I tentativi di recupero delle navi risalgono al Rinascimento
Solo tra il 1928 e il 1932 si affrontò l’impresa con metodi scientifici. Da uno studio del ministero della Marina si capì che per recuperare gli scafi senza danneggiarli era necessario prosciugare il lago
Le antiche navi visibili nelle acque del lago di Nemi, dovettero sempre risvegliare interesse e curiosità ma solo nel Rinascimento, dove si viveva in un clima d’amore per le antichità classiche, furono eseguiti i primi tentativi di recupero. Il primo a tentare l’impresa fu Leon Battista Alberti, chiamato dal cardinale Prospero Colonna, che nel 1446 montò una zattera dalla quale, tramite ganci (uncini) avrebbe dovuto sollevare la prima nave dal fondo del lago riportandola in superficie. Purtroppo riuscì solo a strappare parti della chiglia e a recuperare alcuni reperti in base ai quali le navi vennero erroneamente attribuite all’epoca di Traiano. Anche Leonardo Da Vinci, che fu chiamato dal papa per bonificare la pianura pontina, si occupò del recupero delle navi custodite dal lago. Leonardo, che inventò il primo palombaro e la prima campana, mandò i suoi collaboratori sul fondo delle acque di Nemi i quali confermarono la presenza delle navi. Lo scienziato avrebbe potuto riportare a galla le navi rimaste nel fondo del lago per 15 secoli grazie a otri piene d’aria legate ai legni, ma una volta recuperati gli scafi si sarebbe dovuto pensare a come e dove rimontarli, un lavoro certo difficilissimo. Quindi Leonardo pensò di abbandonare l’impresa. Nel 1535 ci provò Francesco De Marchi, che si immerse personalmente con uno scafandro ligneo, ma la sua impresa non ebbe maggior fortuna di Alberti e Da Vinci. Nei secoli successivi più che altro si susseguirono ruberie di parte degli scafi, finché nel 1827 Annesio Fusconi effettuò un nuovo vano tentativo di recupero. Nel 1895 l’antiquario Eliseo Borghi, su incarico degli Orsini, principi di Nemi, tentò il recupero ma anche la sua impresa si rivelò una depredazione degli oggetti più preziosi. Finalmente, tra il 1928 e il 1932 si affrontò l’impresa con metodi scientifici e con un recupero non distruttivo dei relitti. Da uno studio del ministero della Marina si capì che l’unico modo per recuperare gli scafi senza danneggiarli ulteriormente era prosciugando il lago. L’idea suscitò larghi consensi e alimentò tante fantasticherie sugli ipotetici tesori custoditi dalle navi. L’impresa ebbe luogo solo alla fine degli anni ’20, sotto il controllo di una commissione appositamente costituita.