DRAPIA E DINTORNI
(Itinerario storico culturale)
testo di Giuseppe Vita
foto Salvatore Libertino
A
5 km da Tropea, nella provincia di Vibo Valentia, sorge, a
ridosso di una lussureggiante collina, il pittoresco paese di Drapia.
Il viaggiatore che, lasciata la città di Tropea, si dirige lungo la strada provinciale
per Vibo Valentia, appena dopo 3 km, al primo bivio svolterà a sinistra e, dopo aver
percorso altri 2 km, attraversato labitato di Gasponi, arriverà dritto al paese di
Drapia.
Le origini e la storia.
P
robabilmente il primo nucleo del paese dovette sorgere in età
prebizantina, prendendo il nome dalla vicina città di Tropea, storpiato col tempo in Drapea e oggi in Drapia.
Lorigine del toponimo potrebbe essere legato al fatto che, in quel periodo, tutto il
territorio intorno a Tropea faceva parte della Massa Trapeas (masseria tropeana),
di proprietà della Chiesa Romana, costituita da grandi concentrazioni di latifondi
contigui, case coloniche, greggi, chiese e monasteri.
A capo di essa vi era un Rettore, nominato direttamente dal Papa, il quale delegava
lamministrazione ad un "conductor" (conduttore) il quale aveva il
compito di riscuotere gli affitti dei coloni che occupavano le diverse terre in cui la
massa era suddivisa.
Con molta probabilità, i primi abitanti del paese dovettero essere gruppi di popolazione
non stabile, appunto coloni, che col tempo andarono a costituire un vero e proprio
villaggio.
Labitato si estese durante il periodo bizantino quando, nellanno 700, fu
edificato il monastero greco di San Sergio e Bacco e intorno al IX secolo, quando la
città di Tropea fu liberata dalle mani dei pirati islamici dal generale Niceforo Focas
(poi detto il Vecchio) mandato nell885 dallimperatore bizantino Basiolio I il
Macedone a riconquistare tutto il sud dItalia che era schiacciato dalla pressione
araba e longobarda. Come dice il Fiore questi pirati, dopo essere stati scacciati dalla
città, si rifugiarono verso linterno fondando diversi villaggi e probabilmente
incrementando quelli già esistenti.
Alla dominazione bizantina si sostituì quella normanna, causa ed effetto di notevoli
sconvolgimenti, sia in campo economico-strutturale con lintroduzione del sistema
feudale, sia in campo culturale con la sostituzione della liturgia della lingua greca con
quella latina.
Al dominio normanno successero quello svevo, angioino e aragonese.
La fine del medioevo e linizio delletà moderna fu un periodo particolare,
caratterizzato cioè da abbondanti produzioni grazie al lavoro delluomo, ma
innanzitutto alla ricchezza del terreno. La grande fertilità dei campi e quindi
linsieme delle culture agricole del luogo sono presenti nellemblema del paese,
formato da tre spighe di grano, un monte verde, una spada e una scimitarra incrociate a
simbolo della lotta che in epoca passata i drapiesi dovettero
sostenere contro i pirati saraceni. In questo periodo Drapia è uno dei 23 Casali
dipendenti da Tropea. Dal capoluogo, i casali erano considerati "università (comuni)
rurali", ma dipendevano in tutto e per tutto da Tropea. A capo di essi vi era un
"amministratore sindaco" nominato dai sindaci della Città capoluogo, il cui
compito essenziale era la riscossione delle tasse. Non poche volte questi villaggi si
coalizzarono per ribellarsi al capoluogo che li opprimeva al pagamento di grosse somme.
A differenza del 6oo che per la Calabria è stata unepoca di forte crisi, a
tal punto da farla regredire di molto rispetto ai secoli precedenti, il 7oo fu un
periodo florido.
A Drapia, in questo periodo, abbondavano vino, frutta dogni genere, olio e legumi;
fiorente era anche il commercio con molti paesi del regno di Napoli, con lo Stato Pontificio e il Veneto. Essendo gente industriosa,
la gente di Drapia fu la prima nel circondario di Tropea a dare vita allindustria
serica, del lino e del cotone.
La fiorente economia e quindi gli affari che andavano a gonfie vele convincevano i tanti
nobili di Tropea, proprietari di molte terre nei 23 Casali e quindi di gran parte della
produzione, a soggiornare spesso in questo villaggio.
Nel XIX secolo, con la fine del controllo di Tropea sui Casali e con larrivo di
Napoleone, vi fu uno sconvolgimento radicale dellamministrazione di tutto il regno
il cui assetto amministrativo veniva completamente ridisegnato.
Nel 1812 fu ufficialmente istituito il Comune di Drapia e ad esso furono aggregate le
frazioni di Gasponi, Brattirò e Caria.
In quegli anni il paese comprendeva, oltre alle case di campagna, quattro quartieri:
Canchi, Carcara, Celsi e Stretto. Le principali risorse erano date dal commercio e
dallartigianato locale e se anche le condizioni di vita erano migliori di altre
località, non possiamo certo ritenerle floride.
Lunità dItalia, agli inizi, portò con sé tutta una serie di gravi
conseguenze: il brigantaggio e lemigrazione, con il conseguente svuotamento di tutti
i paesi del sud. I drapiesi emigrarono in massa, allestero e in molte città del
nord Italia.
Il XX secolo è stato caratterizzato innanzitutto da una serie davvenimenti che
sconvolsero in modo radicale la vita del piccolo paese, a cominciare dai primi anni con i
catastrofici terremoti dell8 settembre 1905 e del 28 dicembre 1908. Oltre agli
ingenti danni causati alle abitazioni, lo sconforto creatosi tra i cittadini fu talmente
lacerante che obbligò ancora una buona parte a scegliere la strada dellemigrazione.
I segni di una mancata ripresa economica favorita dal lavoro dei campi, così come
cera stata in altri periodi, ma anche una auspicata espansione urbana è tutt'oggi
leggibile tra le stradine e le case che parlano di un tempo dimenticato e molto remoto.
Itinerario di visita
L
a visita ha inizio dai mulini ubicati lungo la fiumara
Brummaria che scorre in una gola vicino allabitato di Drapia.
Prima di arrivare in paese, a destra del ponte sulla detta
fiumara, incontriamo il primo
dei mulini, quello De Rito. Questo mulino è ad un solo livello, in pietra granitica
locale con volta a botte costruita in conci di pietra parzialmente squadrata disposta a
coltello. Particolare è la "saitta" a forma di tronco conico, che differisce da
tutti gli altri presenti nella zona a tal punto da rendere la costruzione peculiare come
tipologia. Oltre al locale per la molitura, ne troviamo un altro destinato al ricovero
dellasino. Risalente probabilmente al periodo medioevale, subì vari interventi di
ristrutturazione nel 700 e nel 800.
Attualmente il mulino giace in pessime condizioni ed è inagibile.
Salendo verso il colle, a poche centinaia di metri, immettendosi per una stretta stradina,
incontriamo il mulino Loiacono risalente allo
stesso periodo di quello De Rito, ed è ancora in attività. E costruito su un
solo livello in pietra granitica locale e ha una copertura a volta a botte, in conci di
pietra disposti a coltello.
Continuando verso il paese, il nostro itinerario prosegue con la Chiesa della Madonna del Carmine,
ubicata allinizio dellabitato davanti al municipio. Attualmente è inagibile e
chiusa al culto. La sua fondazione risale al 1890 e fu
edificata da Michele Mazzitelli. Consta di un unico ambiente di forma rettangolare privo
dabside. Il lato che prospetta sulla strada poggia su due gradini e reca sui propri
stipiti un paramento in blocchi di pietra granitica.
Proseguendo per il caratteristico Corso Umberto I, un tempo totalmente pavimentato in
pietra e purtroppo coperto nel secolo passato con asfalto, camminando tra antichi palazzi decorati con splendidi portali e balconi in granito e pietra
tufacea, si incontra la Chiesa
dellImmacolata Concezione che è lattuale chiesa parrocchiale di
Drapia. Non conosciamo quando essa fu edificata, ma doveva già esistere nel 500. Nel corso dei secoli subì vari interventi, a conferma
di ciò, negli anni 60, durante gli scavi compiuti per la
sostituzione del pavimento, sono state portate alla luce le fondamenta di un edificio più
piccolo.
In quel primo periodo, la chiesa era dedicata a San Pietro Apostolo,
successivamente assunse il titolo di Chiesa dellImmacolata Concezione. La costruzione dellattuale
abside risale alla fine dell800.
Il terremoto del 1908 fu causa di danni in parte irreparabili; il soffitto, crollato
completamente, venne ricostruito in legno e coperto di tela, ma solo trentanni dopo
furono possibili interventi definitivi di restauro.
La chiesa si presenta oggi di forma rettangolare con abside semicircolare e la volta a
botte. La facciata con timpano è decorata con un rosone in vetro colorato e ferro
battuto. Il campanile a pianta quadrata è decorato da monofore e pseudo monofore ogivali.
Al suo interno, di stile composito con stucchi e marmi di pregevole fattura, possiamo
trovare diverse opere degne di rilievo, tra cui il ciborio
(XVII sec.); la statua lignea della vergine Immacolata, in
stile liberty (XIX sec.), di San Michele Arcangelo (XIX
sec.), di Santa Domenica (che si dice proveniente dal
convento di San Sergio e Bacco) (XVII sec.), di San Nicola
(1897); una tela dellultima cena (probabilmente
proveniente dal convento di San Sergio e Bacco) di Domenico Finoglia da Napoli (1670); una
tela raffigurante la deposizione di nostro Signore Gesù
Cristo (copia di un quadro più grande che si trova nella Cattedrale di Perugia), di
Vincenzo Basile (XIX sec.); una tela della Madonna del Carmelo,
con San Nicola (a destra) e San Francesco di Paola (a sinistra) di F. Bagnati (1840).
Attaccato alla chiesa parrocchiale, si trova loratorio di San Michele, di proprietà
della confraternita. Non sappiamo quando esso fu edificato, ma dovette sicuramente subire
delle modifiche nel corso dei secoli. Al suo interno si possono trovare diverse opere
darte; un ciclo dotto tele che raccontano la vita di Maria: la natività di Maria (XIX sec); la presentazione
al tempio di Maria (XIX sec.); lo sposalizio di Maria e
Giuseppe (XIX sec.); lannunciazione (1800); il miracolo della verga, (XIX sec.); la natività
di Gesù, (XIX sec.); ladorazione
dei Magi (1808); lincoronazione di Maria (1809).
Si trovano altresì: una tela dellarcangelo Raffaele
(XIX sec.); un quadro rappresentante langelo custode
(XIX sec); una tela di Santa Domenica di Vincenzo Basile
(1848); una tela di SantAntonio
di F. Bagnati (1840); una statua della Madonna
del Carmelo (proveniente dalla chiesa, ora abbandonata, a lei dedicata) (XIX sec.);
parte di un coro ligneo parzialmente distrutto.
Continuando la visita al centro storico di Drapia, dopo aver percorso tutto il Corso Umberto I,
arrivati in Piazza IV Novembre, continuando sempre dritti, dopo un breve tratto in
discesa, arriviamo ad una piccola edicola
dedicata a San Sergio Martire, che ricorda lantico monastero che sorgeva nelle
vicinanze e del quale sono ancora visibili i resti. Il monastero era ubicato nella valle
tra Drapia, Alafito (poi andato distrutto) e Zaccanopoli. Fu edificato nellanno 700 dai basiliani, quale monastero di San
Sergio e Bacco. Il cenobio fu meta di vari santi penitenti. Era fornito
dorto, di un proprio boschetto e di una fonte
dacqua salubre (che scorre ancor oggi) detta "Vardaro".
Sempre meta di pellegrinaggi da parte dei cittadini di Tropea, nellanno 1221, con una bolla di Onorio III, il monastero ricevette una
visita particolare, quella di due delegati apostolici, cioè del Vescovo di Crotone e
dellAbate di Grottaferrata. Avanti negli anni i basiliani lo abbandonarono perché
ledificio stava andando in rovina per il cedimento del sottosuolo. Dopo essere stato
riparato, il vescovo di Tropea, Nicolò Acciapaccia, nellanno 1421, lo consegnò ai Francescani, che lo rifondarono come Convento di San Sergio e Bacco.
Proprio in questo periodo vi fu guardiano San Bernardino da Siena.
Per secoli si conservò nel convento lo scudo che il santo portava con sé nelle sue
missioni. Successivamente, il terremoto del 5 febbraio 1783 lo distrusse in maniera tale
che ai giorni nostri non rimangono che pochi ruderi, qualche quadro,
una statua di Santa Domenica,
conservati nella chiesa parrocchiale di Drapia e il tabernacolo,
che fu trasportato nella chiesa parrocchiale di Caria.
Ritornando indietro verso Piazza IV Novembre e proseguendo dove labitato confina con
le campagne, troviamo la cappella della Madonna del Carmine.
Inizialmente, nel 1861, ci doveva essere
unedicola dove era venerata la Vergine del monte Carmelo e dove, col tempo,
nellanno 1908 fu edificata lattuale cappella. La devozione del popolo è tale
che, nellanno 1991, fu restaurata integralmente. Ha forma rettangolare senza abside
e le mura sono completamente intonacate. Non presenta nessun pregio
artistico. Di qualche rilevanza artistica è la pittura
dipinta su maiolica, rappresentante la vergine del Carmelo,
custodita al suo interno (1861).
Ripercorrendo la stessa strada, girando a destra al bivio continuiamo la nostra visita
dirigendoci verso Gasponi.
S
orto probabilmente in età prebizantina, col nome di Chespanum o Chespano, inizialmente
Gasponi si dovette sviluppare nella parte antica dellattuale paese e in prossimità
del fiumicello Cheo (ora torrente Lumia) dal quale, secondo
il Barrio, successivamente labitato prese il nome. E probabile che il paese
sorse nellambito degli insediamenti rurali nella già citata "masseria
tropeana" come gruppi di popolazione non stabile, che col tempo andò a costituire un
vero e proprio villaggio.
Labitato dovette accrescersi nel periodo bizantino e ulteriormente intorno al IX
secolo quando, come ci dice il Fiore, furono fondati molti villaggi della zona.
Gasponi, così come fu per Drapia, visse sotto la dominazione
normanna sostituitasi a quella di Bisanzio e subì le conseguenze del cambiamento in ogni
settore, sia economico che culturale.
Nel 5oo Gasponi faceva parte dei 23 Casali di Tropea. Era un centro agricolo dove
abbondava la produzione dellolio alternando periodi di floridezza e crisi.
Il secolo successivo si presenta addirittura come un periodo di completo regresso:
leconomia non risponde né al lavoro delluomo né alla fertilità dei campi e
questo fu causa di un inevitabile decremento demografico. Come se ciò non bastasse,
sempre nel 600, Gasponi che pure disponeva di tre Torri
per la difesa del suo territorio, era impegnata per la difesa contro le continue
incursioni piratesche. Le Torri avevano la funzione di avvertire la popolazione, con
fuochi o suono di campana, a seconda dellora del pericolo ed erano dislocate in vari
punti strategici lungo il territorio:
Il 7oo fu, in grandi linee, un periodo di benessere per Gasponi
con abbondante produzione di verdura, cereali, ulivi e frutta dogni genere. Vi si
coltivava il lino e le piante di cotone ed era praticata la produzione ed il commercio
della seta.
Vi era abbondanza d'acqua che veniva utilizzata per lirrigazione dei campi e che
andando verso valle, alimentava alcuni mulini.Vi era, inoltre, una fonte che forniva
ottima acqua in quantità. Molti nobili di Tropea erano soliti risiedere in questo
villaggio.
Nel 1812, Gasponi entrò a far parte del Comune di Drapia, insieme alle frazioni di Caria
e Brattirò.
Nel paese, in questo periodo, lattività prevalente era lagricoltura e se
anche nella nostra zona vi era un relativo benessere, le condizioni di vita non si possono
ritenere certo migliori che altrove. A ciò si aggiunse lunità dItalia con
tutte le sue conseguenze, dal brigantaggio che diruppe violentemente, allemigrazione
causata dalle cattive condizioni in cui si era costretti a vivere.
Il secolo XX fu un periodo di sconvolgimento radicale sin dagli inizi. Infatti, in seguito
al terremoto dell8 settembre 1905 e del 28 dicembre 1908, che distrusse gran parte
dellabitato di Gasponi, molti abitanti rimasero senza tetto. Per essi si costruirono
circa cento baracche ed essendo la chiesa parrocchiale gravemente danneggiata in quegli
anni fece da chiesa una baracca di legno. Il regio decreto (convertito poi in legge)
stabiliva, fra gli altri articoli, che la costruzione per lampliamento
dellabitato doveva essere fatta nella contrada S. Angelo. Nel 1914 il Genio Civile
dava inizio alla pratica dello spostamento per disposizione del Ministero Direz. Gen. dei
servizi speciali. Successivamente per lopposizione della popolazione, il progetto fu
abbandonato e lampliamento si fece vicino al vecchio centro abitato.
Nel paese di Gasponi, appena lasciata Drapia, percorriamo viale Che Guevara e giriamo al
bivio a sinistra. Dopo aver percorso per un breve tratto via Cesare Battisti, arriviamo in
Piazza Giovanni XXIII, dove il nostro itinerario prosegue con la visita alla chiesa di SantAcendino
Martire.
Attuale chiesa parrocchiale fu iniziata nel 1935 dallopera interdiocesana per le
chiese terremotate di Calabria e ultimata soltanto nel 1957 a causa di varie
vicissitudini. Ha assunto il suo presente aspetto tra gli anni 60 e 70.
Lesterno, come linterno, è di stile romanico. Sulla facciata, con timpano, si
notano due lesene e il portale sovrastato da uno stemma. A destra si innalza il campanile,
a pianta quadrangolare. Nel suo interno, a navata unica con abside semicircolare decorato
da una serie di lesene che si congiungono nel catino, si possono trovare pregevoli opere
provenienti, per la maggior parte, dalla precedente chiesa. Tra esse il ciborio (XVIII sec.); una tela raffigurante la Vergine del Carmelo
tra gli angeli i Santi Acendino e compagni (a sinistra) e San Carlo Borromeo (a destra)
(XVIII sec.) che qualcuno attribuisce a Giuseppe Grimaldi; un crocifisso
ligneo (XVIII sec.); una scultura lignea della beata Vergine
del SS. Rosario attribuita a De Lorenzo di San Pietro di Caridà (XVII sec.); una
scultura lignea di San Nicola (XVIII sec.); una scultura
lignea di SantAcendino di Corrado Rungaldi
dOrtisei (Bolzano) (1969); una tela raffigurante la Sacra
Famiglia, Santa Elisabetta e San Giovanni Battista eseguita da Pietro Chiapparo
(pittore tropeano) (1888); un armonium (o armonio) di A.
Dobois di Parigi, (primi del 900). Inoltre sono conservate una statua lignea della Madonna addolorata (XVIII sec.); una piccola riproduzione della Madonna di Romania di Pietro Chiapparo (1890).
Lasciata la chiesa di SantAcendino, continuando sempre dritti per via Michele
Bianchi, dopo pochi metri, giungiamo alla chiesa di Santa Domenica.
Attualmente sconsacrata, probabilmente fu edificata nel periodo medioevale. Funzionò per
qualche centinaia danni. Dopo qualche tempo dabbandono fu riconsacrata il 7
novembre 1729 (o 1709), ma in seguito fu di nuovo abbandonata e quindi adibita a frantoio.
Lattuale edificio consta di due ambienti rettangolari in asse fra loro, di diverse
dimensioni: il piccolo fungeva da santuario, senza abside, il più grande da navata unica.
Essi sono separati da un arco a tutto sesto, ampio per tutta la dimensione della larghezza
del santuario. Sopra la chiave dellarco sporge una mensola in pietra usata come
probabile sostegno del Crocifisso, oggi asportato. Il soffitto è ligneo. Le mura sono
intonacate e, a causa di ciò, non è possibile una lettura più precisa della struttura.
Ha diverse aperture che danno attualmente su ambienti adiacenti alla chiesa, tranne quella
occidentale che dà sulla strada.
Proseguendo per Via Michele Bianchi, dopo qualche metro, ci troviamo un piccolo piazzale,
dal cui angolo sinistro, attraverso una piccolissima viuzza, si accede al luogo denominato
"avanza turri", i cui resti sono stati precedentemente citati.
Ritornando indietro, svoltando per Via Torre e percorrendo la piccola Via Chiesa
costellata di antichi palazzetti, arriviamo nel cuore del centro storico dove cè la
chiesa dedicata ai Santi
Acindyno (o Acendino), Anempodisto, Aftonio, Elpideforo e Pegasio, compagni Martiri di
Persia, di cui è ancora integra la facciata. Non sappiamo quando essa fu edificata, ma doveva esistere già nel medioevo. Nei secoli subì vari
interventi di modifica e ampliamento. Inizialmente era di modeste dimensioni e
probabilmente nel 1593 fu modificata e ampliata, assumendo la sua attuale forma. Ulteriori
interventi allesterno ed allinterno si ebbero nel 1724 e poi nel 1892, anno in
cui fu ricostruito il campanile. I terremoti dell8 settembre del 1905 e del
28 dicembre 1908 la distrussero quasi completamente, tantè che crollarono la
facciata esterna principale, il tetto e la volta, inoltre il pavimento sprofondò
ricoprendo la cripta. In quel periodo funzionò come chiesa una baracca di legno. Dopo
molte peripezie, con laiuto dei fondi statali e con la partecipazione del popolo, la
chiesa fu riedificata, ma senza particolari attenzioni, tantè che appena qualche
anno dopo veniva dichiarata pericolante dai funzionari statali e si iniziava la
costruzione di una nuova chiesa. Proseguendo per qualche metro per Via Chiesa,
girando a sinistra immettendoci in piazza Oh-Chi-Min e poi di nuovo per Via Cesare
Battisti a un centinaio di metri arriviamo alloratorio della confraternita dedicato
al SS. Redentore. Edificato nel 1724, fu ampliato e
riconsacrato il 13 febbraio 1911.
E una piccola cappella di forma rettangolare, a navata unica, senza abside. La
facciata è romanica ed è abbellita da quattro lesene con capitello. Sul portone ha una
finestra a lunetta. In alto cè una struttura campanaria in mattoni. E
costruita in muratura di pietra calcare e pietra granitica, con soffitto in legno e
copertura a due falde con struttura portante in legno e manto di copertura in coppi di
laterizio.
Continuando per Via Cesare Battisti, arriviamo al bivio che ci immette sulla strada da cui
è iniziata la visita. Ripercorrendola, continuiamo sempre dritti lasciando labitato
e, dopo circa un chilometro, girando a sinistra, al primo bivio e a quello successivo a
destra, si entra nella contrada SantAngelo facente parte del territorio parrocchiale
di Gasponi. Allinterno di Villa Felice cè la chiesa che in passato faceva
parte di un monastero tra i più antichi della Calabria. Non si sa di preciso quando esso
fu eretto, ma certo era di origini antichissime. Sorto inizialmente col nome di San Lorenzo in seguito si chiamò di SantArcangelo. In
questo primo periodo doveva essere una fondazione prebenedettina. Lantico monastero
traeva in affitto una piccola terra di proprietà della Chiesa Romana e facente parte
della Massa (masseria) tropeana che nel 400 d. C. era guidata da Irene
"conductrix" (conduttrice) e probabilmente da suo marito.
Il notaio Pietro ed un certo numero di diaconi e suddiaconi o "difensores"
avevano il compito di amministrare le tenute di questi luoghi avendo anche potere sulle
persone che le ricevevano in affitto. Queste mansioni erano coadiuvate da un Rettore (da
cui tutti dipendevano) nominato dal Papa. La massa era formata da molte proprietà con
case coloniche (che col tempo andarono a formare veri e propri villaggi), greggi ed
attrezzi ed era fornita di una chiesa, di un oratorio e probabilmente di unosteria.
Nel 591 il papa Gregorio Magno scriveva al notaio Pietro e
gli ordinava di diminuire il canone annuale ai monaci del Monastero di SantArcangelo
che pagavano per laffitto della tenuta suddetta. Sempre dallo stesso epistolario
veniamo a conoscenza che nel 595 il cenobio si trovava in
gravi condizioni a causa delle incursioni barbariche. Nel 596
fu egumeno Massimiano (nativo di Tropea).
Fu grecizzato nel secolo VIII quale monastero greco di SantAngiolo.
Nellanno 1265 era egumeno Ioannicchio. Nel 1300 fu visitato da Barnaba da Corsara e nel 1477
Atanasio Calcepilo, Vescovo di Gerace, lo trovò in cattive condizioni. Nel 1324 era egumeno Cipriano a cui successe nel 1350
Nicodemus Fazzali. I basiliani occuparono il monastero di SantAngiolo fino al XV
secolo, dopo di che fu dato in commenda. Per tutto il 1600 ledificio si conservò
nelle condizioni originali. Nei primi anni del 1700 vi furono alcuni restauri ordinati dal
Vescovo di Tropea il quale fece anche costruire, annessa alla chiesa, una casa estiva per
sé e per il seminario.
Per quanto riguarda il monastero, gli avanzi tardo-romanici si conservarono fino al 1955,
epoca in cui fu costruita la nuova Villa Felice.
Lattuale
chiesa di San Michele Arcangelo presenta una pianta a croce greca con cupola di
origine bizantina, affiancata da due campanili di singolare effetto orientaleggiante.
Allinterno possiamo trovare pregevoli opere quali una tela raffigurante lArcangelo San Michele di Nicola Menzele da Napoli (XVIII sec.); la base dellaltare e una mensola finemente
intarsiate risalenti al 7oo (periodo del restauro).
Dal monastero proviene un "enkolpion" a forma di
croce fusa in bronzo trovata durante la costruzione della nuova Villa Felice quando, nel
gettare un vecchio muro, si trovarono due ossari ed in uno di questi tra i poveri resti
umani ormai ridotti a frammenti si recuperò anche la croce di bronzo. Si tratta del lato
anteriore di una crocetta pettorale eseguita in fusione con figura a bassorilievo
raffigurante il Crocifisso. Nel complesso il lavoro appare rozzo
nella fattura e dovrebbe risalire al 600-700. Attualmente è conservata nel tesoro della
Concattedrale di Tropea.
Ritornando indietro, girando a destra, continuando sulla strada che da Tropea va a Vibo
Valentia, dopo circa un chilometro, si incontra il bivio di S. Agata. Svoltando a destra
si giunge, dopo qualche chilometro, a Brattirò.
I
l paese di
Brattirò è sorto probabilmente in età bizantina tra il
X e lXI secolo col nome di Britarium o Britario nella
parte antica dellattuale paese detta "vajuni", sulle sponde
dellantico fiume che gli scorreva vicino (ora prosciugatosi). Questo primo nucleo
era formato da un gruppo di casupole di "bresti" (blocchi di paglia e fango
cotti al sole).
Brattirò subì le dominazioni normanna, dopo limpero di Bisanzio, sveva, angioina e
aragonese.
Durante il periodo aragonese, alla pacifica popolazione del posto, che viveva di
pastorizia e agricoltura, si unì verso il 1300 una schiera di briganti assoldati dagli
stessi aragonesi per combattere gli angioini. I suddetti briganti, distrutta Aramoni,
centro abitato sul Poro (a qualche chilometro da torre Galli), si spinsero nei villaggi
circostanti saccheggiandoli senza pietà. Molte suppliche furono fatte a re Carlo V
affinché intervenisse contro quellorda. Finalmente, nel 1303, il re ordinò che
tutti i valichi del Poro fossero presidiati e che tutti i Rumbuli (il nome dei briganti)
fossero annientati. Un solo bambino scampato al massacro e allevato a Brattirò divenne il
progenitore dei diversi rami dei Rombolà, ancora esistenti nella Regione.
Nel 5oo Brattirò faceva parte dei 23 Casali dipendenti da Tropea. Visse periodi di
ostentata floridezza, ma spesso fu sottoposta alla crisi economica conseguenza di vari
fattori sia sociali che ambientali. Il territorio circostante era comunque ricco
dogni genere di frutti, di cereali, legumi, vigneti, oliveti e piantagioni di gelso.
Si produceva molto vino, olio, mais, ciliegie, mandorle. Tra gli abitanti molti svolgevano
il lavoro di mulattieri o dasinai, portando a Tropea legna da vendere. Inoltre
abbondava il cotone che cresceva spontaneamente. Molti nobili di Tropea per vigilare sui
loro possedimenti e per stare lontani dal rumore della Città spesso risiedevano in questo
villaggio.
Agli inizi dell800 il villaggio di Brattirò venne aggregato al Comune di
Ricadi e, dal 1 gennaio 1812, entrò a far parte del Comune di Drapia.
La nostra visita, a Brattirò, comincia con la chiesa dedicata ai Santi medici Cosma e Damiano, situata ad
alcune centinaia di metri prima di arrivare in paese, sulla Strada Provinciale. Edificata
nellanno 1829, a devozione del canonico Gaetano
Scordamaglia, inizialmente era più piccola di come appare oggi e fu ampliata
nellanno 1929, a devozione di Don Francesco Pugliese.
E una piccola chiesa a forma rettangolare, con abside semicircolare. E
costruita in muratura di pietra calcare listata con mattoni ad interasse di un metro, con
soffitto in legno e copertura a due falde in legno e manto di copertura in coppi di
laterizi. Né allesterno né allinterno presenta particolari pregi artistici,
lunica cosa degna di qualche rilevanza artistica è una pittura su tavola che
rappresenta la Madonna delle Grazie, con ai lati i Santi
Cosma e Damiano (1829). Lasciata la chiesa, ci dirigiamo
verso il paese, continuando per la provinciale e in seguito, continuando dritti nel paese
per Corso Vittorio Emanuele, arriviamo fino a piazza Cesare Battisti, quindi sempre
dritti, nel Largo Duomo, scorgiamo un lato della Chiesa dedicata a
San
Pietro Apostolo risalente alla seconda metà dell 800.
Attuale chiesa parrocchiale, durante i secoli subì diversi interventi e ampliamenti, tra
i primi intorno al 1879. In seguito fu gravemente danneggiata dai terremoti. Interventi di
restauro e relative modifiche furono apportate nel 1910 e nel 1924. Attualmente si
presenta ad una sola navata, con abside semicircolare e con annessa cappella laterale. Lo
stile, interno ed esterno, è composito. Sulla facciata, divisa in due ordini da una
trabeazione, si notano una serie di lesene, il portale con timpano a lunetta, sovrastato
da una bifora. Al suo interno, decorato da lesene e stucchi, possiamo trovare diverse
pregevoli opere, quali: una statua della Madonna Immacolata
di Domenico Derposi (?) (nome poco leggibile) di Dinami (1804); una statua di SantAnna dello stesso autore (1790); una scultura di San Nicola (XIX sec.); una scultura lignea di Santa
Lucia (XIX sec.); una coppia dangeli in legno
(XIX sec.); un organo a canne, della bottega Petillo da
Napoli (XIX sec).
Tornando indietro e proseguendo verso Corso Vittorio
Emanuele, Piazza Cesare Battisti e Via Posta, ci immettiamo per una piccola strada di
campagna (dove cè il Calvario). Percorrendola per circa un chilometro si giunge
nella contrada "Manna", dove sorge una piccola chiesetta dedicata alla Madonna del Rosario.
Edificata agli inizi del secolo XX, per devozione del Canonico Don Michele Pugliese, fu
restaurata nellanno 1953. Ha forma rettangolare, con abside semicircolare. Non ha
particolari pregi artistici, luna cosa degna di qualche rilevanza è il quadro della
Madonna del Rosario (copia del quadro conservato nella
Basilica di Pompei) (XX sec.).
Seguendo nella stessa direzione arriviamo allimbocco della Strada Provinciale dove,
girando a destra, ci si immette sulla via che riconduce al centro abitato. Noi invece ci
dirigiamo di nuovo verso il bivio in contrada SantAgata. Svoltiamo a destra e, a
qualche centinaio di metri, a ridosso della strada provinciale, nel territorio della
parrocchia di Gasponi, sorge una piccola chiesa dedicata a SantAgata. La costruzione risale al
1902 e fu finita e consacrata il 4 agosto 1927. E un tipico esempio di chiesetta a
navata unica che si trova in ambito rurale, nel territorio del Poro. La facciata è
abbellita da un portale lapideo sovrastato da una monofora a lunetta e culmina in alto con
la struttura campanaria. A unica navata, con forma rettangolare e con abside semicircolare
è costruita in muratura di pietra calcare listata con mattoni ad interasse di un metro,
con soffitto ligneo e copertura a due falde con portante in legno e manto di copertura in
coppi di laterizio. Attualmente è inagibile per il crollo del soffitto.
Da vedere, ancora, la vicina fontana in granito locale risalente al 1892.
Percorrendo la Provinciale, dopo circa due chilometri, arriviamo a Caria, ultima
tappa del nostro itinerario.
Il primo agglomerato urbano sorse probabilmente nel periodo bizantino con il nome di Caria, prendendo, come ci dice il Barrio, la denominazione
dallomonima valle su cui si innalzava. Inizialmente il paese non era situato
dovè attualmente, ma era un po distante verso la località denominata
"Casal Vecchio". Intorno al 1660, a causa dellalta franosità del terreno,
lintera valle venne inghiottita dalla fiumara Ruffa. Tutto andò perduto: la Chiesa
Parrocchiale, la torre della famiglia Galluppi, palazzi, case e molti edifici.
Lattuale paese fu costruito, in seguito, ai piedi del monte detto
"Cafaro".
Nel 1677, dopo la costruzione del nuovo paese, veniva edificata anche la nuova Chiesa Parrocchiale.
Il XVIII secolo fu a grandi linee, unepoca di benessere. In questo periodo a Caria
si produceva molto frumento, olio, lino, legumi, mais in quantità. Vi erano abbondanti
alberi di fichi e ciliegi. Caria, inoltre, era rinomata per laria salubre, molto
indicata per la convalescenza degli ammalati.
In questo villaggio risiedevano, in alcuni periodi dellanno, molte famiglie
benestanti di Tropea, di solito, per controllare i propri possedimenti.
Caria è stato uno dei 23 Casali dipendenti da Tropea. Nei primi anni del 1800 venne
aggregato al Comune di Spilinga, al quale era collegato da un ponte (andato distrutto).
Dal 1 gennaio 1812 entrò a far parte del comune di Drapia. In questo periodo, la
popolazione viveva dagricoltura e se anche cera un certo benessere le
condizioni di vita non erano migliori che altrove.
Anche Caria ebbe i suoi briganti, tra loro si ricorda Antonio Speranza, che si rifiutò di
presentare servizio militare al nuovo esercito e altri che furono veri e propri
fuorilegge.
I due tremendi terremoti, già citati, sconvolsero labitato, distruggendo diverse
case e danneggiando gravemente la chiesa parrocchiale.
Il visitatore che giunge nel paese di Caria si immette per via Regina Elena, dove
cè un interessante edificio, oggi di
proprietà della famiglia Toraldo. Costruito agli inizi del 900 su una
preesistente struttura settecentesca, nel 1920 le sono state aggiunte le merlature che la
fanno somigliare ad un castello.
Molto particolari le bifore ogivali goticheggianti e lo splendido balcone balaustrato,
decorato con murature simili a tende. Interessante da visitare il giardino.
Lasciato il "castello di Caria", cè la chiesa di San
Nicola. Di incerta origine, inizialmente era più piccola, ma fu ampliata nella
parte absidale alla fine del XIX secolo e benedetta nellanno 1893.
Funzionò fino ai primi del 900, quando fu rovinata dai terremoti del 1905 e del
1908. Successivamente fu utilizzata come sede dellasilo infantile e, in seguito,
come monumento ai caduti della guerra del 1915-1918. Attualmente la chiesa si presenta a
navata unica con abside semicircolare. Da essa proviene una statua custodita nella chiesa
parrocchiale.
Continuando per Via Regina Elena, dopo piazza Cavour, ci immettiamo per via Duomo per
arrivare fino alla chiesa
dedicata alla
Trasfigurazione di nostro Signore Gesù Cristo.
Lattuale chiesa parrocchiale di Caria fu edificata nellanno 1677. In origine essa era più piccola. Infatti, tra il 1841 e il 1868, fu ampliata e
le furono apportate varie modifiche. Durante questi lavori venne sostituto lantico
dipinto su tavola posto sullaltare maggiore, con il quadro con la scena del monte
Tabor. Nel 1820 fu costruito il campanile. La chiesa riportò
seri danni a causa dei terremoti dell8 settembre 1905 e del 28 dicembre 1908. Per
diversi anni le funzioni religiose si svolsero nella chiesa di San Nicola. Nel 1914 ebbero
inizio i lavori di ricostruzione: venne rifatto il pavimento
e parte della facciata principale. Nel 1945 fu demolito e ricostruito il campanile. Sette
anni dopo fu ampliata la cappella di San Francesco di Paola per fare posto ad altri tre
altari. Infine, nel 1959, furono eliminati il pulpito e gli
altari laterali.
Attualmente la chiesa è un edificio di stile composito. Sulla facciata esterna, colore
nocciola, si notano quattro lesene e una serie di fregi in stucco bianco. A destra, il
campanile incorporato termina in una guglia. Ha pianta rettangolare a navata unica, con
abside semicircolare e cappella laterale. Al suo interno, decorato con stucchi chiari e
colonne possiamo trovare alcune pregevoli opere, quali: uno splendido ciborio proveniente dal Convento di San Sergio e Bacco di Drapia,
che dovrebbe risalire al 700; una tela
della Trasfigurazione di Gesù Cristo sul monte Tabor, (riproduzione quasi
integrale di quello custodito in San Pietro in Vaticano) del Petracca da Ricadi, discepolo
del Vivo da Napoli (XIX sec.); una tela della Sacra Famiglia,
insieme ai Santi Giacchino e Anna (1887); una tela della Madonna del Carmelo, con SantIgnazio di Loyola (a destra) e
San Nicola (a sinistra) (XIX sec); una tela dellUltima Cena,
(XIX sec); una statua di San Francesco
di Paola (1870); una statua di San
Nicola (XIX sec); una statua dellImmacolata di
don Domenico Morizzi di Tresilico dOppido, (1864); un organo a
canne costruito dalla bottega Petillo di Napoli (1870).
Attaccato alla chiesa parrocchiale cè loratorio del SS.
Sacramento e delle anime del Purgatorio di proprietà della confraternita (vi si
accede dalla torre campanaria).
Edificata nel 1788, nel corso dei secoli subì diversi
interventi di ampliamento e ricostruzione. Attualmente è adibita a deposito.
E una piccola chiesa a navata unica con piccola cappella laterale, priva
dabside e con volta a botte. Non ha particolari pregi artistici, lunica cosa
degna di qualche rilevanza è lottocentesca tela dellUltima
Cena, che un tempo si trovava sullaltare e attualmente è posta nella chiesa
parrocchiale.
Lasciato il piccolo oratorio, immettendoci per Via Garibaldi, a sinistra della chiesa
parrocchiale, a circa seicento metri in discesa, attraverso una strada tra i campi, poco
sotto lattuale sito di Caria, nel luogo detto "Santu Sidaru", troviamo i
resti dellantico monastero di SantIsidoro.
Sorto nel VIII secolo ad opera di asceti basiliani, il
cenobio era addossato a una verde collina che sovrasta la Città di Tropea. Durante scavi
condotti intorno agli anni 60, sono venute alla luce delle grotte, allinterno
delle quali sono state identificate vere e proprie tombe intagliate nella roccia.
Probabilmente questi monaci vivevano in celle separate, riunendosi solo la domenica per la
liturgia. Tutto il territorio intorno al Monastero è ricco di grotte, da ciò si deduce
che questi antichi monaci si allontanavano dal cenobio per meglio concentrarsi nella
preghiera e nella contemplazione e vi rientravano per la lettura dei salmi e per la
sepoltura dei loro morti. Molte sono le tombe scoperte proprio nellarea dove sorgeva
lantico Monastero. Il sito ha sempre attirato lattenzione di noti archeologi,
tra cui linsigne Paolo Orsi che lo ha visitato e studiato.
Ritornando indietro per la stessa strada, immettendoci di nuovo per Via Garibaldi e Via
Duomo, svoltiamo a sinistra verso Via Gallo e, proseguendo sempre dritti, arriviamo al
bivio che ci immette di nuovo nella strada Provinciale. Ad un centinaio di metri arriviamo
alla chiesetta della Madonna del Carmine.
Eretta nellanno 1897, da Giuseppe
Pugliese, venne ampliata nellanno 1905 dal Pugliese grazie al contributo dei
fedeli di tutta la zona. Quando i lavori furono quasi terminati sopravvenne il disastroso
terremoto dell8 settembre che la danneggiò fortemente. I lavori di ricostruzione
vennero eseguiti nel 1907. Successivamente, nel 1953, fu commissionata una tela della
Vergine del Carmelo a Ignazio Sambiase di Pizzo, che decora il soffitto.
Ai nostri giorni la chiesa è a navata unica con abside semicircolare di stile composito e
in muratura. Né allesterno, né allinterno presenta particolari pregi
artistici.
Proseguendo sempre dritti per la Strada Provinciale, dopo circa un chilometro, arriviamo
nei pressi della grotta di San Leo. Del periodo medioevale
era una grotta monastica basiliana nella quale sono conservati diversi affreschi.
Di difficile accesso, ubicata sulle pendici della fiumara Ruffa, in un luogo altamente
scosceso, è una delle poche grotte eremitiche affrescate rimaste in Calabria.
Probabilmente, prese il nome dalleremita San Leo di Africo o di Bova, santo
calabro-greco, che quasi certamente visse nel X secolo.
Allo stato attuale, non presenta tracce di muratura né, tanto meno, di una delimitazione
dellingresso. Dallesterno della stessa, si abbraccia con lo sguardo tutta la
parte interna, semicircolare, affrescata. Non rimangono tracce del pavimento. La parte
superiore della grotta, piana, è intonacata. La parete di fondo è divisa in cinque
quadri rettangolari, disposti verticalmente. Del primo affresco, che raffigura ladorazione dei Magi, rimangono delle piccole porzioni. Il
secondo affresco, che rappresenta un Santo Papa e reca
liscrizione S.C.P.M. (Santo C. Pontefice Massimo), si conserva ancora in discrete
condizioni. Il terzo, che raffigura il Padre in trono benedicente
che sorregge dalle due estremità della croce il Figlio crocifisso, appare rovinato, ma
quasi integro nel suo insieme. Il quarto affresco, che raffigura una Madonna
sul trono con Bambino, culmina in alto con un arco schiacciato e rispetto ai primi
tre appare in una posizione più elevata. Questi primi quattro affreschi, probabilmente
del secolo XVI, sono caratterizzati da una iconografia comune
e delimitate ai lati da un cornicione blu. Lultimo affresco, il più rovinato, non
ancora ben decifrato, andrebbe studiato più attentamente. Secondo alcuni, riproduce
liconografia della deisis. Di esso si intravede appena
limmagine di Cristo, molto rovinata dallumidità, e più leggibile, una
porzione superstite al taglio della parete effettuato al limite del quarto affresco della
Madonna. La composizione risulta schiacciata, frontale, tipica delliconografia
bizantina e per il tema e per lesecuzione. Tale affresco, perciò, è decisamente
precedente a quelli presenti sulla parete e può essere ascritto al secolo
XI.
Per quanto riguarda le sue dimensioni, essa era inizialmente più grande: era larga 5
metri e alta 3 metri. Oggi le sue dimensioni variano: è larga 4,7 metri e alta circa 2
metri. Purtroppo giace in uno stato di totale abbandono e necessiterebbe di urgenti
restauri.
Non lontano dalla grotta, nel vallone dove scorre la fiumara Ruffa, cresce una rarissima
specie di felce, la Woodwardia radicans, appartenente alla
famiglia delle Blechnaceae, che costituisce uno dei relitti più antichi della flora
mediterranea.
Ritornando sulla Strada Provinciale incontriamo i ruderi della residenza della famiglia
Galli, la cosiddetta Torre
Galli.
Edificata intorno alla metà del XIX secolo, su preesistenti edifici, venne abbandonata a
causa di un incendio che la distrusse quasi completamente rendendola inagibile.
In tutta la zona nel 1922-23 sono stati effettuati degli scavi diretti dallinsigne archeologo Paolo Orsi. In
quelloccasione è stato rinvenuto un vasto insediamento delletà del ferro
riconducibile al X e al VI secolo a.C. e,
un po più in basso rispetto al nucleo abitativo, una necropoli risalente allo
stesso periodo, con ben 334 tombe (quasi tutte a inumazione in fossa), contenenti oggetti
in bronzo, punte di lance e vasellame, oggi esposti al museo di Reggio Calabria.
Altri scavi furono eseguiti a varie riprese tra gli anni 70-80-90 del XX
secolo, dallarcheologo Marco Pacciarelli.
Tra gli studi da lui compiuti, la scoperta dei più antichi scarabei
di produzione egiziana e levantina rinvenuti nel Mediterraneo occidentale, indizio
di precocissimi contatti con navigatori provenienti dalle coste cipriote o del Vicino
Oriente, precursori dei Fenici, o Fenici essi stessi.
Continuando il nostro itinerario, giunto ormai verso la fine, riprendiamo di nuovo la
Strada Provinciale in direzione di Caria.
Giunti a circa seicento metri da Torre Galli, ci immettiamo, dopo lultima curva a
destra, in una piccola stradina di campagna. Percorriamo circa un chilometro e mezzo,
prima che la strada continui in discesa e incontriamo, a sinistra della stessa, sul colle
che sovrasta labitato di Gasponi, i resti della chiesa della Madonna del Cardillo.
Non sappiamo quandessa fu edificata. Dovette essere una prebenda canonicale, come è
ricordato nella monografia della Diocesi di Nicotera e Tropea fatta dal Vescovo
Taccone-Gallucci nel XIX secolo. Le prime notizie che la riguardano risalgono al 1451.
Dalle stesse possiamo rilevare che la chiesa esisteva già da qualche tempo. Nel secolo
XIX fu abbandonata e destinata ad uso profano.
Attualmente consta di un solo ambiente di forma rettangolare (diviso in seguito in due
vani), le pareti sono in pietra granitica e calcare ricoperti da intonaco. La porta
principale daccesso ha forma darco a tutto sesto ed è costruita in conci di
pietra tufacea.
Sempre nella zona, da visitare tra le località SantAgata, Barone, Riaci e
"Petti di Gasponi", i resti di grotte che ospitarono una comunità basiliana
rupestre, di cui però non siamo certi del nome. Sul periodo della sua edificazione non
abbiamo notizie certe: è sicuramente del periodo medioevale (fine del periodo bizantino).
Di esso ci rimangono tracce solo delle grotte eremitiche.
Intorno a queste grotte si notano ancora, in tutta la zona, numerose incisioni tombali
nella pietra dovute alla consuetudine di seppellire i morti intorno alle grotte dei
monaci.
Le persone ivi sepolte erano adagiate col capo verso il tramonto e recavano unanfora
di terracotta vicino la testa.
I sepolcri contenevano scheletri umani, corredi funebri e anfore in terracotta e sono
conosciute come "tombe saracene".
LE FESTE
A Drapia:
12 agosto, anniversario dellincoronazione dellEffige dellImmacolata
(patrona).
1a domenica dottobre (e sabato precedente) San Sergio Martire e San Michele
Arcangelo (compatroni).
A Gasponi:
13 agosto, sagra del dolce.
3 novembre, SantAcendino Martire (patrono).
A Brattirò
:
- 29 giugno, San Pietro Apostolo (patrono).
- 10 agosto, sagra del vino.
- 25/26/27 settembre, Santi Cosma e Damiano (compatroni).
A Caria:
16 luglio, Maria SS. Del Carmelo (compatrona).
6 agosto, SS. Salvatore (patrono); sagra da sujaca.
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