Fede e dintorni

Come si può risorgere in carcere

Rubrica quotidiana a cura di P. Salvatore Brugnano

Storie belle… per vivere meglio

Come si può risorgere in carcere.

Ecco la nuova straordinaria storia di un detenuto, Bruno Buttone, che ha fatto un significativo percorso di risurrezione sulla sua vita di male e di morte. L’incontro nel carcere di Pollano con Papa Francesco, venuto nel giovedì santo del 2017 a celebrare il rito della lavanda dei piedi, ha dato una accelerata.
– Oggi egli chiama “Papa Francesco, amico mio”, perché suo figlio Domenico, avendo saputo che avrebbe incontrato il Papa, gli chiese: “Papà, cerca di diventare suo amico”. E papa Francesco gli ha firmato una foto per il piccolo Domenico, che oggi può andare fiero del papà. La sua storia oggi è pubblicata su un libro pubblicato dall’Editrice Ancora “Ora sono un uomo nuovo. La mia storia di camorrista pentito”
– La prima storia del camorrista Bruno Buttone era stata descritta nel romanzo di Marilù Musto “Punta al piccione e spara!”. – Si può risorgere, si può guarire. Il carcere resta sempre attivo ospedale da campo.

A colloquio con Bruno Buttone, ex camorrista, che nel penitenziario di Paliano ha incontrato il Papa il giovedì snto del 2017.
♦ Aspetto curato, passo sicuro e libro in mano. Il suo, quello che racconta la storia di un camorrista pentito e che non vede l’ora di presentarcelo e di donarcelo con tanto di dedica.
Siamo nella Casa di reclusione di Paliano, nel cuore della Ciociaria. Il carcere è un’antica fortezza realizzata nel XVI secolo dalla famiglia Colonna e ospita unicamente collaboratori di giustizia.
Papa Francesco la scelse per celebrare la Messa in Cena Domini due anni fa dove lavò i piedi anche a tre donne, a un argentino e a un musulmano.
♦ Tra i presenti c’era anche lui, Bruno Buttone che, prima di stringermi la mano nella saletta dove si tengono gli interrogatori in videoconferenza, mi chiede subito una cortesia: «Salutami il Papa e digli che io sono il padre di Domenico».
Prendo nota, ma urge qualche dettaglio ulteriore che, puntualmente, arriva: «Mi avvicinai al Santo Padre quando venne a trovarci in quel memorabile Giovedì santo» rivela Buttone «Gli raccontai che avevo un figlio al quale avevo preannunciato la presenza di Francesco in carcere. La reazione del piccolo Domenico fu sorprendente tanto da rispondermi: “Papà, cerca di diventare suo amico”. Per accontentarlo chiesi al Papa di firmarmi un autografo sulla foto che ci avevano regalato nei giorni precedenti. Quell’immagine con dedica è custodita nel diario di Domenico e ogni volta che riesco a vederlo la richiesta è sempre la stessa: “Salutami il Papa”».

È visibilmente commosso mentre racconta quell’abbraccio con il Pontefice, difficile credere a un passato segnato da “malefatte”, così come le chiama lui.
Ma oggi è un uomo nuovo (è anche il titolo del suo libro edito dall’Àncora): ma come è riuscito a venire via dalle tenebre del male e ad avviare un percorso di redenzione? «È un lavoro profondo — mi spiega — che è costato tanto. Collaboratori di giustizia non si diventa per caso, non certo per opportunità, come forse tanta gente pensa.
Il percorso della collaborazione è interiore. Non ci si arriva con facilità. Soprattutto per una persona che ha vissuto come me». Una vita segnata dal lusso, dal potere e dalla sete di denaro in una spirale di violenza che difficilmente ti porta a virare e a diventare “pentito” o, come lo appellerebbe qualsiasi detenuto comune, “infame”.
«Chi si è macchiato di crimini efferati, riflette molto prima di ravvedersi» puntualizza Buttone con una prossemica che spiega con i gesti il percorso che l’ha portato fin qui.
«Per arrivare a comportarsi esattamente all’opposto rispetto alle regole dettate dal sistema in cui vivevi ed eri protagonista, devi compiere un percorso di solitudine e di riflessione.
A me è costato 7 anni di carcere duro prima di arrivare a manifestare questa mia volontà».
E aggiunge: «Per arrivare a dire di aver sbagliato e di essere risorto, bisogna prima morire. Morire significa toccare il fondo e io l’ho toccato, ma ho avuto la forza con una mano di spingere a terra e risalire. Non sono un superuomo, per carità, tutti possono farlo grazie alle istituzioni».
Già, tutti possono farlo ma con quale forza e quali strumenti? Sono sufficienti gli organismi preposti, i volontari, i cappellani?
Buttone ne è convinto e indica la strada maestra per incamminarsi verso la sua stessa meta: «Oggi dico a chi sta maturando la mia stessa esperienza di vivere ogni piccolo istante con i figli, con le persone che ti sono accanto, con le mogli, le compagne, le mamme che comunque per anni hanno sofferto insieme a noi».

Della condivisione Bruno ne ha fatto un punto fermo della sua nuova vita:
«È quasi una regola del quotidiano. Anche nei momenti più bui la solidarietà con gli altri non è mai venuta meno. Aiutare le persone in difficoltà e dividere un pezzo di pane in carcere, è ordinaria amministrazione».
Ci racconta esperienze maturate in altri istituti di pena. «Ho avuto modo di incontrare compagni di cella che non avevano da mangiare, una sigaretta da fumare. Durante i miei primi anni di reclusione ho conosciuto un detenuto che si occupava della spesa. Tieni conto che condividevo una stanza con 25 persone, all’interno della quale solo due, o al massimo tre di loro potevano contare su un fondo disponibile.
Ebbene, lo “spesino” (questo il nome in gergo dell’economo di cella, ndr) riusciva a gestire i pochi spiccioli a disposizione non facendo mancare nulla. Dallo spazzolino, al dentifricio, fino alle saponette. Tutti potevano lavarsi, mangiare, scrivere. Purtroppo ho constatato con il tempo che tale reciprocità oltre queste mura è meno frequente».

Gli propongo di portare un suo messaggio fuori da consegnare virtualmente ai ragazzi e alle ragazze del nostro tempo. «Se non è sufficiente la mia storia, che di per sé già invia un segnale forte, aggiungi pure che la camorra fa schifo perché ha distrutto me, la mia famiglia e tutte le famiglie a cui ho fatto del male.
La vita che ho condotto non porta da nessuna parte, anzi, ti distrugge, ti isola, ti ghettizza e ti porta fuori dal mondo. Vieni considerato solo dalle persone che vivono il tuo stesso quotidiano».

♦  Oggi a Paliano Bruno fa lo chef e i suoi piatti sono molto apprezzati dai suoi compagni. E allora la domanda prima di congedarci non può che richiamare la sua attività.
♦  Quindi, mi faccio suggerire una ricetta: «Vai ad abbracciare i tuoi cari. Ti sazierai d’amore. Non c’è nulla di più caro e di più nutriente. Fidati! E non ti dimenticare di salutarmi Papa Francesco».

(fonte: Osservatore Romano,30 aprile 2019 Davide Dionisi).

La straordinaria storia di Bruno Buttone, ex camorrista, un detenuto che ha fatto un significativo percorso di risurrezione sulla sua vita di male e di morte. L’incontro nel carcere di Pollano con Papa Francesco, venuto nel giovedì santo del 2017 a celebrare il rito della lavanda dei piedi, ha dato una accelerata. Oggi egli chiama “Papa Francesco, amico mio”, perché suo figlio Domenico, avendo saputo che avrebbe incontrato il Papa, gli chiese: “Papà, cerca di diventare suo amico”. E così è stato. Il piccolo Domenico oggi può andare fiero del suo papà.

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