Intervistati in esclusiva anche i finalisti Santo Gioffré e Dario Vergassola
Con il libro “Se chiudo gli occhi” finalista al “Premio Tropea”
Come e quando nasce Se chiudo gli occhi?
“Se chiudo gli occhi” nasce con il mio bisogno di tornare alle origini. Ho scritto questo libro mentre vivevo in Oriente e sentivo la necessità di tornare alle mie radici. Sono originaria delle Marche, la Sibilla la conosco da dieci anni e ne ho sempre subito il fascino, mi interessava quel mondo al femminile, intessuto di magia e spiritualità. Il personaggio di Nora si ispira a una veggente realmente esistita che si chiamava Pasqualina Pezzola, e che aveva il potere di viaggiare con la mente di compiere visite a distanza. Da bambina ne sentivo parlare e temevo che potesse venire a trovarmi nel letto, la sera. Sono partita da una paura ancestrale per esplorare il mondo interiore di una donna, Viola, che per certi versi mi somiglia, e che compie un viaggio alla riscoperta di se’.
Quanto di Simona Sparaco c’è in questa storia?
E’ forse il mio libro più intimista, e anche il più intimo. Per scriverlo ho dovuto affondare le radici non solo in un luogo pieno di leggende e di rimandi che appartengono alla mia cultura, ma ho dovuto anche cercare l’antro della Sibilla dentro di me, tornare ad ascoltare la voce delle donne della mia famiglia, e delle sibille che hanno attraversato la mia vita lasciando un segno.
Il suo libro ci porta in una dimensione magica fatta di leggende, miti, tradizioni, semplicità, valori. Se chiudo gli occhi è un invito a fermarsi e ascoltare la voce che il più delle volte giace sopita dentro ognuno di noi?
Il libro è un invito ad ascoltare quella voce e a recuperare una dimensione creativa, onirica, spingersi oltre le apparenze, non fermarsi alla superficie delle cose.
Fino a che punto può spingersi l’Amore? Perdonare e offrire una seconda chance è sempre possibile?Innanzitutto amare noi stessi, e perdonarci per tutte le volte che non ci siamo rispettati, che non abbiamo ascoltato la nostra voce interiore, frastornati dal brusio generale di un mondo che corre sempre più velocemente e sempre più superficialmente. Poi si, trovare un amore che ci permetta di accettare l’altro in tutti i suoi limiti. Perdonare e’ un atto di profondo altruismo che solo l’amore può concedere. Darsi nella più profonda accettazione di se’ e degli altri.
Viola chiede a Tomer: «E cos’è per te la libertà?» Tomer risponde: «Rimanere in un posto finchè senti che ti corrisponde davvero. Il giorno che non starò più bene qui, me ne andrò.» Pensa che oggi sia così difficile scegliere di stare bene, fare ciò che ci rende felici anziché continuare a nascondersi in magliette extralarge e in un lavoro che non piace, proprio come la protagonista del libro?
Credo sia sempre e comunque un problema di ascolto, e di frequenze su cui è prezioso potersi e sapersi sintonizzare. Ci si nasconde quando non si sa chi si è. Ci si nasconde per insicurezza e bisogno di difesa. Ma non c’è nemico più grande della non conoscenza di se’.
Cosa significa per lei “famiglia”?
La famiglia e’ stata letteralmente smembrata negli ultimi cento anni. Oggi per me una famiglia può anche essere composta da sole due persone, che sanno prendersi per mano, che si accompagnano. Famiglia vuol dire accoglienza e sostegno durante il percorso.
In una società sempre più tecnologica in cui la comunicazione sembra essersi trasformata in qualcosa di effimero, il suo libro è un’esortazione a comunicare con l’altro, oltre che con se stessi, a non fermarsi in superficie ma ad entrare nell’altro? Proprio come Viola dopo tanti anni fa con il padre?
Mi sembra che oggi tutto ruoti intorno all’immagine e al comunicare velocemente e con più persone possibili. La quantità a discapito della qualità. Il bisogno di colmare la solitudine con una bulimia di rapporti e situazioni fini a se stessi. Se chiudo gli occhi e’ un invito a non perdersi, ma anche a continuare a cercarsi.
Tutto il libro è un inno alla Eikasia – immaginazione. A volte i genitori temono anche di leggere le favole ai loro bambini perché devono rimanere nella realtà. Sognare, immaginare fa paura. Lei crede che l’immaginazione sia una componente fondamentale nella vita dei bambini? E anche degli adulti? Che ruolo ha avuto e continua ad avere nella sua vita?
Uno scrittore e’ un bambino che non ha mai smesso di giocare al gioco del “facciamo che io ero”. Quanto è importante calarsi in altri ruoli e altre identità, anche solo per affrontare meglio i rapporti interpersonali, coltivare la propria sensibilità. E quanto sono importanti le favole. Oliviero a un certo punto dice: “sono le favole a dirci chi siamo e da dove veniamo”. I bambini di oggi, che saranno gli uomini di domani, stanno perdendo le preziosi abitudini della lettura, dell’ascolto. Un film ti rende fruitore passivo, la lettura attiva la tua fantasia, stimola le tue capacità creative. Se chiudo gli occhi e’ anche e soprattutto un inno all’infanzia.
Si non sedes is. […] Se letto al contrario dice l’opposto: si sedes non is. Se siedi non vai. Qual è il messaggio che vuole lasciare ai nostri lettori?
Il viaggio è più importante della meta. E quel palindromo era scritto anticamente nelle porte magiche, legato alla ricerca dell’oro. Il vero oro e la vera magia sono soprattutto nella capacità di viverli attraverso l’immaginazione.
In conclusione vogliamo chiederle: Cosa significherebbe per lei vincere il Premio Letterario Città di Tropea?
Sono onorata di essere in questa finale. Conosco il premio da molti anni ma non ho avuto la fortuna di conoscere ancora Tropea. Sono emozionata e felice. Quest’anno sono arrivata seconda al premio Bancarella e seconda al Premio Salerno. Spero con tutto il cuore di farcela.