Dalle maschere della Barbagia alla Sartiglia di Oristano, tradizioni millenarie
Il carnevale sardo, radicato in riti antichissimi, unisce sacro e profano in celebrazioni uniche. Dalle maschere dei Mamuthones di Mamoiada ai riti dionisiaci di Bosa, fino al torneo equestre della Sartiglia di Oristano, ogni festa riflette il legame tra uomo, natura e divinità. Un viaggio tra fuochi purificatori, danze propiziatorie e simbolismi ancestrali
La Sardegna è una terra molto antica e molto misteriosa. Nonostante vi siano stati rinvenuti reperti della civiltà nuragica che attestano una conoscenza astronomica e ingegneristica eccezionale, purtroppo non sono stati reperiti documenti scritti e le tradizioni antichissime, tramandate oralmente, sono state contaminate dalle usanze dei popoli che, nell’arco di millenni, hanno occupato l’isola. Tra le ricorrenze socio- culturali più emblematiche per capire l’essenza di questo popolo, corre l’obbligo di menzionare il carnevale che, pur in diverse forme, fa rivivere riti sacri e profani insieme, che mostrano il fortissimo legame dell’uomo con la terra e gli animali. Sebbene le tradizioni e le maschere si differenzino da un paese all’altro, il carattere rituale è comune a tutte le comunità ed è particolarmente accentuato nei centri dell’interno.
L’inizio del carnevale ricorre il 17 gennaio e coincide con la festa di sant’Antonio Abate, santo che, replicando l’impresa di Prometeo, scende negli inferi, insieme al suo maialino, viene affrontato dai demoni ma il maialino scappa creando confusione e permettendo così al santo di racchiudere nel suo bastone cavo una scintilla che porterà sulla terra, donando così il fuoco agli uomini che non lo conoscono.
Il 17 gennaio quindi si apre il carnevale: già dai giorni precedenti in quasi tutti i paesi si mobilita la popolazione per accatastare legna sul sagrato della chiesa e nel pomeriggio del giorno dedicato a Sant’Antonio un grande falò illumina la piazza nella quale si raduna tutta la popolazione che assiste alla benedizione del fuoco da parte del sacerdote. Finita la cerimonia religiosa, le maschere tipiche fanno per tre volte il giro intorno al fuoco in senso orario e tre in senso antiorario dando così inizio ufficialmente al carnevale. Le maschere più caratteristiche sono quelle della Barbagia, nel cuore della Sardegna, dove le contaminazioni della tradizione sono state minime.
A Ottana i boes, vestiti con bianche pelli di pecora, adorne di pesanti campanacci, con il volto coperto da una maschera raffigurante un bue con lunghissime corna, si accompagnano ai merdules che rappresentano i padroni dei buoi. Anch’essi, vestiti con pelli di pecora, hanno sul volto delle maschere di legno di pero con fattezze deformi e paurose e tengono legati i boes con lunghe corde mentre in mano hanno fruste e bastoni e mimano delle lotte con l’animale che tenta di liberarsi dal giogo. In tale agone è’ rappresentata la lotta dell’uomo con la natura, il controllo da parte del pastore degli animali. Si hanno testimonianze che nella cultura nuragica il toro è simbolo di fertilità e forza, pertanto l’inseguimento dei boes da parte di merdules si trasforma in una danza propiziatoria che, affermando la forza dell’uomo, vuole esorcizzarne la trasformazione in bestia.
Durante i riti carnevaleschi si invoca la fertilità delle mandrie e dei campi in una terra sempre scarsa di piogge. Le maschere, dopo la purificazione col fuoco e la benedizione del sacerdote, si scatenano in balli durante i quali vengono offerti dolci caratteristici e vino per alleggerire una atmosfera inquietante e misteriosa, scandita dal suono dei campanacci che suonano con cadenze precise ad ogni saltello dei boes. È presente anche la Filonzana, uomo travestito da vecchia dai tratti sgraziati, che tiene tra le mani un fuso e la lana, simbolo della vita, che minaccia di tagliare se non le viene offerto vino buono, chiaro riferimento alle Parche della mitologia greca.
Il carnevale di Mamoiada è tra i più conosciuti eventi della Sardegna; le maschere tipiche sono quelle dei Mamuthones, che indossano pelli di pecora scure con sul dorso trenta chili di campanacci ed hanno in viso delle maschere di legno con lineamenti rozzi. Accanto a loro sfilano gli Issochadores che hanno una maschera bianca, un copricapo nero, un corpetto rosso, pantaloni bianchi e un piccolo scialle femminile. Sono forniti di un lungo laccio col quale tentano di prendere le giovani donne per augurare loro buona salute, fortuna e fertilità. I mamutones procedono in gruppi di sei, in doppia fila, a simboleggiare i mesi dell’anno e procedono a saltelli cadenzando il suono dei campanacci mentre gli agili issochadores eseguono una danza leggera. Aleggia intorno un’atmosfera misteriosa, inquietante, un rito sacro col quale si intende invocare la divinità affinché i raccolti siano abbondanti e il bestiame fertile.
Particolarmente interessante è il carnevale di Bosa strettamente legato a riti donisiaci di origine cretese-micenea, che è vissuto come un evento collettivo col quale si deride la vita quotidiana con atteggiamenti osceni e un’allegoria sessuale esplicita. I riti cominciano la settimana prima del giovedì grasso quando gli uomini, vestiti di nero, con una giacca al rovescio, la faccia tinta di nero con fuliggine e una croce rossa disegnata sulla fronte, vanno di casa in casa a fare la questua; si esibiscono in canti satirici improvvisati e, come compenso, riceveranno salsicce, formaggi o altri generi alimentari che infilzeranno negli spiedi o metteranno nella bisaccia per un pranzo collettivo. Il martedì grasso le maschere raffiguranti donne in lutto, con abito nero e viso annerito, portano in braccio una bambola mutilata, girano per le strade, chiedono latte o vino, esibiscono una quantità di falli e cantano lamenti funebri di argomento satirico con spiccate allusioni sessuali. Quando cala il buio si cambia maschera: si indossa un mantello bianco fatto con un lenzuolo, in testa una federa che forma un cappuccio, sul viso annerito la maschera di Gioldzi e in mano un lampioncino . Sembra uno stuolo di fantasmi che corrono incessantemente per cercare Gioldzi che, immancabilmente, verrà trovato all’altezza dei genitali degli spettatori, destando grande ilarità. Lo svolazzare dei mantelli, con le luci dei lampioncini, creano un effetto molto suggestivo. Quando poi arriva la notte si conclude la festa bruciando il simulacro di Gioldzi. La bambola mutilata potrebbe rappresentare un “dema”, divinità primitiva che si divide e dona fecondità. E’ cioè rappresentato un rito sulla morte e rinascita della natura nell’alternarsi delle stagioni.
Completamente diverso è Il carnevale a Oristano: le sue origini sono infatti medievali. si celebra la Sartiglia che consiste in un torneo equestre, di presumibile origine spagnola, nel quale i cavalieri al galoppo, con una spada o con uno stocco, devono infilare una stella d’acciaio appesa con un nastro verde davanti alla chiesa. I cavalieri protagonisti appartengono al gremio dei contadini e a quello dei falegnami. I primi corrono la domenica di carnevale, i secondi il martedì grasso La cerimonia inizia quando al mattino un araldo accompagnato da alfieri, tamburini e trombettieri annuncia alla popolazione che al pomeriggio ci sarà la corsa. Il cavaliere scelto (su componidori) si dirigerà insieme a ragazze vestite in costume, nel luogo in cui esse lo faranno salire su un tavolo, gli cuciranno addosso il costume e gli metteranno sul viso una maschera androgina, la tuba in testa e un velo. Da quel momento lui sarà un semidio, salirà sul suo cavallo riccamente addobbato e non potrà toccare terra sino a sera, quando gli verrà tolta la maschera. Il Presidente del gremio, finita la vestizione, consegnerà a su componidori un mazzolino di viole e pervinche che rappresenta la rigenerazione della natura, la fine dell’inverno e l’inizio della primavera. Con questo scettro per concludere la manifestazione, il cavaliere sdraiato sul cavallo al galoppo, benedirà la folla. Si forma quindi un corteo coi trombettieri, i tamburini, e il gremio. Seguono 120 cavalieri vestiti con gli antichi costumi della tradizione sarda e spagnola, su cavalli riccamente bardati, che si dirigono verso la chiesa guidati dal capocorsa. Su componidori sarà il primo ad iniziare la corsa alla stella, seguiranno i suoi due aiutanti, poi tutti i cavalieri scelti, al galoppo sfrenato, tenteranno l’impresa .Tante più stelle saranno infilate, tanto migliori saranno gli auspici per il gremio cui appartengono i cavalieri. Chiudono la Sartiglia le spericolate e acrobatiche evoluzioni delle pariglie.
A Cagliari, città da sempre vissuta da popolazione eterogenea, l’ultimo giorno di carnevale si fa la rantantira, che consiste in una sfilata di maschere carnevalesche di tradizioni varie o di fantasia che, in origine, rappresentavano i personaggi caratteristici dei vari quartieri della città, come il pescivendolo, il rigattiere, la vedova, il dottore. Al ritmo ripetuto incessantemente a brevissimi intervalli di tamburi, piatti e grancasse che dà il nome onomatopeico alla sfilata, le maschere si scatenano in balli sfrenati, che si concludono con il falò nel quale brucia Cancioffali re Giorgio, una divinità che nell’ epoca preromana veniva propiziata con riti e sacrifici per aver un buon raccolto.