Tutta colpa della crudeltà dell’imperatore bizantino Andronico I Comneno
Le corna, nell’antichità simbolo di coraggio e virilità, oggi hanno una valenza negativa
Se nel momento in cui si nomina Publio Cornelio Scipione, detto l’Africano, i lettori richiamassero alla mente quella paginetta di storia studiata alle medie oppure fossero in grado di rammentarne approssimativamente il suo Cursus Honorum, siamo già andati oltre quello che doveva e voleva essere il punto di partenza della nostra storia. Eh sì, perché qui il protagonista non è Lui, il leggendario stratega di Zama, ma è da lui, dalla sua famiglia che vogliamo partire per raccontarvi una vicenda giunta sino a noi. La Gens Cornelia fu una delle più antiche, longeve e potenti famiglie patrizie di Roma. Abbiamo ricordato l’Africano, ma si potrebbe parlare della figlia Cornelia, la madre dei Gracchi, e di Lucio Cornelio Silla, solo per nominare alcuni pezzi da novanta che segnarono la vita politica dell’Urbe. La Gens patrizia dei Corneli (dei Cornuti) a Roma era dunque rispettabilissima, e più in generale le corna nell’antichità avevano una valenza tutt’altro che negativa. Alcune divinità e uomini in vista nella società venivano rappresentati con le corna in testa in quadri e statue per esaltarne il coraggio. Le corna erano simbolo dunque di forza e virilità. Anche i poeti nel tempo gli dedicarono versi. Oggi, come tutti sanno, non è più così: le corna hanno una valenza negativa e l’epiteto “cornuto” è un insulto. Bastarono circa quattro anni, dal 1182 al 1185, per trasformare in un’espressione con valenza negativa ciò che era stato per secoli simbolo di coraggio e virilità. Il soggetto poco noto ai più, è decisamente di portata storica inferiore, ma di parecchio, rispetto all’Africano, si chiamava Andronico I Comneno. Fu un Basileus (imperatore) bizantino crudele, sanguinario, tanto ambizioso quanto scaltro e senza scrupoli. Condusse una vita spericolata, tra fughe, ritorni, prigionie, intrighi di palazzo, omicidi. Mostrò il suo meglio – si fa per dire – quando riuscì finalmente a conquistare il potere. Si adirava col popolo e puniva senza alcuna ragione gli aristocratici. Insomma, ne combinava di cotte e di crude, compiva ogni serie di nefandezze, faceva imprigionare i sudditi senza motivo, ne rapiva le mogli e se le teneva come concubine. Poi faceva appendere sulle porte delle loro case dei trofei di caccia, come ad esempio teste di cervo, per prendersi gioco dei mariti. Da allora nacque l’espressione greca Chérata poiéin (Mettere le corna) che indicò la derisione pubblica subìta dai mariti sudditi del crudele Andronico. C’è da chiedersi: che fine fece un personaggio simile? Naturalmente lasciò questo mondo nel peggiore dei modi: il popolo si ribellò al tiranno e dopo averlo catturato fu lapidato, seviziato e appeso alla facciata del palazzo imperiale. Era il 12 settembre 1185, Andronico I Comneno penzolava a testa in giù a Costantinopoli come un trofeo, Publio Cornelio Scipione era già a quel tempo storia di un mondo troppo lontano e forse dimenticato, e la nuova espressione coniata con un’accezione negativa è giunta fino a noi. Tutta colpa di quel crudele e sanguinario di Andronico e dei sudditi cornuti che non riuscirono a farlo fuori prima del tempo.