Rubrica quotidiana a cura di P. Salvatore Brugnano
Storie belle… per vivere meglio
Ero in carcere e siete venuti…
Ero in carcere e siete venuti a trovarmi. Addirittura con un corso di esercizi spirituali. Un momento eccezionale di vita cristiana, visto che Gesù parlava certamente sul serio quando disse «ero in prigione e siete venuti a trovarmi» (Matteo 25, 36). Esercizi spirituali francescani per ladri e briganti. E’ stato proprio bello trovarsi con quindici detenuti, quindici ragazze del liceo delle scienze umane di Casale Monferrato, con alcuni amici della cooperativa sociale Company, con suor Margherita delle suore francescane missionarie di Susa a parlare, a riflettere, a ridere, a mangiare. Una esperienza intensa nella quale Gesù ha fatto sentire davvero la sua presenza. – Vale proprio la pena trovare qualche minuto per leggere questa singolare esperienza di un frate francescano.
“Lunedì 4 dicembre. Una mattina gelida, con le Alpi innevate come sfondo, parto dal convento e mi avvio verso la sede dei miei esercizi spirituali, il carcere di Alessandria; ci conosciamo già con alcuni dei detenuti da poco più di un anno, da quando abbiamo realizzato il progetto Fratelli briganti, partito da un testo di fra Fabio Scarsato, Wanted. Esercizi spirituali francescani per ladri e briganti.
♦ Era stato proprio bello trovarsi con quindici detenuti, quindici ragazze del liceo delle scienze umane di Casale Monferrato, con alcuni amici della cooperativa sociale Coompany & nella quale sono formatore, con suor Margherita delle suore francescane missionarie di Susa a parlare, a riflettere, a ridere, a mangiare.
♦ Di solito alla parola “esercizi spirituali” si collega l’idea e il ricordo di giorni tranquilli, sereni, serviti e riveriti, in qualche splendida struttura accogliente. Magari con un bravo “predicatore” che firmerà copia di un buon libro scritto da lui.
♥ Qui invece la vita del carcere mi ha fatto entrare in contatto con le guardie, gli educatori, i detenuti, il silenzio mi auguro. All’ingresso il comandante della sezione, nel salutarmi, mi ha detto sorridendo: «Noi ci stiamo tutto l’anno, qui», sottinteso «lei una settimana».
Il direttore ha pensato bene di suggerirmi di non stare solo negli spazi istituzionali dei colloqui, della palestra, della cappellina, ma di andare nei corridoi delle celle, pardòn delle camere di detenzione: ed ho capito il perché molto presto. Ogni cella è un mondo: foto dei figli (della moglie no perché farebbe troppa nostalgia), provviste d’acqua minerale, libri — ma non in tutte — piccoli lavori artistici, addirittura un galeone in miniatura fatto col legno delle cassette di frutta, soprammobili costruiti con stuzzicadenti e saponette istoriate e ovviamente profumate.
♥ Ogni giorno sono stato invitato a pranzo in una cella diversa, con straordinari menù inaspettati. E quel tavolo di lavoro è diventato una tavola imbandita, attorno alla quale si sono avviati poco alla volta colloqui e confidenze sempre più profonde e coinvolgenti.
♥♥ Come quando mi hanno spiegato che la maggior parte di chi ha deciso di cambiare, lo fa perché una donna ha preso coraggio, ha messo le mani sui fianchi e guardando negli occhi il marito lo ha messo davanti alla vita, magari anche alla vita di figli.
♥♥ O come quando gridavano la nostalgia di non aver finito nemmeno la scuola media, lasciando trasparire la paura che altri ragazzini ripercorrano la loro stessa strada malavitosa, nella stessa cultura, cominciando appunto da quell’età in cui bisognerebbe invece cominciare a gustare la bellezza di sapere di più, di scoprire di più, di cantare, di giocare in squadra, di affacciarsi alle amicizie, di gioire del proprio corpo ammirato da altri e da altre.
♥ E alla loro tavola sono uscite anche le domande: Ma perché un frate, figlio di san Francesco, ha voluto stare proprio qua, non di passaggio, ma per giorni, consecutivi, condividendo tutto il possibile? –
E con pudore rispondevo che mi aspettavo di stare nudo con uomini nudi, senza attese, senza niente da chiedere né da domandare.
Per condividere almeno un poco di cammino. Solo col desiderio di incontrare una parte di umanità ferita e che ha ferito, dolorante dopo che ha inferto dolore, ma che Dio guarda con gli stessi occhi con cui guarda me, gli occhi di un padre che prova commozione e misericordia proprio nel vedere i suoi figli messi così male.
♦ ♦ Un altro mondo. Certo, volevo vivere gli esercizi spirituali: allora ho onora l’impegno e non mi sono tirarti indietro!
♥ Poi, piano piano sono cominciate le richieste che desideravo: un colloquio, una confessione, ma una confessione fra il detenuto e Dio, mediata da un povero frate e non da un avvocato d’ufficio o rilasciata davanti a un magistrato. Ed ecco il momento più profondo e coinvolgente: l’esperienza sacerdotale che scuote cuore, formazione ricevuta, esperienze vissute.
♥ Dopo una mezzora di consegna del proprio peccato, di rimorso del dolore tremendo inflitto ad altri, di senso di responsabilità verso moglie e figli arriva il momento del perdono, dell’assoluzione… Quello che chiamiamo “criminale” chiede che la sua vita non precipiti nel vuoto, nel nulla, e chiede a Gesù: “Ricordati di me!”.
♥ “Io ti assolvo…”, ma come fai, mio Signore, a perdonare quella montagna di peccato, di vendetta, di violenza che sta qui per terra, fra me e quest’uomo? Io ti assolvo, ma allora anche per me, per tutti tu sei il Dio più grande di sbagli colpevoli e vigliaccate.
Ed ora un’altra testimonianza, ma nel senso cristiano (non da tribunale). Il pomeriggio del 6 dicembre qualcuno mi ha chiamato per dirmi che c’era un nuovo arrivo, da un altro carcere. Sono andato a salutarlo, a stringere un’altra mano non più assassina: “Salve, come va? Sono fra Beppe”. “Un frate?”. “Sì”.
♥ Ed allora ha sbottonato la camicia e mi ha mostra con gioia un rosario, dicendo sottovoce: “Me lo ha regalato Papa Francesco”. Il mio sguardo era perplesso… Come avrà mai fatto? – “Il Papa è venuto e ci ha lavato i piedi, era giovedì santo, ce li ha baciati e ha alzato lo sguardo. Dentro di me si è risvegliato qualcosa, ho sentito la nostalgia di una preghiera, di una amicizia col Signore. Non ero più quello di qualche ora prima!”.
♦ Nel mio cervello è partito un flash. Fulminante, pensando alla comunicazione elementare e potente di Papa Francesco fatta di piccoli gesti: abbracci, carezze come faceva Gesù di Nazareth che così arrivava al centro della vita delle persone.
♦ Ed io ho toccato l’efficacia della misericordia comunicata proprio come faceva il buon Pastore.
Grazie ai gesti e sguardi di Papa Francesco, vescovo di Roma, successore dell’apostolo Pietro che il carcere lo provò.
(fonte: cf Osservatore Romano, 21 dicembre 2017).