Rubrica quotidiana a cura di P. Salvatore Brugnano
Storie belle… per vivere meglio
Guarire dalla depressione con la fede.
Dalla tentazione di suicidio alla carità: la pasqua di padre Semeria (1867-1931) – Una testimonianza del barnabita di cui è in corso il processo di
beatificazione. Diceva: “Le malattie sono tutte brutte, i malati bisogna compatirli tutti e sempre. Ma la malattia della depressione compatitela molto”.
– Anche un testimone dei nostri giorni racconta la sua testimonianza: Dalla depressione si può uscire. «Vinco il pudore per dare speranza a chi si trova in questa situazione… Ho capito che per venire in aiuto a un fratello debbo necessariamente aprirgli il cuore, anche se mi costa».
La tentazione del suicidio assalì, durante una forte depressione negli anni 1915-1916, il barnabita padre Giovanni Semeria (1867-1931), di cui è in corso il processo di beatificazione. Grazie all’umiltà di chiedere aiuto in quel malessere e alla vicinanza assidua di varie persone riacquistò la salute e si diede alle opere di carità.
Leggendo quanto scrisse successivamente – «Le malattie sono tutte brutte, i malati bisogna compatirli tutti e sempre. Ma questa malattia compatitela molto» – con fondamento si può dire che l’aver attraversato e vinto quella “orribile tentazione” lo aprì alla carità verso i più bisognosi.
Fu reso capace di comprendere chi soffre proprio dalla sofferenza che lui stesso sperimentò, come si legge dagli scritti del periodo più acuto della depressione:
- «Sentendomi talora provocato al suicidio in momenti di grande tristezza, voglio qui protestare che se cedessi alla orribile tentazione, chiedo perdono a Dio e agli uomini… Mi sono accorto di essere ben diverso da quello che mi credevo, inferiore a ciò che mi credevano gli altri – inetto alla lotta della vita, che ho pure combattuto altre volte in circostanze non facili… Io non ho che da accusare me stesso – non ho nessuna ragione di lagnarmi degli altri… Non ho tenuto abbastanza accesa in me la fiamma della fede e della carità…. Me ne accuso, me ne pento – lo dichiaro perché dalla mia morte non si tragga argomento alcuno contro una fede alla quale anche morendo voglio rendere testimonianza. Ho la disperazione nell’animo – non sono più buono a niente… Non è la vita che è brutta, io mi sento oramai inetto a viverla utilmente per me e per gli altri… La provocazione diviene di giorno in giorno più grave, più forte… sento turbarsi la mia intelligenza e vacillare la mia volontà… le notti in specie sono tremende (1 marzo 1916).
- «Vi scrivo in un momento di grande tristezza… Non mi sento più lo stesso uomo di prima; idee nere, sentimenti poco buoni travagliano l’anima; vedo fosco l’avvenire… Domando anticipatamente perdono a tutti se la mia condotta non dovesse rispondere ai miei doveri. Ho una apatia immensa dentro; nulla mi interessa, nulla mi attrae…Fo uno sforzo in questo momento per scrivervi. E penso con invidia alla vita operosa dei confratelli di costì, alla loro bontà. Divento cattivo, mi sento cattivo… A volte mi pare di perdere la testa».
(da zenit.org)
Don Patricello si confida.
♦ Ci sono cose che non riveleresti mai a nessuno. Che fanno parte del santuario della tua vita intima. Ho capito, però, che per venire in aiuto a un fratello debbo necessariamente aprirgli il cuore, anche se mi costa.
♦ È successo poco tempo fa. Una signora sconosciuta mi ha raggiunto in chiesa e, piangendo, ha voluto raccontarmi la sua vita. La signora soffriva molto per una forma di depressione. L’ho ascoltata con attenzione, intervenendo poche volte nel suo racconto.
♦ Ma quando mi ha detto di essersi convinta che da quel tunnel non sarebbe mai uscita, ho avvertito il bisogno di raccontarle una storia. Una storia che conosco bene. Che è impressa nella mia carne e che le avrebbe dato un poco di conforto. Una storia che avrebbe potuto riaccendere in lei il fuoco della speranza. Una storia che conservo come un preziosissimo tesoro.
♥ Una storia che Don Patriciello condivide apertamente su Avvenire venerdì 8 maggio 2015.
Una storia tutta leggere e da condividere.