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di Calabria
I fichi d’India: dall’America meridionale al Sud
d’Italia
Importato in Italia in tempi lontani, il fico d’India è, forse, l’unico frutto non trattato con additivi chimici. Cresce facilmente nelle zone calde ed aride ed è un ottimo frutto estivo dagli effetti depurativi e rinfrescanti.
di Bruna
Fiorentino
foto Archivio Trophaeum
Tropea - Si notano subito attraversando la Calabria le piante dei fichi d’India, abbarbicate su alture impervie o in luoghi sassosi ed assolati sono parte integrante del paesaggio spesso arido e brullo dell’assetato Sud d’Italia. Spiccano come macchie di colore verde intenso ravvivate dal rosso, giallo ed arancio dei frutti, talmente caratteristiche da costituire un aspetto del territorio non solo di Tropea e dei suoi paesi limitrofi ma di tutto il meridione della nostra splendida Penisola.
I fichi d’India o fichidindia (opuntia ficus indica) appartengono alla famiglia delle Cactaceae, quella, per intenderci, del cactus e sono giunti in Italia dopo un viaggio lunghissimo. Originaria del Sud dell’America, infatti, questa pianta vive rigogliosa nella Cordigliera delle Ande e nelle Serre messicane. Fece la sua prima apparizione in Europa grazie a Cristoforo Colombo che l’aveva portata in Spagna, ma sembra siano stati i Saraceni ad introdurre i fichi d’India in Italia allorquando, nell’827, sbarcarono a Mazara, in Sicilia, da cui partì la conquista musulmana dell’isola.
Sia da un punto di vista estetico che prettamente botanico, questa pianta si presenta quasi come un unicum. Le sue radici altro non sono che le pale (cladodi), ossia le foglie carnose e piene di spine, che si sovrappongono generando in tal modo un arbusto senza tronco e senza rami. I suoi fiori sono di colore giallo ed i frutti, di forma ovoidale, crescono in cima alle pale e sono coperti di spine mentre la loro polpa, assai succosa e ricca di vitamine, contiene numerosissimi semi legnosi.
La pianta cresce molto rapidamente, senza particolari cure nei territori aridi raggiungendo i 3-5 metri di altezza e non ha bisogno di acqua, ad eccezione della fase iniziale quando una pala della pianta madre viene interrata per circa due terzi per permetterne la riproduzione. Per il resto attecchisce ovunque e con grande facilità tranne che alle basse temperature.
E’ fondamentale ricordare che il fico d’India non necessita di interventi chimici per potersi sviluppare ed è, quindi, una delle rarissime varietà di frutta che non subisce manomissioni da parte dell’uomo. Si tratta, perciò, di un prodotto che andrebbe meglio diffuso e consigliato per le nostre tavole e per la dieta mediterranea, nella quale entra a pieno titolo per la sua quantità di vitamine e di acqua.
I fichi d’India hanno una funzione depurativa anche a livello epatico e sono raccomandati nei casi di calcolosi renale in quanto favoriscono la diuresi. Nelle giuste quantità hanno un effetto blandamente lassativo anche se i semi legnosi contenuti nella polpa possono provocare stitichezza.
Inoltre le pale vengono utilizzate per curare diverse patologie quali angine, tonsilliti, tossi, febbri, suppurazioni ed ascessi. Una curiosità è che anticamente esse venivano addirittura usate per levigare il legno.
La raccolta dei fichi d’India richiede una tecnica ancora a livello non meccanizzato in quanto a tutt’oggi viene adoperato il caratteristico “coppo”, una sorta di contenitore a forma di tronco di cono sulla punta di un bastone.
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