Non lasciamolo solo
Ndrangheta: 19 anni, accusa in aula autori raid estorsivo
Uno studente lavoratore di 19 anni, chiamato a testimoniare in tribunale dal Pm Marisa Manzini in merito ad alcuni episodi estorsivi di stampo mafioso e danneggiamenti da lui stesso denunciati, non ha esitato a riconoscere gli autori che gli stavano di fronte chiusi in una gabbia, indicandoli con nome, cognome e soprannome, mentre gli altri testimoni, commercianti, cittadini, si sono guardati bene dal rispondere persino alle domande del magistrato, facendo finta di non conoscerli.
“Oggi si è aperta una breccia nel muro dell’omertà. Il domani sono gli studenti” ha detto il magistrato antimafia.
Teatro della concitata vicenda, l’aula del tribunale di Vibo Valentia, dove da ieri si sta celebrando il processo a carico dei fratelli Salvatore, Francesco e Andrea Carone, esponenti del clan Mancuso, accusati di uno sconcertante episodio estorsivo ai danni del titolare di una pizzeria-rosticceria di Tropea, presso cui Francesco Bova, 19 anni, questo il nome dello studente coraggio, all’epoca dei fatti, lavorava nei mesi estivi per guadagnare qualche euro, fino a quando in un afoso mattino del luglio scorso, oltre ad aver rischiato la vita, finì con l’allontanarsi dal lavoro e diventare di fatto un vero e proprio testimone di giustizia.
Francesco, una mattina, dopo aver lavorato fino a tarda notte, era dietro il bancone e stava sistemando alcune vettovaglie, quando da un’autovettura vide scendere i fratelli Carone che, armati di pistola, bastone e mazze, penetrarono all’interno del locale e incominciarono a sfasciare tutto. Il giovane iuscì a mettersi in salvo chiudendosi nel bagno da dove telefonò alla polizia.
Sul luogo piombò il capo della squadra mobile di Vibo, Maurizio Lento, che con i suoi uomini, su indicazione dello studente lavoratore, riuscì ad arrestare i responsabili del raid, gli stessi che, come poi si è appreso, la notte prima avevano sparato alcuni colpi di pistola contro la stessa pizzeria.