Bottai su Ciano: «In un altro regime costituzionale egli avrebbe tenuta l’Italia fuori da una guerra»
Scriverà Ciano dal carcere di Verona: «Ebbene, Ribbentrop – gli chiesi passeggiando nel giardino al suo fianco – cosa volete? Il Corridoio o Danzica? “Orami non più – e mi sbarrò addosso quei sui occhi freddi da museo delle cere – vogliamo la guerra”»
A Roma su Ciano circolavano battute cattive. Veniva chiamato: “Il principe consorte”, “il generissimo”, “il conte genero”, “il parente”. Circolava anche un sorta di poesiola feroce contro di lui: “Galeazzo Ciano/ conte di Cortellazzo/ Bella la rima in ano/ Migliore quella in azzo”. Bottai, che lo conosceva, disse di lui: «di rado ho avvicinato nella mia vita uomini di così contrastanti qualità riunite in una sola persona. […] Io m’accostai a lui nell’estate del 1939, quando la crisi politica precipitava verso la guerra. Lo vidi mettersi di traverso al moto infrenabile con un coraggio che destò la mia ammirazione e con una visione del futuro che mi stupì allora e mi è risultata esattissima in seguito. Contro il parere di suo suocero, che escludeva un intervento dell’America nel conflitto, egli lo affermò inevitabile e di peso decisivo, né tale convinzione lo abbandono mai, neppure nei mesi euforici delle vittorie in serie germaniche. In un altro regime costituzionale egli avrebbe tenuta l’Italia fuori da una guerra». Per Winston Churchill, Primo ministro del Regno Unito dal 1940 al 1945 e poi dal 1951 al 1955, Ciano era «un povero sventurato»; per Renzo De Felice «fu tutto fuorché un vero fascista»; per la moglie Edda Mussolini «un uomo coraggioso».
Scriverà Ciano nel carcere di Verona: «La tragedia italiana per me ha avuto inizio nell’agosto del 1939, quando mi trovai improvvisamente di fronte alla cinica e fredda decisione tedesca di scatenare la guerra».
Sempre nel’agosto del 1939 Mussolini aveva ricevuto una comunicazione dall’ambasciatore italiano a Berlino, Berardo Attolico, di un imminente invasione tedesca della Polonia. L’astuto diplomatico italiano, che naturalmente voleva la pace, aveva invitato il Duce di chiedere ai tedeschi un incontro tra Ciano e von Ribbentrop. Mussolini aveva scritto una lettera al Fuhrer, spiegando che l’esercito italiano era impreparato alla guerra. Su suggerimento di Attolico e Ciano – quindi per sottrarsi agli accordi di maggio (Patto d’Acciaio) – il Duce aveva scritto ad Hitler che per poter partecipare al conflitto aveva bisogno in poco tempo di “aiuti” militari che, naturalmente, la Germania non avrebbe potuto offrire.
Sempre Ciano scriverà il 23 dicembre 1943 nella cella 27 del carcere di Verona:
«Ebbene, Ribbentrop – gli chiesi passeggiando nel giardino al suo fianco – cosa volete? Il Corridoio o Danzica? “Orami non più – e mi sbarrò addosso quei sui occhi freddi da museo delle cere – vogliamo la guerra”».