considerati sacrileghi, che rispondevano tuttavia alle mai sopite aspirazioni del Regalismo europeo e del Giurisdizionalismo napoletano, tendenti al predominio del trono sull’altare.
Il primo fu il sequestro degli argenti, tranne i vasi sacri, appartenenti a tutte le parrocchie, chiese, conventi, conventini e Luoghi pii della provincia di Calabria Ultra, compresi quelli delle diocesi vacanti o che venivano rinvenuti durante la rimozione delle macerie[22]. Lo scopo era di convertire in moneta gli oggetti di argento recuperati, e utilizzare i fondi per far fronte alle necessità della popolazione.
Il secondo provvedimento fu molto più drastico spingendosi fino ad ordinare l’abolizione o la sospensione[23] di tutti i conventi, i monasteri e i Luoghi pii della Calabria Ulteriore, con la conseguente istituzione di due enti, uno dei quali a Catanzaro, la Cassa Sacra, e l’altro a Napoli, la Suprema Giunta di Corrispondenza, che ebbero nella loro vita breve, dodici anni, il ruolo fondamentale di unici interlocutori nella fondazione delle case calabresi.
3. Sospensione e soppressione dei conventi
La proposta di istituire un ente amministrativo con il compito di recuperare tutti i beni degli ordini religiosi e dei Luoghi pii sinistrati, utilizzandone le rendite per finanziare la ricostruzione, era partita dal Vicario generale. Per non complicare i già tesi rapporti fra il governo di Napoli e la Curia romana, la prudenza suggeriva di rivolgersi al Papa. A tale scopo, lo stesso Vicario generale, fidando anche nell’intervento di un suo zio, mons. Giuseppe Pignatelli, si recò a Roma: espose al Papa che per far fronte ai disastri del terremoto sarebbe stato opportuno adottare tre mezzi, drastici ma efficaci. I primi due riguardavano i religiosi, per i quali si chiedeva che non avessero alcuna esenzione fiscale e che nei conventi della Calabria Ulteriore rimanessero solo quelli che dal Re venivano ritenuti necessari per l’istruzione e il culto; il terzo mezzo era una richiesta più ambiziosa: si chiedeva che i conventi e i loro beni fossero utilizzati a vantaggio della popolazione.
Il 3 aprile 1784, Pignatelli comunicò al marchese della Sambuca che il Papa avrebbe approvato le tre proposte dopo averne ricevuto formale richiesta da parte del Re[24].
Il marchese si affrettò ad esporre la cosa al sovrano e subito dopo, da Caserta, il 5 aprile, rispose al Vicario manifestandogli il vivo compiacimento del Re che lo autorizzava a presentare la richiesta ufficiale[25].
Non sappiamo se il Pignatelli riuscì ad ottenere il permesso dal Papa. Sembra di no[26]. Ottenne solo un Breve, il 28 maggio, con l’indulto di far secolarizzare i religiosi che ne facevano richiesta[27].
Stranamente, il giorno dopo, 29 maggio 1784, il Vicario emanò l’ordine di procedere alle operazioni di soppressione dei conventi con meno di dodici religiosi, e di sospensione degli altri, con conseguente confisca dei beni e delle rendite. In esso si prescriveva l’abolizione dei privilegi e si lasciava la libertà ai religiosi di trasferirsi in altre comunità o di secolarizzarsi, previa costituzione del sacro patrimonio; si annunciava, inoltre, l’istituzione di un nuovo ente amministrativo con il compito di subentrare agli enti ecclesiastici nella gestione delle loro proprietà.
4. Cassa Sacra e Suprema Giunta di Corrispondenza
Con decreto del 4 giugno 1784 fu istituita la Cassa Sacra[28], con sede a Catanzaro e amministrata da una Giunta presieduta da Vincenzo Pignatelli, fratello del Vicario e già preside di Catanzaro[29].
Il primo provvedimento emanato dalla Giunta fu l’esecuzione dei 18 articoli delle “Istruzioni per eseguirsi l’abolizione di tutti i conventi e conventini dei regolari”, predisposte dal Vicario e inviate ai governatori locali, con l’obbligo di procedere alla pubblicazione nello stesso giorno e medesima ora, per la contemporanea applicazione in tutti i luoghi della Provincia[30].
Successivamente, altri provvedimenti integrarono le decisioni di espropriazione.
Con dispaccio del 27 novembre 1784 fu istituito presso il governo di Napoli un organo di controllo, la Suprema Giunta di Corrispondenza, con il compito di definire i ricorsi prodotti contro la Cassa Sacra, rivedere i conti e il piano generale delle rendite amministrate, progettare i piani di ricostruzione e predisporre gli interventi di opere pubbliche da attuarsi.
Ne facevano parte il Vicario Pignatelli in qualità di presidente, i tre giudici della Gran Corte di Vicaria, un avvocato fiscale e un segretario. Nel 1788 la presidenza fu affidata a Ferdinando Corradini[31], che, tranne per gli anni 1792-1794 quando subentrò il marchese Giuseppe Palmieri, conservò la carica fino alla soppressione dell’Ente.
5. Memoriale anonimo e risposte dei vescovi calabresi
All’inizio di maggio del 1788 giunse al Re un breve memoriale anonimo in cui si chiedeva il ritorno di tre PP. Domenicani nel santuario di Soriano, da dove, in seguito agli ordini emanati dal vicario Pignatelli e dalla Cassa Sacra, erano stati allontanati:
«Dal santuario di Soriano sono stati richiamati il p. Tranfo e il p. Frontera[32] spediti da S. M. per lo culto di Dio sotto finta che la Cassa Sacra non ha danari per uso della religione. Uno dei penitenzieri, p. Savoia[33], è da un anno che in misera preghiera supplica di essere rimesso nello stesso santuario, anco a richiesta dei popoli, e con equivoco ridevole è stato assegnato in questo s. Domenico di Soriano e si fa credere che V. M. non voglia più Domenicani in quel santuario che alla morte di quei due invalidi. Padre Caristo ottuagenario, finirà come lampa a cui manca l’olio. Ora, nostro Padre e Padrone, deh abbiate pietà della Calabre ruine, mentre a quei popoli manca l’uso della religione»[34].
La richiesta risuonò nei ministeri di Napoli come una severa denuncia di uno stato di abbandono spirituale in cui era piombata la provincia di Calabria Ulteriore, privata del prezioso apostolato svolto dai religiosi che dal famoso santuario si irradiavano in tutta la Calabria. Le poche righe dovettero impressionare molto il Supremo Consiglio delle Finanze, dato che il presidente e i consiglieri diedero corso a indagini conoscitive. Essi erano rimasti scossi soprattutto dall’accorato appello con cui l’anonimo concludeva il memoriale: «Ora, nostro Padre e Padrone, deh abbiate pietà delle Calabre ruine, mentre a quei popoli manca l’uso della religione», tanto che il presidente Ferdinando Corradini, con dispaccio del 17 dello stesso mese, trasmise il memoriale, benché fosse anonimo, alla Suprema Giunta di Corrispondenza, incaricandola di effettuare indagini e presentare una relazione sullo stato della religione nella Calabria Ulteriore[35].
Si mise così in moto il normale iter burocratico: la richiesta del ministro, inoltrata alla Giunta di Catanzaro, fu da questa inviata, con lettera circolare, a tutti vescovi della Provincia e al Vicario capitolare di Mileto, nella cui diocesi si trovava il santuario di Soriano. In pratica, la Giunta chiedeva ai vescovi una relazione dettagliata sulle condizioni spirituali delle rispettive diocesi e sui mezzi più opportuni per risvegliare la religione.
Sei vescovi e due vicari capitolari[36] risposero sollecitamente inviando le relazioni richieste e proponendo i mezzi che ritenevano più idonei per la ripresa della pratica religiosa. Mons. Salvatore Spinelli, che dopo la partenza del Pignatelli era stato nominato presidente della Giunta, il 20 settembre 1788, senza attendere le altre relazioni, le inoltrò a Napoli allegandovi anche il suo parere.
Le otto relazioni, prendendo le mosse dalle condizioni socio-religiose delle proprie diocesi, si trovarono concordi su un giudizio negativo circa lo stato della religione, individuandone le cause nel malcontento dei parroci, nella modesta ricompensa per gli Economi, costretti a svolgere altre attività, nella carenza di chiese efficienti e soprattutto nella mancanza di religiosi e di predicatori[37].
Su quest’ultima causa si soffermarono particolarmente il vicario capitolare di Mileto, canonico Pasquale Melecrinis, e il vescovo di Squillace, mons. Nicola Notariis, i quali ritenendo che l’affievolimento della religione fosse la conseguenza della carenza di missionari, giunsero a proporre il ripristino dei conventi con 12 religiosi, a partire dal rinomato santuario di Soriano.
Il vescovo di Catanzaro, mons. Salvatore Spinelli, condividendo tali proposte, che in qualche modo si presentavano come un argine contro la decadenza e l’inoperosità del clero, giunse ad auspicare di riparare i due conventi dei Cappuccini e degli Osservanti e farli rifiorire come centri di spiritualità per i parroci, gli ordinandi, e anche per i laici. E concludeva la sua relazione con una proposta alternativa:
«E questo non volendosi fare, almeno formare in questa diocesi una unione di preti della missione e dar loro un congruo sostentamento perché potessero sempre girare i luoghi della diocesi e spargere in esse le vere ed inconcusse massime della nostra s. religione e far parte ai poveri campagnoli le convenienti istruzioni»[38].
Fu proprio questa la proposta che a Napoli suscitò maggiore interesse.
6. La Suprema Giunta presenta un Piano di intervento
La Suprema Giunta di Corrispondenza, esaminate le otto relazioni inviate da mons. Spinelli, si rese subito conto che l’accorato appello del memoriale anonimo non era frutto di una stravagante fantasia ma la denunzia di un reale stato di abbandono spirituale della provincia. Per rimuoverne le cause occorreva prendere urgenti decisioni e adottare mezzi straordinari. Fu così redatto un “Piano di intervento” in 13 articoli, che accogliendo le istanze proposte dai vescovi, trasformò in interventi legislativi i mezzi da loro auspicati, in merito al miglioramento delle congrue, alla maggiore efficienza della Cassa Sacra, delle curie diocesane e dei comuni, alla vita parrocchiale, all’assistenza spirituale e sociale, a alla ripresa delle predicazioni e missioni[39].
In realtà il Piano, partendo dalla ricostruzione delle strutture e dal miglioramento economico di quanti erano dediti alla cura delle anime, mirava soprattutto alla formazione spirituale dei fedeli con l’insostituibile contributo dei vescovi, parroci ed economi, che dovevano essere impegnati a tempo pieno per la formazione delle coscienze e l’istruzione religiosa. Per facilitare questo non facile obiettivo, venne riservata particolare importanza alla predicazione e specialmente alle missioni.
Nel presentare il Piano al Re, il 16 febbraio 1789, Corradini, esposti i motivi che lo avevano indotto alle ricerche sullo stato della religione in Calabria e a condividere alcuni interventi di ordine economico e spirituale richiesti dai vescovi, così concluse la sua relazione:
«Se non si moltiplicano i ministri dell’altare, non si riedificano le chiese dove unir si possono i fedeli, non si da modo ai ministri dell’altare di sostentarsi coll’altare medesimo per cui non siano obbligati a trascurare ed abbandonare il loro sacro ministero e possano nel tempo stesso essere tenuti in disciplina dai loro superiori e non si apre la strada onde in quella Provincia si oda la parola di Dio di nuovo e si abbiano daccapo le necessarie istruzioni appartenenti ai ministri e i doveri della medesima s. religione, non si potranno mai gli accennati disordini vedere cessati»[40].
Per risollevare le condizioni della religione in Calabria occorreva quindi combattere su tre fronti: ricostruire le chiese, disporre di parroci ed economi dediti unicamente all’assistenza spirituale, istituire comunità di missionari con lo scopo di diffondere la parola di Dio e istruire. Quest’ultima condizione fu dettagliatamente esposta nell’articolo IX del Piano d’intervento[41], che costituiva un’assoluta novità rispetto agli altri articoli, i quali in fondo apportavano solo delle modifiche a prassi già consolidate nel tempo, pur migliorandole.
È proprio questo articolo che ci interessa per la comprensione della nostra storia, giacché in esso si prevedeva la fondazione di quattro case di sacerdoti missionari, e precisamente a Tropea, Stilo, Crotone e Catanzaro, con il compito di percorrere i paesi della provincia di Calabria Ulteriore con le missioni, predicazioni ed istruzioni, secondo lo stile delle Congregazioni dei Pii Operai e del SS. Redentore. A tale scopo il Re metteva a disposizione le strutture e le chiese dei monasteri soppressi, e assicurava uno stipendio di 1500 ducati.ad ogni comunità, che doveva essere formata di 12 sacerdoti, oltre i Fratelli laici necessari.
Tale numero da una parte consentiva ai missionari di alternarsi per le varie predicazioni, e dall’altra permetteva a quelli che restavano in casa di svolgere una continua missione con catechismi, istruzioni, confessioni e celebrazioni. Ogni comunità infatti, doveva essere un centro di spiritualità, dove tenere corsi di esercizi spirituali agli ordinandi, ai sacerdoti e a quanti venivano indicati dai vescovi, e una volta all’anno anche ai secolari che ne facevano richiesta.
Il Piano di intervento, approvato dal Re[42], fu inviato il 4 aprile 1789 alla Giunta di Catanzaro con l’incarico di chiedere il parere anche ai vescovi della Provincia per poter successivamente elaborare le Istruzioni da presentare al Re per l’approvazione. Quanto l’esecuzione del Piano fosse a cuore a Corradini, appare da un suo dispaccio di sollecito con la data del 13 giugno successivo.
Le quindici risposte dei vescovi o vicari capitolari[43], unitamente alle relazioni del Fiscale e della Giunta di Catanzaro, giunsero a Napoli nel mese di settembre, suscitando un grande entusiasmo per l’unanime apprezzamento degli interventi previsti dal Piano, specialmente per l’Art. IX relativo alla fondazione delle quattro case di missionari, che a parere di qualche vescovo erano insufficienti per tutta la Provincia. Particolarmente entusiaste ovviamente furono le risposte dei vescovi delle quattro città scelte dal Re per le fondazioni, anche se, con molto realismo, tutti riconobbero di non avere strutture e conventi idonei per l’immediato decollo della lodevole iniziativa.
7. Il Re approva le “Istruzioni”
Agli inizi di ottobre 1789 la Suprema Giunta di Corrispondenza, mentre esaminava le relazioni dei vescovi e andava elaborando le Istruzioni per l’applicazione degli articoli IX e XI del Piano, prese i primi contatti con il Rettore maggiore p. Villani e con il Superiore generale dei Pii Operai, chiedendo a ciascuno la disponibilità per due fondazioni nelle quattro città indicate dal Re. Ciò viene confermato da una lettera che p. Giambattista Di Costanzo inviò da Napoli il 23 dello stesso mese a P. Tannoia, a cui comunicava fra l’altro: «per le fondazioni della Calabria ci sono delle buone apparenze. Prego Dio che le porti a compimento per il bene della Congregazione»[44].
Il p. Di Costanzo, consultore generale, aveva avuto carta bianca da p. Villani per definire con il Cappellano maggiore e il ministero degli affari ecclesiastici tutti i particolari della prima parte delle Istruzioni, riguardanti l’applicazione dell’articolo IX. Avendo il superiore generale dei Pii Operai comunicato l’indisponibilità della sua Congregazione per tale progetto, lo stesso p. Di Costanzo si spinse, in nome di p. Villani, ad accettare le quattro fondazioni. Le Istruzioni divennero così una sorta di contratto bilaterale fra il Re e l’Istituto: vi si precisavano il numero delle case e dei Padri[45], gli impegni delle singole comunità[46], le attività di missioni ed esercizi spirituali e, da parte del Re, la garanzia di fornire i missionari di chiese, di case religiose efficienti ed arredate, di libri, e di uno stipendio annuale.
Il 22 febbraio 1790 la Suprema Giunta presentò le Istruzioni al Re e un mese dopo, il 22 marzo, esse furono approvate ma, stranamente, non immediatamente pubblicate.
Intanto a Napoli si stava esaminando il fascicolo, inviato dal viceré, in merito al ricorso presentato da p. Villani per imporre il Regolamento alle case della Sicilia. Le due pratiche si fusero e diedero luogo a tre importanti dispacci del 17 aprile 1790, con i quali il Re abolì il Regolamento per le case della Sicilia, pubblicò le Istruzioni e comunicò alla Giunta di Catanzaro il prossimo arrivo dei missionari. Dispacci di notevole importanza, che saranno meglio analizzati al termine del capitolo. Essi furono accettati con gioia dal vecchio Rettore maggiore, il quale si affrettò a ringraziare il Re e ad organizzare la partenza dei missionari, pur senza preventivi accordi con i vescovi e senza la sicurezza di una casa religiosa. Dopo un mese tutto era pronto per la partenza.
8. I missionari arrivano a Tropea
Il 18 maggio 1790 partirono da Pagani 14 sacerdoti, 3 studenti, 4 Fratelli laici e 2 oblati[47]. Erano, in tutto, 23. Giunti a Castellammare di Stabia, con una piccola imbarcazione raggiunsero Sorrento, dove li attendeva una “Polacca”[48], che il Rettore maggiore p. Villani aveva noleggiato per il viaggio a Tropea. Dopo due giorni, il p. Villani, scrisse al vescovo di Catanzaro per presentagli i missionari e comunicargli che si era accelerata la partenza «per essersi trovata una Polacca in atto di portarsi da Sorrento in Tropea, senza che il padrone di quella avesse voluto aspettare neppure un giorno solo»[49]. Era ovvio che i motivi per affrettare la partenza erano altri, ma non era prudente affidarli alla carta.
Il 21 maggio i missionari giunsero a Tropea, ma non trovarono né il vescovo, mons. Giovanni Vincenzo Monforte, in visita per la diocesi, né qualcuno che fosse al corrente del loro arrivo. Per togliere tutti dall’imbarazzo, il p. Bartolomeo Corrado inviò subito due corrieri, uno al vescovo di Tropea e l’altro al vescovo di Catanzaro ai quali comunicò:
«Per indispensabile necessità abbiamo dovuto partire da Nocera martedì, prima che venissero al nostro Superiore gli ordini dell’E. V. R.ma ed ancora innanzi di pervenire colà quattro dei medesimi compagni che dovevano imbarcarsi con noi perché in tutta la costiera di Amalfi, in Castellammare, in Napoli e nel Piano di Sorrento non si trovavano altri Legni da trasportarci, eccetto che la Polacca, che ci ha in questa mattina sbarcati qui»[50].
Arrivati in città, i Padri scoprirono che oltre al vescovo, mancava anche la casa. Il Vicario episcopale, per far fronte all’emergenza, ospitò temporaneamente i Padri nei locali dell’episcopio, che era disabitato, e privo di mobili[51] perché dissestato dal sisma del 1783.
In realtà gli ordini da Napoli erano stati inoltrati all’Ispettore Claudio Pedicini, che si trovava a Monteleone (oggi Vibo Valentia) e che dopo qualche giorno arrivò a Tropea. Non trovandovi alcun convento[52] in grado di accogliere la numerosa comunità, fu costretto a prendere in fitto un appartamento[53] che arredò di letti e mobili indispensabili. Per l’attività missionaria affidò loro la chiesa dei Gesuiti, non molto distante dall’abitazione, e cercò di provvederla anche di arredi sacri.
In questo stato di cose, non essendo opinabile eseguire il piano voluto dal p. Villani[54], i Padri, invece della missione prevista, iniziarono un corso di esercizi di otto giorni al clero e al popolo.
Non era neppure opinabile far restare a Tropea tutta la compagnia, costretta a vivere in sole tre stanze, all’inizio di una stagione che si annunziava abbastanza calda. Senza attendere ordini dal Rettore maggiore o dal vescovo, il 2 giugno p. Corrado decise di partire per Catanzaro, lasciando a Tropea solo quattro Padri e due Fratelli[55], spinto anche dalla speranza di trovare una casa più accogliente e di sollecitare presso la Giunta di Cassa Sacra l’esecuzione delle Istruzioni approvate dal Re.
Le decisioni di p. Corrado non furono condivise da P. Villani, che aveva anche stabilito la formazione delle due comunità e raccomandato di consolidare la fondazione di Tropea prima di iniziare la seconda. Probabilmente p. Corrado era stato consigliato dall’Ispettore Pedicini, ed ambedue si erano reso conto che l’unico convento che rispondeva alle esigenze dei missionari era il collegio dei Gesuiti, annesso alla chiesa in cui essi officiavano[56].
Il collegio però non apparteneva alla Cassa Sacra ma all’Azienda di Educazione ed era sede delle scuole normali; un eventuale trasferimento in altra struttura faceva prevedere tempi lunghi ed esulava dalle competenze della stessa Giunta. Questa tuttavia inoltrò la richiesta a Napoli, ma dopo tre mesi a Tropea tutto era fermo, anche se il vescovo, che non nascondeva il suo apprezzamento per l’attività svolta dai missionari, aveva cercato di sollecitare gli interventi:
«Or corre il terzo mese che i cennati Padri con general applauso ed amore di tutti recano grande utile a queste popolazioni nello spirituale, ma non ancora sono stati provveduti di ciò che il nostro Sovrano ha ordinato se gli faccino dalla suddetta Cassa Sacra per cui molto patiscono»[57].
Il verdetto, favorevole, giunse con dispaccio[58] del 30 agosto 1790, ma solo nel mese di aprile dell’anno successivo l’Ing. Bernardo Morena diede inizio ai lavori del primo lotto[59] , che furono completati il 14 maggio 1791.
9. Catanzaro
L’arrivo dei padri a Catanzaro[60], il 3 giugno 1790, a differenza di come era avvenuto tredici giorni prima a Tropea, fu salutato come un evento straordinario che coinvolse parroci, clero e cittadini. A suscitare entusiasmo in tutta la città, non era solo la novità della fondazione o l’arrivo di una compagnia di dieci missionari. Il vescovo, mons. Salvatore Spinelli[61], che probabilmente a Napoli aveva conosciuto il fondatore e i Redentoristi, aveva appreso con molta gioia la fondazione di una casa di missionari nella sua diocesi e questo lo aveva spinto a tempestivi interventi per predisporre i locali allo scopo di accoglierli dignitosamente[62].
Quando il 3 giugno i dieci missionari giunsero a Catanzaro, furono accolti con molto entusiasmo, come si ricava dalla già citata lettera di p. Corrado, superiore della compagnia, inviata a p. Tannoia il 26 dello stesso mese:
«Un miglio lontano dalla città fummo complimentati da un canonico in nome di monsignore, il quale ci accompagnò fino alla chiesa parrocchiale. Colà venne il Capitolo, i parroci tutti ed il seminario in processione ed abito, croce, ed andammo alla cattedrale ove mi toccò fare un discorso improvvisato senza avervi pensato, perché non mi era affatto immaginato un simile ricevimento»[63].
In realtà i padri, avendo anticipato di molto la fondazione, trovarono tutti impreparati. Tuttavia il vescovo li fece sistemare nel convento dei pp. Domenicani, in poche stanze, essendo le altre impegnate o in ristrutturazione, e affidò loro l’annessa chiesa del s. Rosario, dove iniziarono subito l’attività ministeriale con istruzioni e predicazioni. Ma la Giunta, che aveva il suo quartiere generale nello stesso convento, mal sopportando la decisione di dover dividere i locali con i missionari, tentò di dirottarli altrove.
A Catanzaro, oltre s. Domenico, c’erano altri nove conventi[64], ma nessuno era in grado di ospitare la comunità, perché piccoli o dissestati o lontani dalla città. La discussione si trasferì alla Suprema Giunta di Napoli, che con due dispacci, uno del 1° marzo e l’altro del 17 ottobre 1791, stabilì che i padri passassero nel convento dell’Osservanza, che pertanto doveva essere liberato da quelli che vi abitavano e anche dalla parrocchia, che dopo il terremoto vi si era trasferita.
Il verdetto della Suprema Giunta non era gradito a nessuno e soprattutto ai due parroci D. Domenico Antonio Curcio e D. Vitaliano Greco, che inviarono a Napoli diversi ricorsi e si fecero promotori di sottoscrizioni[65].
Ma la Suprema Giunta fu inflessibile ed impose i lavori di ristrutturazione, che però andarono per le lunghe. Non sappiamo se i missionari vi si trasferirono giacché, operando nella chiesa di S. Caterina, al centro della città, probabilmente si adattarono in alcune stanze del convento adiacente. Da qui, il 20 luglio 1792, p. Giovanni Battista Praticelli, lamentando le pessime condizioni della casa, chiese alla Giunta di effettuare urgenti riparazioni al tetto[66]. Ma alle sue lamentele la Giunta rispose con un provvedimento che trascinò le tre comunità in una tempesta giuridica che si protrasse oltre il Capitolo generale del 1793 e richiese l’intervento del nuovo Rettore maggiore p. Pietro Paolo Blasucci.
10. Stilo
Alla fine di giugno 1790, le comunità di Tropea e Catanzaro vivevano i disagi causati dalla fretta con cui erano state fondate e si dibattevano fra continue difficoltà per ottenere una casa dalla Giunta della Cassa Sacra . Nel tentativo di trovare altre soluzioni, e con la speranza di risolvere in parte i disagi delle due comunità, p. Corrado sollecitò la fondazione della terza casa, ma con la prudenza di chi aveva già iniziato lo stesso percorso due volte. A tale scopo, ai primi di luglio, inviò due padri a Stilo per esaminare i conventi, scegliere il più adatto per la comunità e farlo predisporre per l’arrivo dei missionari[67].
I due delegati visitarono i quattro conventi[68] della città insieme all’amministratore Antonio Capialbi, e scelsero quello di S. Giovanni a Teresti, un tempo dei pp. Basiliani, abbastanza grande e non molto dissestato. Il Capialbi si affrettò a chiedere l’autorizzazione per l’acquisto dei materiali, e anche dei mobili ed arredi sacri. Due giorni dopo, il p. Corrado annunziò la fondazione della casa a Stilo per il mese di ottobre o novembre, comunque appena ultimati i lavori di ristrutturazione[69].
In realtà, oltre ai lavori, c’era un’altra difficoltà che impediva l’utilizzo immediato del convento, giacché le stanze del pianterreno erano occupate dalla Cassa Sacra, che vi teneva il deposito di grano e di olio e, inoltre, nelle stanze superiori abitava il procuratore D. Domenico Spadaro[70], che ne gestiva l’amministrazione e preferiva non cambiare quello stato di cose. Probabilmente per questo motivo la Suprema Giunta, informata delle reali difficoltà, ordinò al Rettore maggiore di inviare al più presto i padri a Stilo per la fondazione. Il P. Villani, non potendo depauperare ulteriormente le quattro comunità del Regno, il 4 settembre 1790 autorizzò tre padri di Catanzaro[71] a recarsi a Stilo e nominò rettore della nuova casa il p. Angiolo Gaudino, che apparteneva alla comunità di Tropea.
Questi, ancor prima di raggiungere la nuova residenza, chiese al vescovo di far liberare i locali occupati e provvedere ai mobili ed arredi necessari, come prescritto nelle Istruzioni. Non era facile convincere il procuratore a trasferire in altra sede le derrate depositate nel convento, perché a suo dire, si trattava di grandi quantità di grano ed olio, che occupavano tutte le stanze del pianterreno. Per liberare il convento occorreva che si trovasse prima un’altra sede idonea per il deposito e per la sua abitazione[72].
Intanto il 24 settembre 1790 i quattro missionari giunsero a Stilo, come racconta p. Gaudino, fra il «giubilo ed allegrezza universale della città» e il rifiuto del procuratore di lasciare libero il convento, motivo che all’improvviso lo rese inviso al popolo e oggetto di accuse[73].
Anche la chiesa, senza vetrate e con tre cupole scoperte[74], era inagibile, e non permetteva di esercitare l’attività ordinata dal Re. Ma a sollecitare i lavori c’era il popolo, spalleggiato dal sindaco Scipione Marzano, e c’erano le premure della Giunta di Catanzaro e della Suprema Giunta di Napoli. L’effetto fu immediato: nel giro di un mese, l’Ing. Alfan De Rivera preparò il progetto, emanò i bandi e appaltò i lavori di ristrutturazione del convento. L’esecuzione dei lavori, tuttavia, frenata dalla presa di posizione del procuratore, non fu altrettanto sollecita, e si protrasse fino al mese di febbraio 1791, quando la ditta appaltatrice completò le prime stanze e consegnò anche la chiesa[75]. Nel frattempo p. Gaudino nominò suo procuratore il Sig. Domenico Assisi, per difendere i diritti della comunità presso la Giunta di Catanzaro. I ricorsi non furono inutili, poiché Corradini, verificati i raggiri e i continui rinvii della Giunta di Cassa Sacra, prese l’iniziativa di far preparare gli arredi sacri d’argento a Napoli, in quattro esemplari ciascuno, e di inviarli in Calabria per farli distribuire alle quattro case[76].
Ma se con l’intervento di Corradini fu relativamente semplice sopperire alla mancanza di arredi sacri, non era altrettanto facile colmare i vuoti che esistevano nel numero dei componenti le tre comunità. E questo causò una lunga discussione sugli assegni da corrispondere, che trascinò le tre comunità davanti ai tribunali amministrativi, e che nel 1793, quando la Congregazione era riunita per la celebrazione del Capitolo generale, non era ancora sedata.
11. La quarta casa
Prima di esaminare le tempeste che si scatenarono intorno alle tre comunità, è opportuno soffermarci sulla “quarta casa”, ordinata dal Re ma non realizzata. Ad impedire la fondazione contribuirono due motivi talmente tra loro correlati che risulta difficile valutare quale abbia avuto un peso preponderante sull’altro: la carenza di strutture nel territorio e il numero inadeguato dei missionari nella Congregazione.
Una delle quattro case era prevista a Crotone, dove però non esistevano conventi idonei[77]. Questo era noto a molti parroci e vescovi, i quali avanzarono la proposta di fondare nella propria diocesi la quarta casa di missionari stabilita dal Re.
La prima richiesta giunse da Mesoraca dove esisteva il convento dei pp. Riformati, grande e in buone condizioni, e fu formulata dall’ispettore Domenico Ciaraldi. La soluzione, che al vantaggio di essere meno onerosa univa quello di potersi realizzare in tempi brevi, fu accolta da Corradini, che autorizzò anche i lavori di ristrutturazione[78].
Ma p. Corrado non era dello stesso parere, e in una relazione del 26 agosto 1790, condivisa peraltro da mons. Spinelli, illustrò i motivi che rendevano inopportuna una casa a Mesoraca, troppo vicina alle altre tre, e dove già operava una comunità di missionari[79]. Insieme alla sua relazione giunsero a Napoli anche altre richieste[80], e quella del Vicario capitolare di Crotone, che non lasciava di difendere la decisione già presa[81]. Il verdetto della Suprema Giunta fu negativo, ritenendo di attenersi a quanto già deciso[82].
Nessuno tuttavia volle tentare di trovare soluzioni alternative alla carenza di strutture, essendo tutti convinti che qualora si fosse trovata la sede, mancavano i religiosi, già insufficienti per le tre case.
Lo stesso p. Villani era consapevole di non disporre del numero dei religiosi richiesti e, già prima della partenza dei missionari, lo aveva precisato a Napoli, dove gli avevano assicurato che, almeno per i primi tempi, le comunità in Calabria si potevano costituire con pochi religiosi, per ampliarne successivamente il numero fino a quello richiesto di dodici[83]. Per tale motivo non aveva condiviso la celerità delle altre due fondazioni, decise da p. Corrado, né aveva alcun motivo di accelerare i tempi per la quarta fondazione, nel timore di depauperare ulteriormente anche le quattro comunità del Regno, dove erano rimasti poco più di trenta religiosi. Neppure questi ultimi, certamente poco entusiasti per le notizie provenienti dalla Calabria, facevano pressione per calcare le orme dei pionieri. La confluenza di questi motivi non fece mai realizzare la quarta casa.
12. Per la Calabria il P. Corrado chiede il noviziato, lo studentato e un Vicario
Nel mese di ottobre 1790 le tre comunità di Tropea, Catanzaro e Stilo risultavano ufficialmente fondate ma in condizioni precarie, senza una casa religiosa ben definita né la speranza di un’immediata organizzazione della vita comunitaria.
Nel tentativo di trovare soluzioni alternative, p. Corrado iniziò ad accarezzare l’idea di stabilire il noviziato in Calabria e, allo scopo di semplificare la procedura della ricezione dei nuovi candidati, di istituire un Vicario generale per le tre case calabresi. La soluzione, che offriva indubbi vantaggi[84], fu negativamente interpretata dal Rettore maggiore p. Villani, che la lesse come un attentato all’unità della Congregazione, dettato più da una pretesa emancipazione di p. Corrado dal suo governo che da una vera necessità[85]. La sua reazione, immediata quanto eccessiva, nell’arco di pochi giorni scatenò una tempesta giuridica e forti tensioni nelle tre piccole comunità. La sollecitudine con cui si mosse è testimoniata da due suoi ricorsi[86] inviati al Re e al presidente Corradini il due e tre novembre 1790 e dall’immediata decisione, formulata dal Supremo Consiglio delle Finanze, di ordinare al vescovo di Catanzaro di richiamare p. Corrado alla dovuta dipendenza dal Rettore maggiore.
Probabilmente p. Villani presentò un terzo ricorso, che non ci è pervenuto, giacché il 27 dello stesso mese il marchese Carlo De Marco, senza attendere la risposta del vescovo di Catanzaro, ordinò al Cappellano maggiore di non permettere di introdurre alcuna novità nella regola e di vigilare perché non solo p. Corrado ma le quattro case tentavano “di scuotere la dipendenza dal Rettore maggiore”[87].
P. Corrado, convocato dal vescovo di Catanzaro[88], che gli espose le accuse pervenute da Napoli, e sorpreso delle macchinazioni ordite a sua insaputa, si giustificò sostenendo di aver agito in forza della Procura concessa dal Rettore maggiore e senza alcuna ambizione per una carica per la quale, anzi, aveva dimostrato sempre avversione[89].
In realtà, ufficialmente, p. Corrado aveva chiesto al re di istituire solo il noviziato e lo studentato in Calabria[90]. Su tale richiesta, il commissario Daniele Vecchioni, pur manifestando delle perplessità perché in una delle case veniva a mancare il fine prioritario delle missioni, era d’accordo, ritenendo che fosse più comodo coltivare in loco la vocazione e gli studi dei futuri missionari. Tuttavia con molta prudenza si era rimesso alle decisioni del Rettore maggiore, che però insisteva di non poter aderire a tali richieste. I motivi erano di ordine pratico, come lo stesso Rettore maggiore espose in una lunga lettera del 4 febbraio 1791. Non era solo il numero esiguo di religiosi che impediva di duplicare le case di formazione, ma anche la tradizione di un solo noviziato, su cui il Rettore maggiore aveva sempre esercitato un particolare controllo, e inoltre l’impossibilità di espellere un professo senza il suo permesso. Probabilmente dietro questi motivi si nascondeva la paura di una nuova divisione, proprio nel momento in cui l’abolizione del Regolamento aveva spianato la strada per ricucire le vecchie lacerazioni, come egli stesso osservava: «Ed io già prevedo che questa domanda fatta dal p. Corrado del noviziato tende alla divisione della Congregazione. Non credo che lui abbia questa intenzione, ma la sola domanda ne apre la porta»[91].
Sostenendo l’infondatezza di questo timore, il p. Michelangelo Corrado prese le difese di p. Bartolomeo sostenendo che la richiesta del noviziato non tendeva alla divisione bensì al «vantaggio della Congregazione, allo stabilimento delle suddette case di Calabria e ad eseguire la mente del Re»[92]. E si spinse anche oltre, difendendo la necessità di un Vicario generale per la Calabria, ovviamente dipendente dal Rettore maggiore.
Ma il vecchio p. Villani, non accettando l’idea di doversi rimettere ad un Vicario per la ricezione ed espulsione, da sempre ritenute prerogative esclusive del Rettore maggiore, non solo non si arrese alle argomentazioni della difesa, ma passò all’attacco: fece redigere un documento ufficiale firmato dai consultori ed autenticato dal notaio Luigi Pepe[93] e chiese allo stesso presidente della Suprema Giunta di dare l’ordine di trasferire p. Bartolomeo Corrado dalla Calabria, ponendo così fine alle sue temute ambizioni.
Il presidente Corradini aderì alle richieste e con dispaccio del 26 febbraio 1791 inviò la pratica al Cappellano maggiore, il quale diede subito l’ordine di non introdurre la carica di Vicario né alcuna novità nella regola[94].
La cosa sembrava conclusa, ma ben presto si riaccese poiché il commissario Vecchioni, a cui era stata affidata tutta la pratica, continuò a difendere l’opportunità di una casa di noviziato anche se non si dichiarava convinto per la nomina di un Vicario. Si affilarono allora tutte le armi giuridiche per difendere le due posizioni. Il p. Villani affidò le proprie ragioni agli avvocati Giovanni De Buonopane e Giambattista Perrotta, mentre p. Corrado si rivolse all’avvocato Zamparelli. Le tesi di quest’ultimo convinsero il Cappellano maggiore, che in una nuova relazione del 18 giugno 1791 si dichiarò contrario alla figura del Vicario ma favorevole alla casa di noviziato e studentato in Calabria[95].
Se la battaglia presso la corte del Re si poteva ritenere vinta per metà, non lo era invece presso p. Villani e i consultori, che irremovibili nelle loro decisioni, richiamarono p. Corrado dalla Calabria. Questi giunse a Pagani alla fine di luglio, non tanto per rendere conto del suo operato quanto invece per assistere gli anziani p. Villani e Mazzini, ai quali succederà, dopo la loro morte, come Vicario generale nel governo della Congregazione del Regno di Napoli fino al Capitolo generale del 1793.
13. Le tre comunità nella tempesta
Se la partenza di p. Corrado da Catanzaro segnò la conclusione delle tensioni sorte fra il Rettore maggiore e le tre comunità, tuttavia essa fu anche la scintilla che provocò una seconda tempesta, di ordine amministrativo, che nell’arco di un quinquennio fece temere la chiusura di una casa, o anche più di una, ma che si concluse solo con la riduzione degli assegni stabiliti dal Re.
Quando alla fine di luglio 1791 p. Corrado lasciò la comunità, insieme al p. Cassese, il numero dei religiosi a Catanzaro si ridusse ulteriormente, divenendo di gran lunga inferiore a quello prescritto nelle Istruzioni. La cosa non poteva passare sotto silenzio, anche perché il dissenso del superiore e le decisioni della Suprema Giunta erano transitati per gli uffici della Giunta della Cassa Sacra. Il presidente, mons. Spinelli, rammaricato per il trasferimento di p. Corrado, di cui aveva condiviso e difeso le richieste, ma anche preoccupato per la trasparenza dell’amministrazione, ritenne suo dovere chiedere informazioni sul numero dei religiosi appartenenti alle singole comunità. I tre superiori furono quindi costretti ad inviargli, all’inizio di agosto, l’elenco delle rispettive comunità. Si venne così a sapere che a Tropea si trovavano dieci persone, sette a Catanzaro e sei a Stilo[96], per un totale di ventitré persone, di gran lunga inferiore al numero di trentasei richiesto. La Giunta lo fece presente a Napoli, ritenendo di dover sollecitare il completamento delle comunità con 12 padri, oppure di corrispondere gli assegni in proporzione al numero degli effettivi nelle singole comunità. La notizia giunse a p. Corrado che da Pagani si affrettò a scrivere a Napoli per difendere la casa di Catanzaro, sostenendo che in quella comunità vi era sempre stato il numero prescritto di missionari, e che ora non si poteva più conservare a causa della mancanza di stanze in s. Caterina[97]. Anche le altre due comunità si difesero sostenendo la mancanza di strutture, elencando i missionari che si erano alternati e i lavori apostolici eseguiti[98].
I ricorsi non furono inutili, giacché la Suprema Giunta non prese alcun provvedimento, se non quello di ascoltare il parere di p. Villani, che il 19 novembre 1791, appellandosi alle promesse fattegli, così si giustificò: «Il volermi ora obbligare a mandare 12 sacerdoti per ciascuna di quelle case, è contro i patti fatti col commissario, il quale agiva a nome della Giunta ed è contro le reali Istruzioni»[99].
Passando dalla difesa all’attacco, nella stessa lettera elencò il lavoro svolto dai Padri, con 24 missioni, esercizi spirituali, confessioni, prediche ed istruzioni, e dimostrò che pur volendo inviare altri missionari in Calabria non avrebbe potuto farlo a causa del grave ritardo dell’amministrazione nella realizzazione delle strutture. Su queste premesse supplicò quindi la Suprema Giunta di non decurtare gli assegni, anche per permettere di completare l’arredamento delle case, in attesa di tempi migliori.
Il presidente Corradini, ritenendo giuste le motivazioni addotte, fece passare tutto sotto silenzio e le acque si mantennero calme fino al 25 agosto 1792, quando la Giunta di Catanzaro, ritenendo di non dover corrispondere tutti gli assegni alle tre comunità, risollevò il problema[100]. Nel frattempo a Corradini era subentrato il marchese Giuseppe Palmieri e da poco più di quattro mesi, l’11 aprile, p. Villani era morto a Pagani. Il suo successore, p. Giovanni Mazzini, ottantottenne, non disponendo di altri padri e neppure di energie per lanciarsi nella difesa delle case calabresi, non prese alcuna decisione[101]. Intorno alle tre comunità cominciarono a serpeggiare notizie di una prossima chiusura, tanto che i parroci, alcuni “Patrizi” e i cittadini di Catanzaro si sentirono in obbligo di coalizzarsi per difendere la presenza dei padri nella loro città[102]. Il 26 gennaio 1793 la Suprema Giunta emise un verdetto che aveva tutto il sapore di un compromesso: ordinò che, secondo le Istruzioni, le comunità si dovessero comporre di 12 persone e nel frattempo, a partire da febbraio, gli assegni dovevano corrispondersi in rapporto al numero dei presenti nelle singole comunità[103]. A nulla valsero i ricorsi, come quello di p. Praticelli che annunciò la decisione del Rettore maggiore di inviare altri padri che però non avevano dove alloggiare a causa delle poche stanze in s. Caterina.
Intanto, almeno per il momento, le tre case erano salve. I superiori furono obbligati a dichiarare l’elenco dei padri che si erano succeduti nelle loro comunità[104], e lo fecero nello stesso periodo in cui cominciavano a redigere le relazioni da presentare al Capitolo generale, che si inaugurò il 1° marzo a Pagani e segnò l’inizio di una nuova stagione per la Congregazione.
14. Note
[1] Per il “Regolamento interno”, che provocò la divisione della Congregazione e un periodo di forti tensioni, Cf G. ORLANDI, Dal “Regolamento” alla riunificazione, in Storia della Congregazione del SS. Redentore, vol. I, Roma 1993, p. 280 ss.
[2] Le comunità dello Stato pontificio, sotto la giurisdizione di p. Francesco Antonio De Paola, erano: S. Angelo a Cupolo (1755), Scifelli (1773), Frosinone (1777), Benevento (1777), Spello (1781), Gubbio (1782), Roma (1783), Cisterna (1785).
[3] Le comunità che nel Regno di Napoli dipendevano da p. Andrea Villani erano: Ciorani (1735), Pagani (1742), Iliceto (oggi Deliceto) (1744), Materdomini (1746).
[4] Le due case della Sicilia, Agrigento (1762) e Sciacca (1787), erano sotto la guida di p. Pietro Paolo Blasucci.
[5] Cf A. Owczarski, Redentoristi-Beniniti a Varsavia 1787-1808, II ed., Krakow 2003, 290 pp.
[6] Gli archivi che conservano documenti importanti sono: Archivio Generale dei missionari Redentoristi di Roma (d’ora in poi AGHR), fondo XXI, Case calabresi; Archivio Provincia Napoletana dei missionari Redentoristi, Pagani (d’ora in poi APNR), fondo 9, Case. Diversi documenti si trovano nell’Archivio diocesano di Tropea. Cf anche O. GREGORIO, La soppressione del collegio redentorista di Catanzaro, in Spicilegium Historicum C.SS.R. (d’ora in poi SH), XI (1963), 45-82: è un commento del manoscritto “Cronaca della fu casa di s. Caterina V. e Martire in Catanzaro”, composto probabilmente da p. Leonardo Falabella, che fu membro di quella comunità dal 1850 fino alla soppressione nel 1866.
[7] A. BERTHE, Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, Firenze 1903, II, p. 630.
[8] R. TELLERIA, San Alfonso Maria de Ligorio, Madrid 1951, II, p. 809.
[9] G. ORLANDI, Dal Regolamento alla riunificazione, cit., p. 312.
[10] La fondazione delle case calabresi e l’abolizione del Regolamento, come vedremo, furono definite nello stesso giorno, il 17 aprile 1790.
[11] P. Villani, accettando di fondare quattro comunità, ciascuna di 12 sacerdoti, si impegnò ad inviare 48 missionari in Calabria, ardua impresa se si considera che nelle quattro comunità del Regno di Napoli si trovavano solo 54 sacerdoti.
[12] Archivio di Stato di Catanzaro (d’ora in poi ASCz): Cassa Sacra, Segreteria Ecclesiastica (d’ora in poi CS, SE), b. 73, fasc. 1301-1308; b. 74, fasc. 1309. Cassa Sacra, Segreteria pagana (d’ora in poi CS, SP), b. 37, fasc. 588; Delegazione frumentaria, b. 8, fasc. 211; b. 10, fasc. 251 e 265; b. 15, fasc. 417.
[13] Archivio di Stato di Napoli (d’ora in poi ASNa): Ministero degli affari ecclesiastici (d’ora in poi MAE): Reali dispacci (1737-1799); Espedienti di Consiglio (1738-1799); Suprema Giunta di Corrispondenza di Cassa Sacra (d’ora in poi SGC), nn. 78-81; 1124; 1333 (Pandette); Ministero degli Affari esteri, n. 4890.
[14] Ricchissima è la bibliografia sul terremoto del 1783: Cf Storia della Calabria moderna e contemporanea, Roma-Reggio Calabria 1992, III, p. 404; N. CORTESE, La Calabria Ulteriore alla fine del sec. XVIII, Napoli 1821, p. 3; A. PLACANICA, Il filosofo e la catastrofe, Napoli 1985, pp. 231-242.
[15] Fra i numerosi terremoti nel 1600, particolarmente violenti furono quelli del 1626 e del 1638, che distrussero una gran quantità di paesi da nord a sud della regione, quelli del 1640, del 1659 e del 1693. Nella prima metà del sec. XVIII si erano verificati altri terremoti, nel 1723 e nel 1743. Per questo motivo in Calabria non esistono antichi monumenti. Cf D. L. COSTA, Memorie storiche calabresi, monografia di Maierato, Ed. Mapograf, Vibo Valentia 1994, p. 83; A. BARILARO, San Domenico in Soriano, Soriano Calabro 1982, pp. 137-149.
[16] Alla fine del primo ciclo i morti accertati si aggirarono intorno ai trentamila. La Calabria Ulteriore, che all’epoca contava 440.000 anime fu letteralmente decimata. Cf A. PLACANICA, Il filosofo e la catastrofe, Torino 1985, p. 19.
[17] Oggi Terranova Sappo Minulio a metà strada tra Oppido e Taurianova.
[18] La Calabria era divisa in due province, la Citeriore, a nord, con capoluogo Cosenza; la Ulteriore, a sud, con capoluogo Catanzaro, sostituita con Monteleone (oggi Vibo Valentia) durante il decennio francese. Il territorio della Calabria Ulteriore comprendeva le attuali province di Catanzaro e Reggio.
[19] Numerosi furono i provvedimenti come risulta dal Registro dei reali ordini riguardanti le provvidenze date in occasione dei gravissimi danni de’ terremoti delle due Calabrie, e massimamente nella Calabria Ulteriore, conservato in ASNa, Ministero della Guerra, fasc. 637. Vi si descrivono i provvedimenti emanati dal 15 marzo al 5 luglio 1783.
[20] ASNa, Ministero degli affari esteri, 4888 e 4889. I due fasci contengono le comunicazioni dei Presidi di Cosenza e Catanzaro al vicario Pignatelli e i rapporti settimanali che questi inviava al marchese della Sambuca, come anche i rapporti dello stesso marchese al suo collega in Spagna Conte di Floridablanca.
[21] Il censimento fu provocato da alcune richieste di cittadini, parroci e vescovi che, superato il primo momento di smarrimento, decisero di agire con prontezza chiedendo di poter utilizzare le rendite della Mensa vescovile e dei Luoghi pii per riparare le cattedrali, le parrocchie e i luoghi di culto ASCz, CS,SP, b. 37, fasc. 588.
[22] Il 29 marzo 1783 la Real Camera reale comunicò al Vicario Pignatelli: «Ha inoltre la M. S. dato gli ordini allo stesso Vicario generale Pignatelli che rispetto agli argenti da scavarsi e già scavati si fosse regolato nel modo seguente in tutta la Provincia, cioè che per i già scavati e che si ritrovano in potere dei superiori rispettivi dei luoghi pii si lascino in loro potere, ben inteso che se ne esiga una distinta nota sottoscritta dai medesimi, quale nota la tenga presso di sé esso Vicario generale. E che per quelli da scavarsi e che siansi scavati dopo il real ordine, ad eccezione dei vasi e reliquiari, per i quali le popolazioni abbiano particolare devozione, tutti gli altri argenti tra i quali va compresa la sfera d’oro di Mileto, li faccia riporre nella baracca avanzata, e credendo che non siano sicuri li faccia trasportare in qualche fortezza e che settimanalmente rimetta le note degli argenti rinvenuti». ASNa, MAE, 458, 224.
[23] I conventi con meno di dodici religiosi furono aboliti e i beni incamerati, mentre quelli che avevano un numero maggiore furono temporaneamente sospesi.
[24] ASNa, Ministero degli Affari Esteri, 4890, inc. 1.
[25] ASNa, Ibid., inc. 2.; ASNa, SGC, CS, 1333, Pandette, f. 346.
[26] Alcuni autori, come N. CORTESE, La Calabria Ulteriore alla fine del sec. XVIII, Napoli 1921, p. 11; A. PLACANICA, Il filosofo e la catastrofe, Torino 1985, p. 28; ID., Cassa Sacra e beni della Chiesa, Napoli 1970, p. 82, affermano che il Papa abbia dato il consenso, ma non indicano con quale Breve, né esiste nell’Archivio Vaticano alcuna traccia di tale concessione. Probabilmente il Cortese, fu tratto in inganno da un altro Breve del 28 maggio “Quod carissimus in Christo filius”, di cui alla nota seguente, ed influì su Placanica. Sembra improbabile che il Papa, pur ritenendo valide le prime due richieste, abbia aderito alla soppressione di un numero imprecisato di conventi della provincia di Calabria Ulteriore.
[27] Il 28 maggio 1784, con il Breve “Quod carissimus in Christo filius” il Papa, aderendo alle richieste dello stesso Pignatelli, concesse l’indulto della secolarizzazione ai religiosi che, in possesso del sacro patrimonio, ne facevano richiesta. F. RUSSO, Regesto vaticano per la Calabria, vol. XII, 419, Roma 1993. La richiesta dell’indulto fu patrocinata dallo zio del Vicario, mons. Pignatelli, e dal cav. Ricciardelli, incaricato degli affari della Real corte di Napoli. ASNa, Ministero degli Affari Esteri, 4890, documenti dal 16 aprile al 2 giugno 1784.
[28] Il decreto fu compilato in forma di dispaccio e inviato dal ministro Acton al Vicario. A. PLACANICA, Cassa Sacra e beni della chiesa, Napoli 1970, p. 83.
[29] Gli altri componenti della Giunta erano il vescovo di Catanzaro mons. Salvatore Spinelli, vicepresidente, il caporuota Andrea De Leone e l’uditore Domenico Ciaraldi con funzioni di fiscale.
[30] ASNa, SGC, CS, 1124.
[31] Nato a Melfi (PZ) nel 1731, si dedicò agli studi di giurisprudenza, diventando, poco più che ventenne, avvocato del foro di Napoli. Dopo la nomina di giudice presso la Vicaria criminale e di segretario del Sacro Real Consiglio, nel 1783 l’Acton lo nominò consigliere del Supremo Consiglio delle Finanze, di cui due anni dopo divenne direttore ad interim, e nel 1787 direttore titolare. Ricoprì questa carica fino al 1791, quando fu sostituito da Giuseppe Palmieri. Nel 1788 gli fu affidata anche la presidenza della Suprema Giunta di Corrispondenza, che resse fino al 1792 e poi dal 1794 fino alla soppressione nel 1796. Il 6 settembre 1791 lasciò il Consiglio delle Finanze per essere nominato Segretario di Stato per gli Affari Ecclesiastici, in sostituzione del ministro Carlo De Marco. Morì a Napoli il 18 marzo 1801. I missionari Redentoristi gli sono riconoscenti per la fiducia riposta nel Rettore maggiore e la stima dimostrata verso la Congregazione, da lui privilegiata e difesa.
[32] P. Tranfo Ludovico, dei principi di Cosoleto, era nato a Tropea nel 1733. Era vissuto per molti anni nella comunità dei PP. Domenicani di Soriano, dove era penitenziere maggiore. Archivio generalizio OP, Roma, IV, 228, f. 82r. P. Frontera Giuseppe Maria, nato nel 1740, divise la sua attività di predicatore, confessore e professore tra Soriano e Reggio Calabria, dove si trovava al momento del terremoto del 1783. C. LONGO, Il collegio teologico reggino dei domenicani dal 1740 al 1805 in La Calabria dalle riforme alla restaurazione, II, Salerno-Catanzaro 1981, p. 352.
[33] P. Savoia Benedetto, nato nel 1715 a Bagnara,, fu nominato nel 1765 predicatore generale per il convento di Soriano, dove fu anche priore e penitenziere. F. RUSSO, Storia dell’Arcidiocesi di Reggio Calabria, II, p. 239. Morì a Soriano il 5 luglio 1794. Notizie fornite da p. Carlo Longo, Domenicano, a cui va il nostro ringraziamento.
[34] Nell’Archivio di Stato di Napoli, non si conserva l’originale del memoriale. Lo si ritrova trascritto tuttavia nella relazione inviata il 20 settembre 1788 dalla Giunta di Catanzaro al ministro Corradini: «Con veneratissimo foglio segnato a’ 7 dello scorso mese di giugno, si compiacque V. E. rimetterci con codesta Suprema Giunta, una memoria presentata a S. M. del tenore seguente…». ASNa, SGC, CS, fasc. 78, f. 1.
[35] Ibid., f. 3.
[36] Inviarono subito le relazioni i vescovi di Catanzaro, Squillace, Gerace, Reggio, Bova, Tropea e i vicari capitolari di Mileto e Oppido.
[37] ASNa, SGC, CS, fasc. 78, ff. 17-27.
[38] Ibid., f. 28.
[39] Nei primi tre articoli il Piano definiva il miglioramento delle retribuzioni dovute agli Economi per evitare che si dedicassero ad altre attività; prescriveva che la Cassa Sacra pagasse con puntualità le congrue e gli onorari dovuti ai parroci ed Economi (art. IV), i quali non dovevano esser impiegati in altre attività (art. V); ordinava che le Curie diocesane vigilassero sulla efficacia dell’attività pastorale (art. VI), che le Università avessero la facoltà di avere i predicatori quaresimali (art. VII), che i parroci adempissero al loro dovere di istruire il popolo o direttamente o tramite altri sacerdoti (art. VIII). L’art. IX ordinava che si erigessero 4 case di missionari a Tropea, Stilo, Crotone e Catanzaro, mentre l’art. X prescriveva la fondazione di sei case destinate per l’educazione delle ragazze. L’art. XI riguardava la ripresa del santuario di Soriano, in cui dovevano continuare ad esercitare il loro lodevole servizio “otto scelti e degni religiosi Domenicani” per le attività della confessione, predicazione ed istruzione al popolo. Nell’art. XII si invitava la Cassa Sacra ad essere sollecita nella riedificazione delle cattedrali e delle parrocchie. Nell’ultimo articolo si annunziavano distinte Istruzioni dopo l’approvazione del Piano da parte del re.
[40] ASNa, SGC, CS, fasc. 78, f. 30.
[41] L’Art. IX prescriveva «Che in 4 luoghi principali e più comodi della Provincia, e propriamente in Tropea, Stilo, Cotrone e Catanzaro, si dovessero erigere 4 case di sacerdoti missionari con le loro chiese, nelle quali questi sacerdoti secondo l’Istituto dei PP. Pii Operai fondati dal N. D. Carlo Carafa, o dei PP. volgarmente detti Giuranisti istituiti da Mons. De Liguori, non avessero altra cura che di scorrere la Provincia colle sacre missioni e di istruirla nei doveri del cristianesimo e di adempiere a tutte quelle altre opere lodevoli, che in tal tempo da tai degni ecclesiastici soglionsi esercitare, e di fare anche lo stesso continuamente nelle loro residenze, quando non sono impediti ad uscire per le sacre missioni.
Che dovessero avere cura particolare dei fanciulli e fanciulle con istruirli nel catechismo, ossia dottrina cristiana.
Che per principale ministero di questi tali sacerdoti avere ancora si dovesse il dare gli esercizi spirituali agli Iniziandi nello stato ecclesiastico. Che dovessero altresì ammettere a simili esercizi quei Preti che dai vescovi venissero a ciò obbligati. E che anche potessero dare una volta l’anno gli esercizi ai secolari che nelle loro case si volessero ritirare, siccome i vescovi diocesani attestano che in quella Provincia universalmente si desidera e siccome essi sogliono praticare nelle altre case religiose.
Però il numero degli individui di ogni casa non dovesse esser più di 12 sacerdoti oltre a quei laici al loro servizio di cui avessero preciso bisogno. Che per queste case religiose e loro chiese si dovessero scegliere nei luoghi additati 4 comodi monasteri di soppressi, e che per il loro mantenimento si dovessero assegnare Ducati 1500 annui per ciascuna di questa case, da pagarsi tal somma dalla Cassa Sacra alle medesime, o da darsi loro in semplice amministrazione fondi della stessa Cassa Sacra corrispondenti ad una tal rendita». ASCz, CS, Segreteria Ecclesiastica, b. 74, fasc. 1309, f. 2.
[42] Il dispaccio si trova in ASNa, SGC, CS, b. 78, f. 33, e in ASCz, CS, Segreteria Ecclesiastica, b. 74, fasc. 1309, f. 2.
[43] Giunsero le risposte dai vescovi di Isola (13-2-1789), Nicastro, S. Stefano, Tropea, Policastro, Belcastro, Mileto, Isola (20-5-1789), Oppido, Nicotera, Bova, Reggio, Catanzaro, Crotone, Gerace. ASCz, CS, SE, b. 74, fasc. 1309, ff. 41-76.
[44] F. Kuntz, Commentaria, XII, f. 138.
[45] Si legge nelle Istruzioni: «Le quattro case di sacerdoti regolari che dovranno erigersi in Catanzaro, Cotrone, Stilo e Tropea, giusta la determinazione di questa Suprema Giunta, approvata da S. M., saranno tutte e quattro dei Padri della Congregazione del SS. Redentore istituita dal fu mons. Alfonso de Liguori, giacché i Padri Pii Operai si sono legittimamente scusati di andare ad occupare quelle due che erano state per li medesimi destinate». Nelle stesse Istruzioni si definì che ogni comunità dovesse esser costituita da 12 sacerdoti e da un numero di Fratelli laici necessari.
[46] Al terzo comma così furono descritti gli impegni delle comunità: “In queste quattro case dovranno questi stessi Padri esercitare tutte quelle funzioni ed impieghi che sono propri del carattere di esemplari ed attivi sacerdoti e del di loro edificante istituto, come di celebrare, predicare, confessare, istruire la gioventù, far spiegare il catechismo e tutt’altro che essi praticano nelle loro chiese e case religiose”, che comunque dovevano essere soggette ai vescovi.
[47] Il 18 maggio partirono i padri: Bartolomeo Mattia Corrado (57 anni), Angelo Gaudino (52), Adeodato Criscuoli (52), Fabio De Buonopane (50), Giovanni Battista Praticelli (42), Michelangelo Corrado (32), Giuseppe Pappacena (31), Domenico Pizzi (30), Giuseppe Volpe (30), Giuseppe De Paola (28), Francesco Saverio Franza (27), Muzio Santoro (26), Luigi Ferrante (25), Felice Cassese (25); gli studenti: Camillo Carbone (24), Luigi Marolda (22), Pietro Ignazio Marolda (20); i Fratelli laici: Giuseppe Fischetti (38), Alessio Pollio (48), Paolo Russo, Michele Nardo. AGHR, 38 B, p. Corrado, Corrispondenza, lettera del 26 giugno 1790 a p. Tannoia; trascritta in F. KUNTZ, Commentaria, XII, 219.
[48] Nave a vela del sec. XVII a tre alberi.
[49] ASCz, CS, SE, b. 74, fasc. 1308, f. 4.
[50] Ibid., f. 8.
[51] L’episcopio era vuoto ed il vescovo si era trasferito nel convento di s. Francesco. Il p. Corrado, nella citata lettera del 26 giugno ( Cf nota 44), riferisce che dormirono per terra sui materassi vuoti che avevano portato da Nocera; durante la notte il figlio del Fiscale portò paglia nuova e fu possibile riempire i sacconi; potevano restare in episcopio solo quattro o al massimo 8 giorni.
[52] A Tropea c’erano 5 conventi: Riformati, Pietà, Gesuiti, S. Chiara, S. Francesco, ma erano tutti dissestati.
[53] L’Ispettore Pedicini prese in fitto l’appartamento di Angelo Sciantaretica, di fronte alla cattedrale, formato da tre stanze, in cui, come informa p. Corrado, dormivano in 19, senza precisare se gli altri quattro erano rimasti nell’episcopio.
[54] Il p. Villani aveva previsto una grande missione a Tropea, al termine della quale tutti, o la maggior parte, si sarebbero recati a Catanzaro per ossequiare il vescovo e concordare una missione per il mese di novembre, in coincidenza con l’inizio della nuova fondazione, ma in ogni caso secondo le norme dettate dal vescovo.
[55] Restarono a Tropea i padri De Buonopane, rettore, Gaudino, De Paola, Pappacena e i Fr. Fischetti e Alessio.
[56] Il convento e la chiesa, costruiti nei primi anni del 1600 dai Padri Gesuiti, erano rimasti nel loro antico splendore fino all’espulsione dei religiosi nel 1767. Abbandonati, ben presto caddero in rovina. Quando furono assegnati ai Redentoristi si trovavano in pessime condizioni. Cf L. GRAVAGNUOLO, La chiesa e il collegio del Gesù in Tropea, Napoli 1976.
[57] ASCz, b. 74, fasc. 1308, f. 18.
[58] ASNa, SGC, CS, b. 80, f. 40.
[59] I missionari, avendo tutto l’interesse per la sollecita riparazione del collegio, chiesero l’affidamento dei lavori, che furono appaltati il 2 aprile 1791 da Fr. Alessio Pollio, nella qualità di procuratore del p. Fabio De Buonopane.
[60] Il 3 giugno arrivarono a Catanzaro solo 10 missionari, mentre gli altri sette giunsero successivamente. ASCz, CS, SE, b. 73, fasc. 1302, f. 16.
[61] Nato a Napoli il 9 giugno 1746, visse sempre nella sua città. Dopo un triennio di studi a Roma (1766-1769), ritornò a Napoli, dove svolse attività didattica fino alla consacrazione episcopale nel 1779, quando fu nominato vescovo di Catanzaro. Resse la diocesi di Catanzaro fino al 26 marzo 1792 quando fu trasferito a Lecce e sostituito da mons. Giovanni Battista Marchese. R. RITZLER – F. SEFRIN, Hierarchia cattolica, vol. VI (1730-1799), Padova 1958, p. 155..
[62] Ancor prima che i padri partissero da Pagani per la Calabria, il vescovo aveva dato disposizioni all’Ing. Claudio Rocchi per la scelta del convento e l’acquisto dei materiali occorrenti per la ristrutturazione, aveva ordinato l’acquisto di mobili e di calce e autorizzato anche il pagamento. ASCz, CS, SE, b. 73, fasc. 1302, ff. 11-13.
[63] Lettera di p. Corrado del 26 giugno 1790, citata nella nota 44.
[64] C’erano i conventi dei PP. Teatini, di S. Francesco di Paola, del Carmine, dei Teresiani, degli Ospedalieri, degli Agostiniani, dei Conventuali, dei Gesuiti e quello degli Osservanti. Il convento dei PP. Teatini poteva adattarsi alle esigenze dei missionari, ma era piccolo e le poche stanze, già insufficienti per la comunità, non consentivano di accogliere gli ordinandi e il clero per gli esercizi spirituali, secondo le disposizioni del Re. Anche i conventi di S. Francesco di Paola, del Carmine, dei Teresiani, degli Agostiniani e dei Conventuali erano piccoli ed erano anche dissestati dal terremoto. Il convento degli Ospedalieri, ossia di S. Giovanni di Dio, era sede dell’ospedale ed era impensabile ripristinarlo a casa religiosa; quello dei Gesuiti era occupato dalle scuole e non potevano certo trasferirsi altrove. Restava infine quello dei PP. Osservanti: era grande, in buono stato, e disponeva di una chiesa efficiente; ma era fuori la città ed inoltre in seguito al terremoto era stato designato come sede parrocchiale, trovandosi in un’area dove si erano costruite diverse baracche e trasferite molte persone. ASCz, CS, SE, b. 73, fasc. 1302, f. 16
[65] ASCz, CS, SE, b. 73, fasc. 1303, ff. 6-8
[66] ASCz, CS, SE, b. 73, fasc. 1306, f. 107.
[67] ASNa, SGC, b. 80, f. 30.
[68] A Stilo c’erano i conventi dei pp. Basiliani, Domenicani, Cappuccini e di S. Francesco di Paola. Il convento dei pp. Basiliani era il più grande e rispondeva alle esigenze dei missionari.
[69] ASCz, CS, SE, b. 73, fasc. 1304, f. 58.
[70] D. Domenico Spadaro era un ex Cappuccino che aveva chiesto l’esclaustrazione; fungeva da procuratore e custode dei beni della Cassa Sacra.
[71] Il 20 settembre 1790 partirono per Stilo i PP. Muzio Santoro, Domenico Pizzi e lo studente Camillo Carbone; giunsero a Stilo il 24 settembre, insieme al p. Angiolo Gaudino. ASCz, CS, SE, b. 73, fasc. 1304, f. 6.
[72] Ibid., f. 16. Il 23 settembre Antonio Capialbi comunicò al vescovo la risposta del procuratore, e dopo sei giorni, mortificato per non aver potuto espletare l’incarico affidatogli, scrisse un’altra lettera comunicando che i Padri erano già arrivati a Stilo e, non avendo una casa, erano stati ospitati dalla famiglia del Sig. Ettore Marzano.
[73] ASCz, CS, SE, b. 73, fasc. 1304, f. 19.
[74] Le tre cupole, fra cui la cupola maggiore, erano cadute in seguito al crollo del campanile durante il terremoto del 1783. Ibid., f. 26.
[75] Ibid., ff. 31-56.
[76] Elenco degli argenti inviati in Calabria: “4 sfere, 4 casse di legno e pelle, 4 croci di processione, vasi di rame indorato, 24 calici, 4 pissidi grandi, 4 pissidi piccole, 4 incensieri, 4 secchi ed aspersori, 4 teche, 4 oli sacri, 4 chiavi per custodia argenti”. ASCz, CS, SE, b. 73, fasc. 1306, f. 30.
[77] A Crotone esistevano due conventi completamente dissestati, uno dei PP. Cappuccini, l’altro dei PP. Paolotti, mentre fuori città si trovava il convento degli Osservanti, adatto ma da ristrutturare. Cf Lettera del vescovo di Crotone dell’8 luglio 1789 in ASNa, SGC, CS, b. 78, f. 75.
[78] ASCz, CS, SE, b. 73, fasc. 1301, ff. 2-3. Dispaccio del 31 luglio 1790.
[79] Ibid., ff. 4-5: Relazione di p. Corrado del 26 agosto 1790.
[80] Giunsero richieste da Taverna, Montauro, Petilia Policastro. ASCz, CS, SE, b. 73, fasc. 1301, ff. 11-15.
[81] ASNa, SGC, CS, b. 80, f. 44: Lettera del 2 ottobre 1790.
[82] Ibid., f. 67: Dispaccio del 13 novembre 1790.
[83] Ibid., f. 256.
[84] Fra gli altri vantaggi c’era quello di poter annoverare anche i novizi e gli studenti, specialmente se già sacerdoti, fra il numero dei dodici missionari prescritti.
[85] Si tenga presente che, avendo ottenuto da pochi giorni il dispaccio del 23 ottobre, con cui fu abolito il Regolamento, p. Villani era tutto preso dalla preoccupazione di ripristinare lo stato giuridico della Congregazione, e ciò lo indusse a rifiutare decisamente qualsiasi proposta di autonomia.
[86] ASNa, SGC, CS, b. 80, ff. 46 e 52.
[87] Ibid., ff. 111 e 162.
[88] Il vescovo convocò anche il rettore di Tropea, p. De Buonopane, perché pare che tra i due ci fosse stato qualche dissenso. La relazione del vescovo di Catanzaro fu inviata a Napoli il 4 dicembre 1790. Ibid., f. 93.
[89] Fra i motivi addotti per dimostrare la sua mancanza di ambizione, p. Corrado ricordò le sue rinunce del 1781 e 1785.
[90] La figura del Vicario generale, con determinate facoltà concesse dal Rettore maggiore, si richiedeva solo per una maggiore autonomia nella ricezione dei candidati che, altrimenti, dovevano affrontare disagi e spese per recarsi a Pagani.
[91] Ibid., ff. 112-115.
[92] A proposito della scarsezza dei Padri, sosteneva: «Tutti i Padri che compongono l’intera Congregazione non sono più che 54, dei quali tolti almeno 15 fra decrepiti ed impotenti, restano 39. Questi debbono formare le famiglie per 8 case. Ma questi non sono sufficienti neppure per le 4 case di Calabria, mancandone nientemeno che 9 per compiere il numero di 48. Quanto dunque si compirà l’obbligazione di mantenere il numero di 12 Padri in ciascuna casa? Quando sarà che le case di Calabria daranno soddisfazione alla Provincia colle s. missioni? Dove si prenderanno i Padri?». Ibid., ff. 116-119.
[93] Il documento è firmato dai consultori p. Giovanni Mazzini, Giambattista Di Costanzo e Giuseppe Gaetano Cardone con firme autenticate dal notaio Luigi Pepe. Mancano quindi le firme degli altri tre consultori p. Diodato Criscuolo, Stefano Liguori (che si trovavano in Calabria) e Lorenzo Negri. Ibid., f. 125.
[94] Ibid., f. 161.
[95] Ibid., f. 214.
[96] A Tropea c’erano cinque padri, quattro fratelli e un garzone. Avevano predicato 14 missioni. ASCz, CS, SE, b. 73, fasc. 1306, f. 31. A Catanzaro la comunità era formata da cinque padri, un fratello e un garzone. Ibid., f. 33. A Stilo c’erano quattro padri e due fratelli. ASCz, CS, SE, b. 73, fasc. 1304, f. 70.
[97] ASCz, CS, SE, b. 73, fasc. 1306, ff. 52 e 81-82.
[98] A Stilo, che appariva più compromessa per l’esiguo numero dei religiosi, i sindaci si mobilitarono e nominarono un procuratore per difendere la presenza dei Redentoristi nella loro città e scongiurare la chiusura della casa. ASNa, SGC, CS, b. 80, ff. 248-251.
[99] Ibid., f. 256.
[100] ASCz, CS, SE, b. 1306, ff. 78-80. ASNa, SGC, CS, b. 81, ff. 29-38.
[101] Il p. Giovanni Mazzini morì il 3 dicembre 1792 a Pagani.
[102] ASNa, SGC, CS, b. 81, ff. 16-28. La richiesta dei parroci fu firmata da 10 sacerdoti; quella dei Patrizi da 23 esponenti della nobiltà catanzarese; quella dei cittadini da 232 persone. Tutte le firme furono apposte davanti al notaio e da lui autenticate. Il 17 settembre 1792 le richieste furono inoltrate a Napoli.
[103] ASCz, CS, SE, b. 73, fasc. 1308, f. 119.
[104] ASNa, SGC, CS, b. 81, ff. 49 e 76.