Fede e dintorni

I gesti parlano più delle parole

Rubrica quotidiana a cura di P. Salvatore Brugnano

Storie belle… per vivere meglio

I gesti parlano più delle parole.

– Papa Francesco quasi ci sta abituando a gesti sorprendenti: nella udienza generale di mercoledì 26 maggio ha baciato il “marchio” di una deportata ad Auschwitz.
– Sì, a margine dell’Udienza generale negli incontri ravvicinati il Papa ha abbracciato e benedetto Lidia Maksymowicz imprigionata nel lager nazista di Aushwitz quando non aveva ancora tre anni. E la donna non ha resistito a restituire il gesto affettuoso ed ha abbracciato con riconoscenza per l’onore ricevuto.
– Per Lidia Maksymowicz, donna di fede non c’è questione del perdono: «Non ho odiato i miei persecutori quando ero una bambina, non li odio adesso che ho più di 80 anni.
– La missione che ho scelto e che porterò avanti fino a quando vivrò è ricordare, parlare di quanto mi è successo. Raccontarlo soprattutto ai giovani, perché non permettano che accada mai più una cosa del genere».

Un bacio sul numero tatuato sul braccio del’ex deportata ad Auschwitz.
♦ A volte un gesto, come un semplice bacio, parla più di mille discorsi. Racchiude in sé tutta l’umanità, la tenerezza, la compassione che le parole non riescono a esprimere. Ancora una volta è stato il Papa a ricordarcelo e testimoniarlo.
♦ Il 26 maggio scorso, a margine dell’udienza generale tenuta nel cortile di San Damaso, papa Francesco ha baciato il marchio, il numero tatuato simbolo di prigionia e oppressione impresso sul braccio di Lidia Maksymowicz, deportata bielorussa nel lager nazista di Auschwitz Birkenau dove fu imprigionata quando non aveva ancora tre anni.
♦ Lidia Maksymowicz si è presentata a Papa Francesco mostrandogli il braccio con marchiato il numero 70072: «Avevo e appena entrata nel lager di Birkenau, uno dei campi di Auschwitz, mi hanno strappato dall’abbraccio di mia mamma per trasformarmi in una cavia del “dottor” Mengele».
Lidia, anzitutto, sorride mentre slaccia il polsino della camicia per arrotolare la manica e mostrare quel marchio a Francesco.
E il Papa, profondamente commosso, ha baciato il braccio della donna, proprio laddove la carne porta impresso il tentativo di cancellarne, con il nome, l’identità.

Quel marchio a Lidia glielo hanno vigliaccamente impresso quasi 80 anni fa, nel 1942, quando fu scaricata da un vagone piombato alla stazione stazione ferroviaria di Birkenau: «Mi strapparono dall’abbraccio della mamma e mi marchiarono… Il mio nome è Lidia Maksymowicz, ma non dimentico che per tre anni, fino al 1945, mi chiamavano con il numero 70072: per questo mi presento sempre mostrando il braccio marchiato».

♦ Come raccontò lei stessa all’incontro internazionale promosso dalla Comunità di Sant’Egidio nell’estate 2019 a Cracovia, passò tre anni nel “blocco dei bambini” subendo diversi esperimenti medici da parte del terribile dottor Mengele, di cui le sono rimasti impressi gli stivali tirati a lucido e lo sguardo da invasato.
♦ Della prigionia – disse nell’occasione – ricorda «la fame, i pidocchi, il terrore dei bambini all’arrivo dei medici e l’appello in cui venivano chiamati con i numeri che avevano tatuati sul braccio.
♦ I numeri mancanti – persone, bambini mai chiamati per nome – venivano sostituiti con gli ultimi arrivati, che condividevano con gli altri prigionieri il destino di affrontare il freddo nelle baracche e la spietatezza delle SS».
Un’odissea del dolore su cui si è chinata la compassione del Papa, testimone dell’amore di Dio per ogni uomo e donna. Con una particolare predilezione per il dolore innocente.

Per Lidia Maksymowicz, donna di fede non c’è la questione del perdono a chi l’ha rinchiusa in un lager quando aveva 3 anni, usandola come cavia per folli esperimenti, tanto che ricorda benissimo il volto e il tono di voce del famigerato Mengele.
«Non ho odiato i miei persecutori quando ero una bambina, non li odio adesso che ho più di 80 anni» afferma. «Se dovessi vivere pensando a odio e vendetta farei danno a me stessa e alla mia anima, sarei malata perché l’odio ucciderebbe anche me come ha ucciso quegli uomini che hanno seminato morte… La missione che ho scelto e che porterò avanti fino a quando vivrò è ricordare, parlare di quanto mi è successo. Raccontarlo soprattutto ai giovani, perché non permettano che accada mai più una cosa del genere».

♦ Alla vicenda di Lidia Maksymowicz è ispirato il docu-film “La bambina che non sapeva odiare” di Elso Merlo.
(fonte: cf web Avvenire.it e Vatican.va, 26 maggio 2021)

Nella udienza generale di mercoledì 26 maggio papa Francesco ha baciato il “marchio” di una deportata ad Auschwitz. Il Papa ha abbracciato e benedetto Lidia Maksymowicz imprigionata nel lager nazista di Aushwitz quando non aveva ancora tre anni. E la donna non ha resistito a restituire il gesto affettuoso ed ha abbracciato con riconoscenza per l’onore ricevuto. – Per Lidia Maksymowicz, donna di fede non c’è mai stata questione di perdono: «Non ho odiato i miei persecutori quando ero una bambina, non li odio adesso che ho più di 80 anni.. La missione che ho scelto e che porterò avanti fino a quando vivrò è ricordare, parlare di quanto mi è successo. Raccontarlo soprattutto ai giovani, perché non permettano che accada mai più una cosa del genere».

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