Cosa succede, nel momento in cui la crescita si ferma?
Un’analisi della realtà politica deve andare oltre la tendenza al “tifo”
Quando si parla di ostacoli alla comprensione dell’attualità economica da parte del cittadino medio, è raro che i critici del sistema dominante si trovino così d’accordo come sull’importanza di debellare il pregiudizio che recita che il bilancio di uno Stato deve essere gestito alla pari di un’economia domestica. La maggiore preoccupazione riguardo a quest’ultima è, naturalmente, che le uscite non siano superiori alle entrate. Ciò significherebbe “vivere al di sopra dei propri mezzi”.
Si può usare la stessa logica parlando di uno Stato, di una intera comunità e della quantità di denaro che “entra” in essa ed “esce” da essa? Iniziamo col dire che di fatto (prima che di diritto) l’esistenza delle banche moderne e la loro funzione di concedere credito rendono la logica dell’economia domestica un nonsense a livello pratico quando si parla di una comunità presa nel suo intero (in aggregato, come dicono gli economisti).
Prendiamo, ad esempio, un’economia in crescita. Quando una banca privata concede un prestito essa non fa altro che addebitare sul conto del cliente la cifra prestata. La banca, nella sua struttura attuale, non necessita di avere una riserva di contanti coincidente con il prestito richiesto. Essa necessita soltanto di avere una certa quantità di contanti (riserve) che le vengono, in genere, forniti dalla Banca Centrale. La logica di fondo è che, nell’economia moderna, il denaro viene “creato” ogni qual volta un istituto di credito reputa un cliente affidabile nel suo poter creare ricchezza tramite la quale, poi, ripagare il debito. Si noti: mentre a livello individuale una persona deve, almeno nel lungo periodo, necessariamente saldare il debito e non avere disavanzi rispetto a terzi, a livello aggregato i guadagni di un primo debitore, con i quali egli salda il debito, possono provenire dal debito di una seconda persona, contratto con una seconda banca. Questo debito può essere di entità maggiore (magari perché l’economia è cresciuta ulteriormente e così la fiducia della banca nel concedere credito). Il circolo virtuoso che può potenzialmente formarsi è ora evidente. Mentre, nella sua singolarità, ogni debito deve essere ripagato e la corrispondente moneta in circolazione “riassorbita” dal sistema bancario, non vi è un limite teorico a quanta nuova moneta possa essere messa in circolazione in aggregato tramite questo sistema. Questo perché, ogni volta che essa viene messa in circolazione, si basa sul presupposto dall’ “atto di fiducia” che il contraente andrà a creare nuova ricchezza che gli verrà ripagata, a sua volta, da ulteriore nuova ricchezza venuta alla luce sempre nella stessa maniera.
In un’economia in crescita, il circolo virtuoso descritto fa sì che, almeno idealmente, la quantità di denaro in circolazione in un certo momento corrisponda ad una certa quantità di beni e servizi potenzialmente creati. L’aumento di tale quantità, provocato da aspettative positive, corrisponde perciò ad un aumento di questa potenziale creazione di beni e servizi. E’ totalmente fuori luogo, dunque, usare la logica dell’economia domestica a livello di una società presa nel suo insieme.
Cosa succede, però, nel momento in cui la crescita si ferma? Ciò può accadere, ad esempio, perché un certo numero di individui non riesce a saldare i debiti. Questi individui possono aver visto il loro reddito abbassarsi a causa nella competizione di altri attori economici. Se imprenditori, possono soccombere in favore di aziende più avanzate; se dipendenti, possono essere stati impiegati nelle aziende che hanno perso quota di mercato ed essere licenziati o costretti ad accettare salari più bassi. A meno di non ipotizzare un mercato perfetto, in cui lavoratori e aziende siano perfettamente adattabili ad ogni necessità di modifica, questo porta ad uno squilibrio di ricchezza in cui i “vincitori” accumulano denaro, lo investono in nuovi progetti o in circuiti speculativi e gli “sconfitti” tendono a spendere di meno e a non poter ripagare i debiti. Il consumo aggregato, inevitabilmente, diminuisce e, con esso, le transazioni e i redditi, in un circolo vizioso che è l’inverso del precedente. E’ quella che chiamiamo recessione, che può anche esplodere in modo violento nel caso in cui complessi spostamenti di liquidità creati da scommesse finanziarie rendono le banche diffidenti l’una dell’altra. In ogni caso, è innescato un meccanismo opposto al precedente: gli istituti di credito privati vedendo i redditi abbassarsi percepiscono come pericoloso concedere prestiti e ciò non fa altro che esacerbare circolarmente la recessione.
Questa è precisamente la situazione che stiamo vivendo oggi. Cosa dovrebbe fare lo Stato per cercare di sopperire alla mancanza di credito delle banche private e far così ripartire il circolo virtuoso della crescita? Abbiamo visto che, considerando una società nel suo complesso, una immissione crescente di moneta è coerente con lo stimolo a creare beni e servizi in quantità crescente. Nel momento in cui le banche private si ritraggono dal finanziare una potenziale crescita, la soluzione coerente con questo quadro sarebbe l’intervento massiccio dello Stato che, con l’emissione di denaro non proveniente da istituti privati, decide di procedere con investimenti pubblici, assunzioni ed elargizioni di liquidità verso i settori più critici della popolazione. Tale impulso è la condizione necessaria per far ripartire il circuito che vede incentivarsi a vicenda l’aumento dei consumi e degli investimenti trainati dal credito privato. Ma può essere attuato solo spendendo incondizionatamente “a deficit”.
Può la struttura monetaria coincidente con l’Euro intraprendere questo percorso risolutivo?
Essa ne è impossibilitata, per almeno tre motivi:
– Le istituzioni monetarie Europee sono state appositamente create in modo che l’unico modo per immettere liquidità nel sistema sia attraverso il prestito di istituti privati. Persino il così detto Quantitative Easing lanciato recentemente da Mario Draghi non è progettato per superare questo dogma: esso si basa prevalentemente sulla speranza che la liquidità nuova di zecca immessa nelle banche comprando titoli di Stato (pochi, a dir la verità) che queste detenevano venga usata per fare credito all’economia reale. Ma ciò potrebbe avvenire solo se le banche possedessero già le aspettative di una crescita economica, come detto sopra.
– La filosofia per cui il bilancio di uno Stato non sia differente da quello di un’economia familiare è entrato persino nella Costituzione Italiana e in quella di quasi tutti gli altri membri dell’Eurozona, che ora impongono l’obbligo del pareggio di bilancio.
– Pur supponendo un’ipotetica manovra espansiva con una massiccia dose di investimenti e occupazione finanziata con denaro fresco, è la stessa natura dell’Euro come cambio rigido a rendere l’Europa una zona perennemente instabile. A meno di non supporre, ancora, un mercato perfetto, che si sviluppa allo stesso modo con la stessa velocità e gli stessi prezzi in ogni luogo, una differenza nella crescita dell’inflazione è inevitabile tra gli stati Europei. Questo diventa un problema serio nel momento in cui il cambio rigido impedisce un riequilibrio della competitività delle esportazioni dei vari stati. Può sembrare un problema secondario, un dettaglio, se non fosse che è riconosciuto dagli analisti come la vera e propria causa degli squilibri della zona Euro che stiamo vivendo oggi.
Un’analisi critica della realtà politica deve andare oltre la tendenza al “tifo” verso una fazione o verso un’altra e, soprattutto, deve superare la caratteristica principale di questa tendenza. Ovvero, prendere come articoli di Fede determinati giudizi intuitivi che, messi in bocca al politico di turno, utilizzano la loro intuitiva bellezza comunicativa e semplicità logica per irrorare di un senso di serietà e competenza l’immagine di tale politico. I due giudizi intuitivi più pericolosi al giorno d’oggi sono il dogma del bilancio statale interpretato come un’economia domestica e l’equivalenza moneta unica = progresso ed unità dei popoli Europei. Uno studio dei pregiudizi idealisti sui quali queste teorie si fondano dovrebbe essere alla base di un atteggiamento che sia veramente politico e non di “appartenenza”.