Il piano: sfiduciare Mussolini, farlo arrestare e affidare il Governo a Badoglio
Grandi: «Dissi a Mussolini tutto […] gli anticipai quello che avrei detto e fatto in G.C., lo scongiurai di deporre spontaneamente nelle mani del Re tutti i poteri civili e militari come unica alternativa possibile per una soluzione della guerra»
«In un giorno solo assieme a Grandi provammo a porre rimedio a tutte le malefatte del regime post 1936. In un giorno solo provammo a rimediare al tradimento fatto dal Fascismo dopo il 1936 rispetto agli ideali rivoluzionario-sociali che spinsero tutti noi nel Fascismo degli anni Venti». Sono le parole di Giuseppe Bottai nel libro Vent’anni e un giorno, in merito all’ordine del giorno Grandi. Il piano era iniziato probabilmente nei primi mesi del 1943 o forse anche già dagli ultimi mesi del 1942. Grandi ne aveva parlato con il re (4 giugno 1943) e poi con alcuni gerarchi. Il piano prevedeva la sfiducia di Mussolini da parte del Gran consiglio (il Gran consiglio fu un’idea del re, perché con la mozione si poteva sfiduciare il Duce come se fosse il Parlamento), il suo arresto e il nuovo Governo affidato al Maresciallo Enrico Caviglia, (invece, come sappiamo, il Governo fu affidato al Maresciallo Pietro Badoglio). Inoltre il nuovo Governo avrebbe dovuto combattere contro i tedeschi. Il re avrebbe sostenuto Grandi ma non si espresse in merito all’ultima questione di combattere contro la Germania. Il 15 e 16 luglio gli anglo-americani erano sbarcati in Sicilia. Alcuni gerarchi avevano chiesto al Duce di convocare il Gran consiglio per discutere con urgenza la situazione bellica. Grandi venne a sapere che il Duce aveva convocato il Gran consiglio nel pomeriggio del 24 Luglio. Il giorno prima, l’allora presidente della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, aveva incontrato Mussolini: «Dissi a Mussolini tutto […] gli anticipai quello che avrei detto e fatto in G.C., lo scongiurai di deporre spontaneamente nelle mani del Re tutti i poteri civili e militari come unica alternativa possibile per una soluzione della guerra […]. Egli non mi aveva interrotto, aveva continuato a guardarmi fisso e cupo giocherellando nervosamente con la matita. Dopo di che il Duce, dopo aver respinto le mie richieste, mi congedò con un arrivederci a posdomani in G.C. […] Uscii triste da Palazzo Venezia. Non restava che andare diritti in fondo».